[Racconto] Una promessa è una promessa

Una storia per ricordare una persona

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overhill
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[Racconto] Una promessa è una promessa

Messaggio da overhill »

Ciao a tutti.

Non contento di gestire ben due racconti contemporaneamente, ho deciso di mettervi anche qualcuno dei miei racconti brevi, cosine che ho scritto d'impulso, preso da un'improvvisa ispirazione.

Un paio di questi sono nati dopo che due persone a me care se ne sono andate.
Gianni, il protagonista del brevissimo racconto che segue, era uno zio di mia moglie (marito di una sorella di mia suocera, per la precisione). E' stato estroverso e geniale fino all'ultimo, nonostante fosse costretto sulla sedia a rotelle e a dipendere da una macchina che giornalmente gli ripuliva il sangue. Pittore e scrittore, era la classica persona di cui si dice "ha le mani d'oro" a indicare che qualunque cosa passi loro per le mani acquista in valore. Un giorno abbiamo passato un bellissimo pomeriggio nella sua casa di Frabosa Sottana, vicino a Mondovì (Cuneo), a discutere su come realizzare un carillon, quali particolari tecnici usare, quanto grandi fare le ruote, in quale materiale eccetera.

Il racconto è assolutamente inventato, non c'entra nulla con la sua vita vera, ma riporta quella che secondo me sarebbe stata la "sua" soluzione ad un problema etico.

Buon divertimento :)
Ciao a tutti

Mario Overhill

Da soli si va più veloce. Insieme si va più lontano.
[Proverbio Africano]
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overhill
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Messaggio da overhill »

Una promessa è una promessa

Avevano impiegato quarant'anni per diventare così profondamente amici, ma non era stato difficile, in fondo. Anzi, a ben guardare amici lo erano diventati subito; i quarant'anni che erano seguiti erano serviti a rendere questa amicizia solida come l'acciaio.
Si erano trovati tutti e cinque nella stessa caserma, a sei o settecento chilometri da casa. Non che facesse differenza un centinaio di chilometri in più o in meno. Però avrebbero tutti preferito fossero stati in meno. Ma il destino non fa calcoli, e se li fa non usa la stessa matematica che usiamo noi.
Venivano tutti da Torino o dai dintorni, e avevano legato subito. Stavano sempre tutti insieme, tanto che per gli altri commilitoni erano diventati “i cinque dell'Ave Ninchi”, una battuta che dopo quarant'anni aveva perso gran parte della sua ironia.
Tornati alla vita civile, dopo l'anno di servizio, non si erano persi di vista. Avevano iniziato a vedersi sempre più spesso, fino a quando non avevano deciso di stabilire “la regola”: tranne che in casi eccezionali e ben definiti, segnati su un tovagliolo preso dal solito bar, ogni venerdì sera ci si incontrava. Se si rientrava in uno dei casi in elenco, ci si sentiva per telefono, secondo una ben precisa sequenza: Angelo chiamava Bastiano, che chiamava Cesare, che chiamava Dario, che chiamava Gianni, che chiamava da capo Angelo, a chiudere il cerchio.
In quarant'anni questa regola non era mai stata infranta. Mai; neanche una volta, neanche dopo il matrimonio di tre del gruppo. era stato sufficiente chiarire subito con le mogli che “il venerdì non si tocca: vado da Ave Ninchi”. Qualcuna delle mogli aveva provato a protestare, ma non c'era stato nulla da fare.
Il ritrovo era sempre lo stesso: il bar di Elio, che contribuiva a riempire il buco alfabetico tra Dario e Gianni. Non che facessero nulla di particolare durante i loro “Venerdì della Ninchi”. Bevevano un paio di birre, giocavano qualche mano a carte, solitamente scala quaranta o pinnacolo. E parlavano. Di qualunque cosa, senza mai porsi il problema di essere o no noiosi.
Non c'era nessun limite agli argomenti: sesso, religione, masturbazione, razzismo, politica; qualunque argomento era accettato e discusso. Non che fossero sempre d'accordo, anzi. Alle volte c'erano discussioni (specialmente quando si parlava di politica...), ma un'altra regola, non scritta però, esigeva che ci si lasciasse sempre da buoni amici, con una stretta di mano.
Era stato durante un venerdì in cui la birra aveva fluito un po' più abbondantemente del solito, che il discorso aveva preso una strada mai battuta prima: la morte. Avevano discusso per parecchio, quella sera, su quale fosse il modo “migliore” per andarsene, quali riti erano consigliati o voluti e altre cose relativa alla tanatologia.
Poi Angelo disse: “Se muoio per primo io, voglio che siate voi quattro a portare la mia cassa”.
Un attimo di silenzio attonito: Angelo aveva un tumore, e probabilmente sarebbe stato proprio lui il primo ad abbandonare il gruppo. Almeno stando alle possibilità. Nessuno cercò di cambiare discorso, o di dire una di quelle frasi di circostanza che fingono di non vedere l'evidenza. Questo tipo di comportamento non faceva parte del DNA del gruppo. Bastiano mise una mano sulla spalla di Angelo, che la mise su quella di Gianni, e così via fino a chiudere il cerchio.
“Angelo”, disse Cesare, “io te lo prometto.” Poi si girò verso gli altri, che però non avevano bisogno di un invito. Giurarono tutti solennemente.
“Anzi” disse Dario “facciamo così: promettiamo tutti che chiunque sia il primo, gli altri quattro porteranno la sua cassa, qualunque siano le condizioni, ok?” Questa proposta innescò una discussione, perché non tutti erano convinti, in questo caso. Poteva succedere che le condizioni fisiche non permettessero di mantenere la parola, e questo, nel gruppo, era considerato alto tradimento. Dopo un paio di ore, però, tutti si convinsero e fecero la loro Promessa. Con la P maiuscola.
Ma, come si diceva, il caso fa i conti con una matematica diversa dalla nostra.
I cinque avevano deciso di farsi una gita in montagna. Avevano pianificato tutto per mesi, per cercare una data che andasse bene a tutti. Poi, il sabato in cui sarebbero dovuti partire sulla grossa monovolume di Dario. Gianni aveva avuto un contrattempo. Troppo tardi per spostare la gita.
Gianni era andato a salutarli quando partirono, perché “partire è un po' morire”.
E infatti, sulla Torino-Frejus, un camion sbandò davanti al monovolume, si girò occupando l'intera carreggiata. L'auto frenò disperatamente, ma non riuscì ad evitare l'impatto, che si risolse in pochissimi danni alle persone, ma nel blocco delle portiere. Il camion che seguiva la vettura era un vecchio mezzo senza ABS. Piombò sui quattro amici come un maglio. Tutto avvenne in circa dieci secondi, tra il primo e il secondo urto. Un'eternità, ma Gianni sperò che non avessero avuto il tempo per rendersi conto di essere pronti per morire.
Dieci secondi: ci sta un'intera frase musicale di otto misure a 128 bpm. Un intero ritornello. Atroce.
Di fronte a queste considerazioni, il problema che Gianni aveva dovuto affrontare poteva sembrare una bazzecola; ma una promessa è una promessa, e lui, anzi, loro, avevano sempre mantenuto le loro promesse.
Ringraziò il cielo che il grado di intimità e di amicizia che c'era tra loro fosse così profondo da superare quello che avevano con le varie mogli, compagne, suocere, amanti e quant'altro. per cui lui era il solo a conoscere i desideri dei quattro.
Certo, aveva dovuto mentire per risolvere il problema, ma l'aveva fatto a fin di bene, certo che il religiosissimo Cesare, che non avrebbe mai e poi mai acconsentito, lo avrebbe perdonato.
Estrasse un grosso fazzoletto e si soffiò il naso. Lo piegò e lo rimise in tasca. Si chinò con qualche sforzo, causato dai sessant'anni che vibravano nella sua schiena, e con qualche sforzo riuscì a sollevare il suo fardello. Con passo lento, ma deciso, si avviò verso i loculi dove avrebbero riposato, vicini come sempre le spoglie mortali dei suoi amici, portando con discreta noncuranza la cassa, l'unica, che conteneva le quattro urne con le loro ceneri.

Fine

22.9.2006
Ciao a tutti

Mario Overhill

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Messaggio da Blu »

Fascinoso il personaggio di Gianni (il marito di una sorella di tua suocera), una di quelle persone che piacerebbe tanto incontrare/conoscere, perché sanno arricchirti in mille modi ed ogni volta le si lascia con qualcosa "in più" nel cuore e nella mente :) .. mi sarebbe proprio piaciuto essere lì a sentirvi progettare il carillon :) , ma poi lo avete realizzato :D ?


Ma veniamo al racconto (diamine, sei un giacimento inesauribile di storie/racconti/romanzi :D ): bellissima l'amicizia che legava i cinque amici e beffardo, come lo è sempre, il destino che ha "salvato" la vita a Gianni.. geniale la sua soluzione per poter onorare la Promessa, soprattutto perché (anche se non scritta) in quel "mentire per risolvere il problema" si racchiude la montagna irtissima di complicazioni e problemi che avrà dovuto superare per poter attuare la sua pensata, dall'affrontare i parenti (che pur conoscendo l'intimo rapporto fra “i cinque dell'Ave Ninchi” avranno sicuramente voluto dir la loro sulle esequie), ai problemi logistici (organizzare le cremazioni, le complicazioni per i funerali - specie se i parroci erano diversi o "vecchia maniera" - le onoranze funebri, il cimitero, il funerale.. ), insomma, oltre che geniale sicuramente caparbio e tenace :) .. un'amicizia di quel tipo, quella che ti porta a fare anche cose che non avresti mai immaginato di poter fare (ricordiamoci che anche Gianni "ha una certa età" [:^] ) non può che far bene al cuore, anche se è una storia non vera, anche se è solo un racconto letto in una tarda mattinata di luglio :) : grazie :D


PS: piccola parentesi "angosciante": quei 10 secondi in cui sono rimasti bloccati nell'auto, fra il primo impatto ed il secondo fatale, sono qualcosa di semplicemente terrificante :o .. il solo pensiero (e la tua descrizione) toglie il fiato, la sensazione che si prova è tangibile, l'aria sembra diventar tutto un colpo pesante, quasi vi si potesse nuotare attraverso, le orecchie si tappano, quasi non si riuscisse a sentir più nessun rumore.. 10 secondi sono veramente "troppi" in certi frangenti, perché è impossibile non rendersi conto di ciò che accade e credo che alla disperazione, dopo il quarto secondo, faccia seguito una certa rassegnazione, il non esserci via di scampo ti fa solo pensare "è andata", chiudi gli occhi e speri che il dolore sia il più breve possibile.. se fosse un film quei 10 secondi durerebbero molto di più del tempo reale, perché è così che appare quando ti investono fatti simili, quello che si riesce a pensare in quei pochi momenti è semplicemente incredibile per la velocità che acquista il pensiero, e spesso poi non sono nemmeno cose "importanti", ma anche cose stupide che se la situazione fosse differente farebbero perfino sorridere, o magari sorridiamo pure per l'ironia del vederci "da fuori" .. credo che una scena simile, in un ipotetico "corto" tratto dal racconto, non avrebbe audio: il silenzio alle volte (nei film) rende meglio di qualsiasi melodia la disperazione del momento.. non c'entra nulla, ma per farti capire il "silenzio disperato" di cui parlo hai per caso visto "La 25esima ora" di Spike Lee? (tratto dal romanzo di David Benioff che l'ha pure sceneggiato) .. ecco, il silenzio di quei pochi secondi claustrofobici in cui il protagonista chiede ed ottiene dal suo migliore amico di pestarlo fino a sfigurargli il volto, in modo da apparire meno attraente agli altri reclusi (sta per essere incarcerato) .. oppure quel silenzio innaturale che immagino preceda un'esplosione atomica.. insomma "quel" silenzio :)




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overhill
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Messaggio da overhill »

Sapessi quante volte ho cercato le parole giuste per descrivere quei momenti in cui il tempo si ferma, e hai la netta sensazione di vedere tutto, nei minimi particolari.
Penso che inserirò queste parole in uno dei miei prossimi racconti :)
l'aria sembra diventar tutto un colpo pesante, quasi vi si potesse nuotare attraverso, le orecchie si tappano, quasi non si riuscisse a sentir più nessun rumore
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Mario Overhill

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