Tantissimi anni fa andai a vederlo a teatro e fu una grandissima emozione: non avrei mai pensato che uno spettacolo senza parole, fatto solo di gesti, potesse trasmettere tanto allo spettatore.
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per mezzo secolo ha portato nei teatri di tutto il mondo la sua arte raffinata, fatta di poesia e di silenzio. Da Pierrot a Chaplin, da Buster Keaton a Laurel e Hardy, raccoglie l’eredità dei grandi interpreti e diventa una maschera immortale.
Porta la sua arte da un continente all’altro, come un viaggiatore ignaro delle frontiere e della pluralità delle lingue, con in tasca un linguaggio universale: quella dei gesti e del silenzio da cui sgorga il suo canto inetriore.
Allievo del padre del mimo moderno Étienne Decroux, è con lui che la nuova arte mimica raggiunge il successo, raggiungendo (fra '44 e '47), le vaste platee internazionali con il suo personaggio, la sua maschera più celebre, quella del clown Bip, creata nel 1947 con la quale fu a lungo identificato: viso impiastricciato di bianco, costume arlecchinesco a strisce su fondo grigio, in testa una specie di cilindro floscio e acciaccati in seta, movimenti flessuosi e ammiccanti, atteggiamento tra il leggiadro e il malinconico, in grado di parlare al pubblico meglio di qualsiasi voce.
E’ l'identifìcazione il procedimento base sul quale si impernia il mimo di Marceau.
"C'è nell'arte del mimo - scrive nel 1957 - l'arte dell'identificazione dell'essere con gli elementi che egli ricrea intorno a lui". Di conseguenza, al mimo oggettivo, caratterizzato dai "movimenti meccanici puri che nascono dagli oggetti", egli preferisce il mimo soggettivo, i cui movimenti "si riferiscono ai caratteri e alle passioni dell'essere umano e che [...] risultano parimenti dall'identificazione di se stessi con tutti gli elementi".
L'identificazione come tecnica mimica è a sua volta la condizione principale (anche se non unica) per l'identificazione dello spettatore nell'attore, nell'Eroe che questi incarna ("lo spettatore - spiega ancora - ha bisogno di eroi, ha bisogno di fissarsi su di un personaggio perché vuole identificarvisi").
Fa proprio della comprensibilità/leggibilità la sua preoccupazione principale perchè è sempre e soltanto in relazione per il pubblico, anche più modesto e indifferenziato, che Marceau attua tutte le scelte decisive nel corso della propria carriera.
Per molti anni il repertorio di Marceau è cambiato poco. Ma la sua non era ripetizione del già visto ma la dimostrazione concreta, che un pezzo può venire ripetuto cento o duecento volte nell'arco di decenni e risultare sempre vivo e, in certo modo, diverso, sotto un'apparenza d'immutabilità. Un po’ come la nostra vita in cui dovremmo vedere sempre in modo nuovo quello che solamente in modo apparente si ripete.
Il rischio della "meccanizzazione" insito nel ripetere all'infinito le stesse pantomime, Marceau rispose: "Lo si può evitare soltanto se ogni volta c'è un atto d'amore. Il mimo è come la musica. E poi, le pièces stesse evolvono. Così il Soldato è diventato buono, come il vino".
Nel corso degli anni Settanta ha anche accentuato la presenza della musica, in precedenza usata soltanto come sfondo sonoro o come contrappunto del movimento, con la conseguenza di spingere sempre di più la sua performance verso la danza. Non molto tempo fa ha dichiarato in proposito: "Amo il silenzio poiché offre tutta la sua ricchezza alla gravità dell'arte del mimo, ma non potrei concepire la mia arte senza l'utilizzazione della musica".( LaStampa)
Porta la sua arte da un continente all’altro, come un viaggiatore ignaro delle frontiere e della pluralità delle lingue, con in tasca un linguaggio universale: quella dei gesti e del silenzio da cui sgorga il suo canto inetriore.
Allievo del padre del mimo moderno Étienne Decroux, è con lui che la nuova arte mimica raggiunge il successo, raggiungendo (fra '44 e '47), le vaste platee internazionali con il suo personaggio, la sua maschera più celebre, quella del clown Bip, creata nel 1947 con la quale fu a lungo identificato: viso impiastricciato di bianco, costume arlecchinesco a strisce su fondo grigio, in testa una specie di cilindro floscio e acciaccati in seta, movimenti flessuosi e ammiccanti, atteggiamento tra il leggiadro e il malinconico, in grado di parlare al pubblico meglio di qualsiasi voce.
E’ l'identifìcazione il procedimento base sul quale si impernia il mimo di Marceau.
"C'è nell'arte del mimo - scrive nel 1957 - l'arte dell'identificazione dell'essere con gli elementi che egli ricrea intorno a lui". Di conseguenza, al mimo oggettivo, caratterizzato dai "movimenti meccanici puri che nascono dagli oggetti", egli preferisce il mimo soggettivo, i cui movimenti "si riferiscono ai caratteri e alle passioni dell'essere umano e che [...] risultano parimenti dall'identificazione di se stessi con tutti gli elementi".
L'identificazione come tecnica mimica è a sua volta la condizione principale (anche se non unica) per l'identificazione dello spettatore nell'attore, nell'Eroe che questi incarna ("lo spettatore - spiega ancora - ha bisogno di eroi, ha bisogno di fissarsi su di un personaggio perché vuole identificarvisi").
Fa proprio della comprensibilità/leggibilità la sua preoccupazione principale perchè è sempre e soltanto in relazione per il pubblico, anche più modesto e indifferenziato, che Marceau attua tutte le scelte decisive nel corso della propria carriera.
Per molti anni il repertorio di Marceau è cambiato poco. Ma la sua non era ripetizione del già visto ma la dimostrazione concreta, che un pezzo può venire ripetuto cento o duecento volte nell'arco di decenni e risultare sempre vivo e, in certo modo, diverso, sotto un'apparenza d'immutabilità. Un po’ come la nostra vita in cui dovremmo vedere sempre in modo nuovo quello che solamente in modo apparente si ripete.
Il rischio della "meccanizzazione" insito nel ripetere all'infinito le stesse pantomime, Marceau rispose: "Lo si può evitare soltanto se ogni volta c'è un atto d'amore. Il mimo è come la musica. E poi, le pièces stesse evolvono. Così il Soldato è diventato buono, come il vino".
Nel corso degli anni Settanta ha anche accentuato la presenza della musica, in precedenza usata soltanto come sfondo sonoro o come contrappunto del movimento, con la conseguenza di spingere sempre di più la sua performance verso la danza. Non molto tempo fa ha dichiarato in proposito: "Amo il silenzio poiché offre tutta la sua ricchezza alla gravità dell'arte del mimo, ma non potrei concepire la mia arte senza l'utilizzazione della musica".( LaStampa)
Per chi non lo conoscesse :
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