TR e la realtà

.. qual è la realtà che si cela dietro la serie? (indice aggiornato 02.2021)

Discussioni generali sul mondo di Tomb Raider, info, media e aiuti sui giochi ufficiali di TR / General discussion of the Tomb Raider's World, help, media and tips on official TR games
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Blu
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Interessantissimi approfondimenti :) ; devo dire che giocando a Shadow la parte che più mi aveva affascinato, e che mi portò già durante il gioco a fare ricerche e a volerne sapere di più, fu proprio quella legata a Ix Chel e Chak Chel :D , un po' per il destino di Lara e un po' perché la figura di Fuoco Cremisi era piuttosto intrigante XD ... ben fatto Max :D


PS: aggiornato indice :D :approved:




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Nillc
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Messaggio da Nillc »

Grazie Blu :) Quello che segue è il mio ultimo (per ora) approfondimento su SOTR: Kuwaq Yaku è infatti una località totalmente fittizia, quindi non è il caso di dedicarle una puntata. Altre cose (il Cenote, i templi ecc.) meritano una rigiocata a SOTR, che conto di iniziare nel prossimo futuro :D

MISSIONE DI SAN JUAN

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San Juan de Miraflor è un distretto amministrativo sito nella regione occidentale del Perù; poiché si tratta di una delle aree più moderne e industrializzate dello Stato sudamericano, tuttavia, è probabile che l'unica cosa in comune con quello visto in Shadow of the Tomb Raider sia il nome. La Missione di San Juan, in effetti, è ispirata più che altro alle misiònes (o riduciònes) seicentesche, un affascinante fenomeno demoetnoantropologico che vale la pena di approfondire.

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Ignazio da Loyola

Nel 1517 Ignazio da Loyola fondò la Compagnia di Gesù, un ordine religioso che sin da subito manifestò una forte vocazione all'evangelizzazione: molte furono infatti le azioni mirate a diffondere il Cristianesimo al di fuori dell'Europa, cominciando dall'Indocina e finendo, circa un secolo dopo, nel Sud America. La scelta di spingersi oltreoceano fu dovuta a situazioni di necessità (in Europa i gesuiti erano visti con grande sospetto), ma anche dalle possibilitàche il Nuovo Mondo offriva in termini di risorse economiche e umane.
Bisogna premettere che i resoconti sulle popolazioni autoctone parlavano di genti rozze e incivili, che non conoscevano le principali norme di convivenza, tra le quali la stessa necessità di indossare degli abiti. Oggi in realtà sappiamo che queste popolazioni avevano raggiunto un altissimo grado di civilizzazione, con strutture sociali complesse e conoscenze approfondite nell'ambito della matematica e dell'architettura; possedevano perfino un corpus letterario e mitologico, oggi in gran parte perduto. I paleoetnoantropologi hanno infine stabilito fuori da ogni dubbio che le strutture sinaptiche e neurali degli indigeni sudamericani erano identiche a quelle del Vecchio Mondo; tuttavia all'epoca gli europei guardavano a essi come degli esseri inferiori perché non raggiunti dalla grazia di Dio, e dunque bisognosi di evangelizzazione.

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Questo pregiudizio causò in effetti molti problemi nella prima fase di colonizzazione a opera dei gesuiti, che tra l'altro si trovarono a operare nel contesto politico di una lotta etnica tra Toltechi, Aztechi e Maya; a ciò si aggiungeva un ambiente ostile, praticamente non antropizzato e con seri pericoli per il sistema immunitario non autoctono. C'era inoltre un problema socioculturale di fondo: le strutture sociali, la filosofia e la religione delle popolazioni sudamericane erano profondamente diverse da quelle europee. Le conseguenze furono disastrose: i tentativi di cristianizzare le popolazioni inidgene causarono rappresaglie sanguinose, che portarono spesso alla morte dei missionari.
Col tempo, i missionari gesuiti compresero l'impossibilità di imporre la nuova religione agli indigeni, e di conseguenza la necessità di conoscere a fondo le proprie usanze e, laddove possibile, di mediare utilizzando linguaggi comuni. Molti e affascinanti furono i metodi volti a raggiungere questo scopo: i missionari, ad esempio, insegnarono agli indigeni come suonare la chitarra, mai vista in quelle terre, fingendo che si potesse adoperarla solo per cantare inni sacri; riproposero inoltre le rappresentazioni teatrali sacre, che in Europa erano cadute in disuso da secoli, nelle quali gli episodi biblici venivano recitati con gli abiti locali e coi nomi delle divinità autoctone. Queste erano tutte pratiche di sincretismo, ossia la contaminazione di una religione con elementi di un'altra; c'è però da dire che non sempre queste pratiche funzionarono, e che in molti casi i missionari dovettero arrendersi all'evidenza di non potercela fare.
In altri casi, al contrario, il rapporto tra indigeni e missionari fu talmente felice da portare alla nascita di "riduzioni", veri e propri villaggi che sorgevano intorno a una chiesa, dove andavano ad abitare i missionari insieme agli autoctoni convertiti.


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Ricostruzione artistica della riduzione di Sant'Ignazio, in Paraguay

Le riduzioni erano in effetti delle cittadelle che si sviluppavano attorno a una chiesa, dal cui santo titolare prendevano il nome; si trattava di un inedito mix tra riserve indigene e conventi: i frati missionari (o gli indigeni che prendevano i voti) vivevano in convento, mentre i laici si costruivano delle abitazioni proprie nelle vicinanze. Spesso le riduzioni erano cinte da mura difensive; altre volte sorgevano in prossimità di fiumi o altri ostacoli naturali, che garantivano l'isolamento e la protezione. La vita quotidiana era equamente ripartita: gli indigeni si occupavano della gestione amministrativa della riduzione, i missionari della giustizia; l'economia si basava sulla tassazione in natura del raccolto e della produzione artigianale, mentre in comunanza erano le ore di lavoro e di preghiera. Non mancavano poi momenti di svago, quasi sempre improntati alla musica o alle rappresentazioni sacre: in tal senso, le riduzioni paraguayane erano la punta d'eccellenza. Infine, anche gli stili artistici e architettonici delle riduzioni erano estremamenti particolari, poiché univano il gusto iberico a quello dei nativi sudamericani.

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Resti della chiesa attorno alla quale si sviluppava la Missione di san Michele, in Brasile

Il fenomeno delle riduzioni perdurò fino al '700, quando per questioni politiche i gesuiti furono dapprima costretti ad abbandonare le missioni, e in seguito il loro ordine fu addirittura soppresso. Le riduzioni furono quindi occupate dai coloni che giunsero in Sud America nel XIII e XIX secolo: alcune di esse furono poi destinate alle comunità di schiavi afroamericani. Quale che fosse il caso, il destino peggiore toccò comunque agli indigeni, che furono cacciati con violenza e spesso uccisi o ridotti in schiavitù. Quasi tutte le riduzioni furono comunque distrutte o abbandonate nel corso del tempo; in rarissimi casi, il cui più indicativo è quello di Santa Fé (New Mexico), attorno a ciò che rimaneva delle riduzioni si svilupparono centri abitati più o meno grandi, che preservarono le poche rimanenze dalla completa distruzione.

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La chiesa di San Miguel a Santa Fé (1610) è ciò che resta della missione di San Michele, ed è considerata la più antica chiesa ancora esistente e in attività sul suolo americano

Di alcune riduzioni, come São Miguel das Missões in Brasile, rimangono invece emergenze artistiche e archeologiche che sono oggi tutelate e fruibili a scopo turistico.

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Messaggio da Nillc »

Come non detto :D ecco a voi un nuovo approfondimento :)

IL CENOTE

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Con la parola "cenote" si indica in Sud America un fenomeno carsico simile alle nostre doline o ai sinkhole statunitensi e austrialiani: si tratta di una cavità geologica a forma concava (grotta-cenote) o convessa (valle-cenote), sul cui fondo è presente dell'acqua dolce. I cenote sono quasi sempre posti in posizione sotterranea, con la bocca a livello suolo, ma non mancano quelli in altura, raggiungibili da tunnel sommersi o da cunicoli all'asciutto. I cenote si sono formati nel pleistocene, quindi tra un termine minimo di 12000 e un massimo di 2 milioni e mezzo di anni fa; i grotta-cenote erano in origine delle grotte a cui in seguito è crollato il tetto, mentre le valli-cenote si sono originati in seguito a frane che hanno parzialmente ostruito la dolina. La presenza di acqua nella cavità è dovuta quasi sempre a fenomeni carsici: non è raro che dalla bocca precipiti una o più cascatelle generate dallo stillicidio dell'acqua che si infiltra nella roccia, resa più veloce dalla gravità; in altri casi l'acqua è quella di una falda freatica emersa in superficie, oppure proviene da un corso d'acqua o addirittura dal mare, a cui il cenote può essere connesso.

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Le civiltà precolombiane, in particolare i Maya, avevano un forte legame con i cenote: lo stesso sostantivo deriva dal maya tzonot'l, che significa "acqua consacrata". In effetti gli studi archeologici e antropologici condotti all'interno dei cenote hanno permesso di rilevare che essi venissero adoperati per diverse funzioni, non sempre riconducibili alla dimensione sacrale: nell'esplorare il cenote di Sac Atun, nel 2001, gli archeologi hanno trovato uno scheletro umano (e molti di mastodonte), che sarebbero i segni più antichi di attitudini abitativi nella penisola dello Yucatan.
E' comunque vero che molte città Maya venivano costruite nei dintorni di un cenote per questioni sacre: la connessione col sottosuolo e la presenza dell'elemento acquatico rendevano immediata l'associazione ai Chak, divinità primigenie della pioggia e del mondo dei morti. Sul fondale di alcuni cenote sono stati rinvenuti statuine, placche metalliche e utensili che venivano offerti come tributo a questi dèi.

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Chichen Itza, la più celebre città Maya, sorge nei pressi di ben due cenote, entrambi ricollegati all'ambito sacro. Il primo è il "cenote sagrado", così denominato per la presenza di oggetti molto preziosi che si crede siano stati offerti in sacrificio ai Chak. La particolarità di questi oggetti è che essi siano fatti di materiali non autoctoni, come la giada e il rame: questo vorrebbe dire che, nel periodo del massimo splendore di Chichen Itza, il cenote fosse ben conosciuto anche in paesi molto distanti (e pertanto anche da altre civiltà coeve), che vi conducevano pellegrinaggi. Gli oggetti del cenote sacro, caso più unico che raro, non si trovano soltanto sul fondale del lago, ma anche disposti a mo' di altare sulle zone asciutte, a dimostrare che non siano stati gettati dall'alto ma posizionati lì a seguito di una scalata.

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Il secondo cenote è detto "dei sacrifici", a causa del ritrovamento di scheletri umani recanti i segni di un sacrificio rituale: in effetti alcuni resoconti degli esploratori di Cinque e Seicento riferiscono di pellegrinaggi verso "pozzi sacri" che culminavano con l'immolazione di una vittima, generalmente una giovane donna, la quale veniva gettata viva nelle acque perché vi annegasse. Tuttavia gli archeologi non ritengono attendibili queste fonti, poiché queste modalità non rispondevano ai costumi dei Maya: è invece probabile che le vittime fossero uccise mediante iugulazione o pugnalata al cuore in altro luogo (anche piuttosto distante dal cenote) per poi gettarne il corpo nel pozzo; tuttavia, data la scarsità di resti umani trovati in questo e in altri cenote è piuttosto improbabile che questa pratica fosse adoperata con regolarità.

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I cenote yucatechi sono oggi celebri mète turistiche, non solo per il loro valore antropologico ma anche per la rilevanza geologica e paesaggistica: è possibile farvi il bagno e in alcuni casi esplorarne le profondità con l'attrezzatura da sub.

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GLI YAAXIL

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Mi sono sempre chiesto se gli Yaaxil, i mitici protettori dello Scrigno d'Argento siano ispirati a figure reali del folklore precolombiano, ma tutte le ricerche sembravano indicare il contrario; poi, quasi per caso, mi sono accorto che nella cutscene che avviene dopo il primo "avvistamento" di uno Yaaxil a Kuwaq Yaku, Abigail dice a Lara che può trattarsi di un pishtaco. Incuriosito, ho fatto qualche ricerca in quella direzione e mi sono accorto che i punti di contatto tra questa figura e gli Yaaxil sono tali e tanti che si può considerare una fonte d'ispirazione... e vale la pena parlarne :)

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Viracocha

In Sud America, in particolare nella regione andina (Perù e Bolivia), il Pishtaco è l'equivalente del nostro Uomo Nero: una figura mostruosa umanoide che viene evocata nei racconti per spaventare i bambini e metterli in guardia dai pericoli. Come l'uomo nero, il Pishtaco rapisce gli esseri umani per ucciderli e mangiarli, ma il metodo con cui raggiunge questi scopi è particolarmente cruento: preferisce infatti succhiare via dal cadavere il grasso corporeo, oppure tagliare il corpo del malcapitato a pezzettini per poi friggerli in padella nel suo stesso grasso, come accade per il chicharron (piatto tipico sudamericano).
Questa ossessione per il grasso corporeo riflette una paura ancestrale delle popolazioni precolombiane, che vedevano in un corpo grasso e pasciuto il simbolo della ricchezza e della felicità; il riferimento al grasso si trova perfino nell'iconografia di Viracocha, principale dio del pantheon Inca, rappresentato come un uomo alto e grasso (il suo nome, tra l'altro, significa "signore del grasso" o "grasso che galleggia sulle acque"). In effetti già nel periodo classico esisteva una classe di demoni, i Supay, che uccidevano gli uomini e ne succhiavano il grasso: essi erano rappresentati come umani nudi o seminudi dai denti affilati e la pelle rossa del sangue delle loro vittime. I Supay vivevano nell'Uku Pacha, il "mondo di sotto" che per gli Inca non era un piano astrale diverso, ma proprio il sottosuolo della Terra: per questo avevano la pelle bianca, poiché non venivano toccati dal sole. Vi ricorda qualcuno? :D ;)

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Rappresentazione moderna di un Supay

Si ritiene che il mito del Pishtaco si sia originato a partire da quello dei Supay in un'epoca molto più tarda, a partire dal XVI secolo, e si sia sovrapposta alla naturale diffidenza dei popoli sudamericani verso gli estranei: cronache dell'epoca riferiscono che gli aborigeni si spaventarono nel vedere i conquistadores trattare le proprie ferite col grasso prelevato dai cadaveri dei nemici da loro uccisi. Questo avrebbe portato pian piano alla formazione della figura del Pishtaco, il cui nome in lingua quechua significa "colui che decapita". A differenza dei Supay, i Pishtaco hanno la pelle bianca e non vengono dal sottosuolo, ma dal mare; in genere attaccano in gruppo dopo essersi guadagnati la fiducia delle loro vittime mostrandosi gentili con loro. Nel corso dei secoli, non si è smesso di associare qualsiasi straniero dalla pelle bianca con il Pishtaco, cosa che accade ancora oggi: nel 2009 il governo peruviano ha dovuto smentire ufficialmente una diceria su una banda mafiosa denominata "los Pishtacos" che uccideva la gente per venderne il grasso corporeo alle ditte di cosmetici.

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Libro che tratta della leggenda dei Pishtacos.

Sebbene rimangano le caratteristiche di base (pelle bianca sporcata dal sangue), l'aspetto fisico del Pishtaco varia di zona in zona: in Bolivia, ad esempio, il Pishtaco veste abiti "moderni" per meglio confondersi nel mondo degli uomini, e utilizza grossi pugnali per massacrare le sue vittime; in Perù, invece, egli mantiene per gran parte le caratteristiche di un Supay, ed è per gran parte nudo e utilizza le sue zanne come arma. Praticamente, uno Yaaxil ;)

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Messaggio da Nillc »

Mi sono reso conto che mancava uno degli elementi più importanti di TR2... rimedio subito :D

IL DRAGONE CINESE
Tomb Raider 2


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Il drago cinese (long) è una variante del drago orientale, creatura che si ritrova nelle mitologie di molti paesi asiatici. In genere, il drago orientale è una creatura benigna, connessa ai fenomeni atmosferici e agli elementi aria-acqua. Nella simbologia Taoista, il drago rappresenta lo Yang, l'elemento della creazione e dell'equilibrio: esso ha infatti corpo e testa di serpente (o coccodrillo), occhi umani, quattro zampe di rapace, criniera di leone, corna di cervo, baffi e scaglie di pesce-gatto; nella sua forma sono quindi compresi elementi di ciascuna specie animale. Si tratta di uno spirito buono, che si occupa di mantenere in ordine il mondo; generalmente è associato al sesso maschile, mentre la sua controparte femminile è femghuang, la fenice cinese, simbolo di distruzione e rinascita e degli elementi terra-fuoco. In alcuni paesi, come Giappone e Corea, il drago esaudisce i desideri dei puri di cuore; in altri, come l'India e la Cambogia, ha invece una valenza più negativa. Rispetto al drago occidentale, comunque, quello asiatico non è quasi mai del tutto cattivo, non sputa fuoco e, pur non avendo ali, vola spostandosi lungo le correnti d'aria.

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In Cina, il drago divenne presto simbolo del potere imperiale: si dice che il progenitore dei cinesi, denominato Shanlong (o Yan Di), fosse nato da una donna e da un dragone; il primo leggendario imperatore cinese, Quang Di (quarto millennio avanti Cristo), avrebbe adottato lo stemma del drago e, alla sua morte, sarebbe asceso al cielo sottoforma di quell'essere. Il primo imperatore di cui si abbia notizia storicamente, Ying Sheng (III secolo a.C.), assunse il nome di Qin Shi Huangdi in omaggio all'illustre progenitore, e aggiunse il suffisso -long ai titoli imperiali, guadagnandosi il nome di "Imperatore-drago" (che sarà ripreso da tutti i suoi successori). Per intenderci, si tratta di colui che fece realizzare il celebre esercito di terracotta.

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Questo sincretismo tra la figura dell'imperatore e il dragone diede man mano vita a una mitologia tutta sua: in altre parole, il dragone cinese imperiale è altro rispetto al drago cinese e asiatico tout court, tanto da differire in numerose caratteristiche. Innanzitutto, mentre i draghi "normali" possono essere di vari colori (quasi sempre molto tenui, come il verde, il celeste, il violaceo), il dragone imperiale è l'unico ad avere un corpo dorato; non può inoltre volare, ma ha delle zampe possenti che servono a schiacciare i propri nemici. Lo si raffigura quasi sempre con un volto feroce, e si dice che possa incenerire chiunque osi sfidarlo con un solo sguardo.
Anche in questo caso, tuttavia, la creatura non ha una valenza negativa: essa rappresenta infatti il potere dell'imperatore, equamente diviso tra forza e saggezza. Egli può infatti annientare qualsiasi nemico, ma deve anche saper amministrare la giustizia.

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Si dice che, mentre il drago "normale" poteva essere raffigurato e adottato da chiunque, il dragone imperiale fosse riservato alle sole persone dotate di forza e tempra: la potenza scatenata da questo simbolo era infatti tale da poter distruggere il corpo di un pavido. Ecco perché tradizionalmente questo simbolo compariva solo sugli oggetti maneggiati dall'imperatore: statue, troni, tendaggi, gioielli... e pugnali.




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Messaggio da Nillc »

C'era una piccola lacuna per quello che riguarda TR: Legend :) la copro io, sperando di farvi cosa gradita :)

VIRACOCHA/TUNUPA
(Tomb Raider Legend)


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In Tomb Raider: Legend Lara viene in contatto con una leggenda peruviana a proposito di una regina che, dopo essere stata a lungo tenuta all'oscuro delle sue nobili origini, riceve dal dio "Tunupa" (chiamato anche Viracocha) un "bastone magico" che le consente di tornare a regnare sul suo popolo. Questa leggenda, che sembra ricollegarsi al Ciclo Arturiano, non trova però corrispondenze nel folklore sudamericano; è però interessante soffermarsi sulla divinità citata nel gioco, Tunupa/Viracocha.

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Sebbene si tratti più o meno della stessa entità, è bene precisare che la sovrapposizione tra Tunupa e Viracocha è molto tarda ed è la conseguenza di un lungo processo sincretico. Entrambe le divinità sembrano discendere da un altro dio di cui si è perso il nome, e dunque viene indicato semplicemente come "Signore dei Bastoni": le poche rappresentazioni che di lui rimangono lo ritraggono sempre come un uomo dal volto ampio e squadrato (forse una maschera) e le braccia alzate a reggere due bastoni. Si sa poco di questo dio e del modo così peculiare con cui viene raffigurato; tuttavia sembra essere il retaggio di un proto-dio che trova riscontro in molte delle culture più ancestrali, il quale ha le braccia alzate e regge due oggetti oblunghi, forse dei serpenti, che rappresenterebbero il cielo e la terra, oppure la terra e il mare, o ancora il sesso maschile e quello femminile. Si tratta comunque di un dio primigenio, connesso con la natura stessa dell'uomo e del mondo.

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Il Signore dei Bastoni era venerato dunque da molte delle civiltà precolombiane, inclusi i Tihauanaco (o Tiwanaku... suona familiare? :D) che lo raffigurarono sulla Porta del Sole della città che oggi porta il loro nome. Questo avveniva intorno al III secolo a.C.; in seguito, col tramonoto dei Tiwanaku e l'ascesa degli Inca, il culto del dio andò a sincretizzarsi con quello di Viracocha, che per gli antichi peruviani era originariamente lo spirito della natura e della vita selvatica. Già a partire dal I secolo a.C. e fino al XVI d.C., Viracocha venne rappresentato con gli stessi attributi iconografici del Signore dei Bastoni, fino a che le due tradizioni non si sovrapposero del tutto.0
Molte sono le tradizioni che vogliono Viracocha creatore dell'uomo. Secondo la più diffusa, egli fece un primo tentativo creando degli esseri giganteschi e forzuti ma senza cervello nè sentimenti; deluso, li distrusse tutti sommergendoli con una gigantesca mareggiata, per poi ricostruirli come oggi li conosciamo; questa sarebbe una delle versioni sudamericane del protomito del Diluvio Universale, ma come vedremo è difficile comprendere se sia genuina o frutto delle molte interpolazioni.

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Infatti se parliamo di Tunupa, le cose si fanno più difficili. Anche in questo caso si trattava, originariamente, di uno spirito venerato dagli Inca, personificazione dei terremoti, dello schianto del tuono e dei vulcani (non a caso il maggior vulcano tra Perù e Bolivia prende il suo nome). In realtà per lungo tempo Tunupa e Viracocha furono considerati due entità completamente distinte: la loro sovrapposizione avvenne in tempi molto recenti, precisamente intorno al XVII secolo, a opera dei missionari cristiani di stanza in Sud America. Costoro si trovarono infatti di fronte a un Pantheon smisurato e complesso, frutto di una lunghissima coesistenza di molte tradizioni, nel quale un solo dio poteva avere più manifestazioni con nomi diversi. Per mettere ordine, i missionari decisero di "concentrarsi" su uno solo di questi dèi e caricarlo di molte caratteristiche pertinenti al Dio cristiano, nonché di altre assorbite direttamente dalle altre divinità compresenti. In altre parole Viracocha, che già sembrava godere di un ruolo preminente nella religione Inca, assunse attributi e denominazioni di altri, tra cui Tunupa: era una scelta obbligata, poiché quest'ultimo ricordava la potenza del Dio veterotestamentario. Da allora, forse anche per una questione di semplicità di nomi, si parlò indifferentemente di Viracocha e Tunupa come dello stesso dio.
Non solo: i missionari diedero al dio una serie di "nuove storie" e accezioni, tra le quali quella secondo cui egli era un uomo alto, biondo e con gli occhi azzurri, venuto dal mare per civilizzare gli uomini. Come abbiamo visto, questo è comune anche al mito di Kukulkan/Quetzalcoatl, ma ancora non è semplice capire se il mito fosse preesistente o se sia dovuto alla commistione che i missionari fecero tra le antiche religioni precolombiane e la figura di Cristo (tra l'altro le raffigurazioni dell'epoca lo vedono indossare una tunica bianca simile a quella di Gesù).

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Quanto alla leggenda di cui parliamo all'inizio, come abbiamo detto sembra essere stata creata dai programmatori di Legend. Tuttavia, c'è un lieve barlume di verità: uno degli ultimi sovrani Inca, vissuto a cavallo tra XIV e XV secolo, ha infatti una biografia romanzata che sembra ricalcare in parte quella narrata nel gioco. Secondo la leggenda, in seguito alla morte senza eredi di Huacac, settimo re degli Inca (assassinato dai suoi nemici), si aprì una lotta dinastica per stabilire chi fosse il suo successore; secondo la leggenda egli aveva avuto un figlio illegittimo, ma si credeva fosse morto. Un giovane uomo di nome Tupac, tuttavia, ricevette in sogno una visione del dio Viracocha che gli rivelava la verità sulle sue origini: egli era infatti il figlio perduto di Huacac. Presentatosi all'assemblea dei sacerdoti, il ragazzo pretese il trono, ma venne deriso; a quel punto si levò improvvisamente una voce soprannaturale che lo identificava come il vero figlio di Huacac. Il ragazzo salì al trono e assunse il nome di Viracocha Inca.
Anche questa leggenda è probabilmente il frutto della ri-narrazione dei conquistadores europei; tuttavia essa riprende in larga parte la storia di Re Artù :)




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Messaggio da Nillc »

Visto che ci sono, approfondisco anche la figura di Re Artù, sempre di Legend :) Talos ha efficacemente illustrato la sua tomba, ma vediamo un po' cosa c'è di vero a proposito della figura leggendaria e storica del celebre Re dei Britanni.

RE ARTU' ED EXCALIBUR
(Tomb Raider Legend)


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Re Artù è il leggendario sovrano dei Britanni, le cui gesta sono state tramandate in una serie di opere denominate "Ciclo Bretone" o "Arturiano", sviluppatosi nel corso del Medioevo. Sulla sua biografia le fonti sono spesso molto discordanti, ma si possono individuare alcuni stilemi comuni: Artù (Arthur) è il figlio segreto del re Uther Pendragon, nato dalla relazione clandestina di quest'ultimo con dama Igraine; il bambino viene affidato a un mago di nome Merlino, che lo cresce come suo figlio e gli dà un'istruzione adatta a un sovrano, tenendolo tuttavia all'oscuro delle sue origini. Pendragon nel frattempo muore apparentemente senza eredi, cosa che crea dei dissidi tra i pretendenti al trono: fortunatamente nella città di Londinium (l'attuale Londra) compare una spada conficcata in una roccia (o incudine), sulla cui elsa è scritto che "chiunque la estrarrà sarà Re dei Britanni per diritto divino". Una volta cresciuto, Artù estrae la Spada dalla Roccia e viene riconosciuto come il legittimo sovrano dei Britanni; egli si stabilirà nella leggendaria Camelto e fonderà un ordine di cavalieri a lui fedeli, i celebri "Cavalieri della Tavola Rotonda"; si sposerà poi con la regina Ginevra, la quale tuttavia lo tradirà col suo miglior accolito, Lancillotto. Dopo una serie di imprese a metà tra il fantastico e il guerresco, Artù perisce in un duello col suo acerrimo nemico Mordred; il suo corpo viene condotto ad Avalon, dal quale tornerà per salvare nuovamente la Bretagna alla fine dei tempi.

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Sulla storicità di Re Artù si dibatte da tempo: la maggior parte degli studiosi ritiene che Artù sia una figura esclusivamente leggendaria, nella quale sono confluite le tradizioni di molte culture tra cui quella latina, quella celtica e quella norrena; alcune imprese di Artù sembrano infatti ricalcare quelle di eroi mitologici di tali civiltà, o pertenere a testi letterari di cui rimane oggi solo una debole traccia. In ogni caso, nessuna fonte autorevole riporta il nome di un "Arthur" re dei Britanni.
Al contrario, però, esisterebbero anche prove della sua reale esistenza: secondo la tesi più accreditata egli sarebbe in realtà da riconnettere ad Emrys Wledig, che nelle fonti latine viene chiamato Ambrosio Aureliano. Questi era un condottiero di stirpe romana, vissuto tra V e VI secolo, che governò i Romano-britanni contro le ripetute invasioni sassoni. Il nome "Arthur" potrebbe essere una corruzione del praenomen romano Artorius, proprio della cosiddetta Gens Artoria, una stirpe appartenente all'ordine equestre: sulle origini di questo termine tuttavia non c'è concordanza tra chi lo vuole provenire dal messapico, dall'etrusco o addirittura dal gallico. In realtà è più probabile che si tratti non di un nome proprio, ma di un appellativo britannico che deriverebbe dal celtico "figlio di un orso" e che veniva dato come soprannome a condottieri particolarmente forti.
Questa alternanza tra fonti latine e britanniche si ravvisa anche nella figura di Merlino, nel quale si sarebbero fuse ben tre tradizioni: quella dello stesso Ambrosio Aureliano e quella di due druidi celti, entrambi denominati Myrddin (latinizzato poi in Merlin[us]); non ci sono invece riscontri per quello che concerne gli altri personaggi del Ciclo, che potrebbero essere stati mutuati da leggende galliche e celtiche.
Anche sulle sue imprese si dibatte molto: nessuna delle guerre comprese nel Ciclo Bretone è storicamente accertata, anche se si potrebbe trattare della mitizzazione dello scontro di civiltà, realmente avvenuto, tra Britanni, Celti, Sassoni e Scoti. Questa alternanza tra fonti latine e britanniche si ravvisa anche nella figura di Merlino, nel quale si sarebbero fuse ben tre tradizioni: quella dello stesso Ambrosio Aureliano e quella di due druidi celti, entrambi denominati Myrddin (latinizzato poi in Merlin[us]).

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Quanto a Excalibur, per prima cosa è bene specificare che non tutte le tradizioni la identificano come la stessa spada che Artù estrae dalla roccia: in molte versioni della storia, Artù spezza quest'ultima durante un duello, per poi ricevere Excalibur dalla Dama del Lago (un misterioso spirito benevolo che protegge Artù e, alla sua morte, lo conduce ad Avalon). Excalibur ha dei poteri magici tali da amplificare la forza di chi la brandisce, mentre il suo fodero ha la capacità di guarire le ferite.
L'etimologia del suo nome è incerta. Se si prende per buona la teoria della tradizione latina, esso potrebbe derivare dal suffisso latino "Ex" ("da") a cui potrebbe seguire la parola "Calibii", che starebbe a indicare l'antica civiltà dei Calibi (o Caliburni) inventori della metallurgia. In alternativa, la seconda parola potrebbe derivare dal celtico "Calfdwic", "acciaio".
Il thopos della "spada magica" è comune a molte tradizioni, basti pensare a Durlindana (spada di Rolando, paladino di Francia), a Cortaine e a Joyeuse, rispettivamente appartenute a Edoardo il Confessore e Carlo Magno; il mito della Spada nella Roccia è invece più antico e affonda le radici nel mito di Eracle, che per dimostrare la sua forza conficca una clava nel terreno e poi sfida i suoi nemici a estrarla (cosa che potrà fare lui solo). In epoca più recente, molti cavalieri conficcavano la propria spada in una roccia per abbandonare la vita bellicosa e abbracciare la religione: l'elsa della spada diventava una croce, simbolo del cristianesimo. A tal proposito, indicativa è la storia di san Galgano e la sua spada, ancora oggi visibile nei pressi di Siena (e protagonista di un bellissimo livello di Greywolf :D)

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... E visto che siamo in tema, ecco un piccolo bonus :D

IL MOSTRO DEL LAGO
(Tomb Raider Legend)


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Mi sono sempre chiesto se il mostro, anzi i mostri affrontati da Lara nel livello inglese di Legend abbiano un corrispettivo nelle leggende arturiane; di esse fanno parte molti mostri, ma nessun serpente marino o drago. L'unico corrispettivo può essere la celebre Bestia Glatisant, che oltre ad avere fattezze simili a quelle che si vedono nel gioco, è anche associato all'elemento acquatico.

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La Bestia Glatisant, detta anche "Glatissante" o "Belva Latrante", ha un aspetto mostruoso: ha la testa e il collo di un serpente con la criniera di un cavallo, il corpo di un leopardo, le zampe posteriori di un leone e quelle anteriori di un cervo. A seconda delle tradizioni, essa ha connotazioni positive o negative; nella maggior parte dei testi, Artù la incontra per la prima volta sulle sponde di un lago, dopo aver avuto un incubo premonitore sulla fine del suo regno. La Bestia è riconoscibile, oltre che dal suo aspetto, dal verso che essa emette, simile a una torma di cani da guardia che latrano dentro al suo stomaco; Artù decide di non combatterla e la osserva abbeverarsi, per poi vederla immergersi di nuovo nelle acque del lago. Successivamente darà ordine ad alcuni dei suoi cavalieri (Pelinor, Palamedes e Percival, di trovarla e ucciderla. In alcune versioni Artù decide di risparmiarla, ammirato dal suo aspetto e intristito dal suo verso, che sembra quasi dilaniarla dall'interno; in altre è lui stesso a combatterla e a sconfiggerla dopo una cruenta battaglia.

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La Bestia Glatisant è uno dei grandi misteri del Ciclo Arturiano: molti l'hanno interpretato come una prefigurazione della fine del mondo, contro la quale Artù deve battersi; altri la vedono come un'allegoria della responsabilità di un sovrano nei confronti del suo popolo, che da egli trae nutrimento; oppure può avere connotazioni cristologiche e rappresentare la rinuncia fatta da Artù verso il mondo celtico-pagano in favore del cristianesimo. Versioni più tardi la vogliono come una creatura al servizio della Dama del Lago, della Fata Morgana o addirittura una trasformazione di una di esse.

L'aspetto della Bestia Glatisant, comunque, avrebbe un corrispettivo reale: nei Bestiari medievali veniva descritta in questo modo... la giraffa! L'aspetto bizzarro di questo animale, all'epoca visibile solo in Africa, aveva spinto gli antichi a pensare che essa fosse un essere mitologico come una chimera.




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Nillc
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TR e la realtà

Messaggio da Nillc »

Ho sempre dato per scontato che le statue con tante braccia che in TR3 prendono vita e tentano di affettare Lara raffigurassero il dio Shiva, una delle principali divinità induiste; in realtà riflettendoci meglio penso che in realtà esse raffigurino, con qualche libertà, la sua consorte Kali. Questo sarebbe confermato anche dal nome dell'ultimo livello della sezione indiana di TR3, "Caverne di Kalya" (che Talos ha ampiamente trattato). Quindi vale la pena di parlarne un po' :)

LA DEA KALI
(Tomb Raider 3)

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Questa dea è una delle più conosciute dell'immenso pantheon induista, anche grazie alle molte rappresentazioni cinematografiche e letterarie (si pensi per esempio alla saga di Sandokan, il quale spesso e volentieri combatte gli adepti di una setta a lei devota). Quando la si menziona, vengono subito in mente alcune caratteristiche: le quattro braccia armate, la pelle nera o blu, i capelli lunghissimi e arruffati, l'espressione terrificante con tanto di lingua estroflessa e grondante di sangue; tradizionalmente Kali è identificata con la malvagità irrazionale e selvaggia, con i sacrifici umani e i culti misterici, ma la realtà è ben più complessa.

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Kali (il cui nome significa "l'Oscura") è infatti una manifestazione della dea primigenia Duruga (o Sakti), madre di tutte le divinità induiste e connessa probabilmente col culto della Femmina Sacra (o Grande Madre) comune a tutte le religioni. Ci sono molte varianti mitologiche a proposito della sua nascita: la più diffusa vuole che Duruga abbia creato Kali perché combattesse Raktabjia, un pericolosissimo demone la cui missione era distruggere tutti i mondi esistenti. La caratteristica di Raktabija era quella di non poter mai morire, poiché se gli si tagliava la testa egli rinasceva dal suo stesso sangue; Duruga quindi diede alla luce Kali (oppure ne assunse le sembianze), dandole a sua volta il potere di distruggere ogni cosa. Kali tagliò la testa al demone e ne bevve tutto il sangue, in modo che egli non potesse più risorgere; a quel punto, tuttavia, fu lei a rappresentare un pericolo per i mondi, poiché la sua furia distruttrice era inarrestabile; intervenne allora Shiva, il dio che distruggerà i mondi alla fine di ogni cosa: anziché combatterla, si stese in terra e attese che Kali gli passasse addosso. Nel mettere un piede sul ventre del suo innamorato, Kali provò vergogna per i suoi gesti e si arrestò, in attesa di sfogare la sua furia insieme al suo sposo alla fine dei tempi.
Kali è quindi la dea della distruzione, ma anche della consapevolezza di sé e della capacità di gestire la propria rabbia; è inoltre la rappresentazione dell'umana capacità di infrangere i legami spirituali, giungendo così alla liberazione. In genere è rappresentata con quattro mani, che talvolta diventano sei o addirittura dodici: le armi che esse impugnano sono i simboli della sua funzione distruttiva, ma anche della capacità di recidere la dipendenza tra mente e realtà sensoriale.

Un'ultima chiosa: alcuni studi recenti hanno messo in relazione le raffigurazioni di Kali con quelle delle gorgoni arcaiche... anche queste sono una nostra vecchia conoscenza :D

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