[Romanzo] Il vangelo di Anna

La seconda indagine del Commissario Polloni

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overhill
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Messaggio da overhill »

Arriveremo anche a quella spiegazione, Blu :)

La versione originale del romanzo non prevedeva il capitolo finale, che qui ovviamente metto, nel quale Polloni riesce (con un po' di forzatura) ad incontrare Rizzo e a parlargli. E riesce anche a incontrare un'altra persona :D
Ma vedrete alla fine ;)
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bashira
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Messaggio da bashira »

Ho cominciato oggi a leggere seriamente ( diciamo che il fatto di avere una colica renale in corso, mi obblioga stare tranquilla e seduta e a non fare altro che leggere o guardare la tv ehehhe ).

Innanzi tutto bellissimo l'esordio. Il sogno che si confonde con la realtà, cosa che accade molto spesso la fase del sonnno è più leggera, è narrata con maestria, a tale punto che sembra di viverla.



La famiglia Peano era titolare da almeno dieci generazioni del più che famoso negozio “Oreficeria Peano”, punto di riferimento importante nella centralissima via Roma.
Bè mi ricorda tanto una gioielleria in Via Roma davanti alla quale sono passata milgiaia di volte, attratta non tanto dai gioielli propriamente detti, quanto dagli orologi che adoro in maniera particolare :D


Adesso erano veramente troppe le ore che aveva passato attaccata a quello stramaledetto palo, senza mangiare e senza bere. E senza liberarsi di urina e feci...si schifò un poco a quel pensiero, come sempre pensando ad argomenti del genere.

Chissà quante volte anch'io mi sono chiesta: ma come fanno quei poveretti?
Che tenera la figura del cagnolino scodinzolante: sembra proprio un esserino molti sveglio e intelligente. :D

L'anziano allora rivolse un saluto al commissario: “cerea”
Polloni rifletté per l'ennesima volta sullo strano carattere dei suoi corregionali. Il saluto in piemontese, anche se sulle prime poteva sembrare un sistema per mantenere le distanze da un possibile “forestiero”, in realtà era un forte indicatore di quanto i Piemontesi fossero rispettosi del prossimo per loro natura.

ahhhhhh, quanto ti do ragione. a tal proposito, faccio un piccolo OT e ti racconto un piccolo aneddoto, sulla cortesia e sui vicini di casa piemontesi.

Durante i miei studi universitari, dopo un paio di anni passati a fare la pendolare tutti i giorni, andai in affitto in un alloggio in via Napione, in un
piccolo bilocale, cucina, camera/soggiorno e bagno, all 'interno di un condominio abitato in buona parte da piemontesi veraci.

Uno in particolare, il mio dirimpettaio, era un anziano signore, così riservato, che non so come, sapeva sempre i fatti di tutto e tutti.... :asd:
Questo vecchino, che ho saputo poi che è venuto a mancare quando io non stavo più a Torino ( sarà morto per il dispiacere di aver perso una cotal vicina?? :O_o: ) era di una gentilezza grandiosa: non c'era volta che io uscissi sulo pianerottolo delle scale in attesa dell'ascensore e lui, coincidenza :asd: , usciva sempre in contemporanea con me, per dirmi il suo " CEREA" e poi rientrava in casa... Dico io .. ma viveva dietro lo spioncino ? :D




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overhill
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Messaggio da overhill »

Cavoli, mi spiace per la tua colica renale! Deve fare un male boia!
Per fortuna che Polloni (e quindi io) ti tiene compagnia :)

Il tuo dirimpettaio mi affascina: quasi quasi ne faccio un personaggio e lo infilo da qualche parte, magari in quello che sto scrivendo adesso (tanto, un personaggio più, uno meno... :D )

Mi fa piacere che la storia ti stia piacendo: chi segue la versione "ufficiale" sa già chi ha organizzato tutto...ma qualche sorpresa salterà fuori a breve ;)
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bashira
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Messaggio da bashira »

Il tuo dirimpettaio mi affascina: quasi quasi ne faccio un personaggio e lo infilo da qualche parte

Era un mito :D . Senti quest'altra.

All'epoca i cellulari non erano ancora diffusi, per cui se si era fuori casa, era difficile essere rintracciati. Caso volle che un giorno, pur essendo in casa, i telefoni fossero irrangiungibili per tutta la giornata. Io non prestai assolutamente attenzione al fatto che, per una intera giornata, il telefono non avesse mai squillato ( insomma che il mio fidanzato mi telefonassse o meno non mi disturbava più di tanto)....

Il mattino seguente evidentemente preoccupato del fatto che io non rispondessi al telefono di casa, Gerry, che viveva a Bardonecchia, ( questo il nome del mio fidanzato....Toh... coincide con quello di mio marito :asd: ) telefonò in Questura e chiese ad un suo collega, nostro amico, di passare da Via Napione a vedere se era tutto a posto ( farsi i fatti suoi no eh?.... :sbam: ).

Sempre il Caso ( anche lui però eh....), volle che io a quell'ora fossi uscita, perchè avevo da seguire i corsi all'Università, per cui, quando il collega arrivò a casa, non trovo nessuno.. tranne il provvidenziale vecchino dirimpettaio che gli elencò tutti i miei orari di entrata e di uscita da casa del giorno precedente, con dovizia di particolare del tipo: alle 8 è uscita sul lungo Po a portare il cane a fare i bisognini, alle 8.45 ha preso il 55 o il 15 non ricordo ecc ecc . (Ah ecco, tornando al discorso gentilezza, anche il Lungo Po al mattino, con tutti i signori che portavano fuori i loro cagnetti, era tutto un proliferare di "Cerea" e " Buondi" )

Al mio rientro a casa, trovai casualmente come sempre il gentil vecchietto sul pianerottolo che cominciò a dirmi che era successa una stranezza: un aitante giovane, eccccc( vi risparmio la descrizione precisissima che mi fece del nostro amico ) mi stava cercando.. E fu così che grazie a questo passaparola del vicino, ho scoperto che il telefono era fuori uso.

MOrale della favola : non tutti i mali ( leggi gli impiccioni) vengono per nuocere.
:asd: :D

PS anche se a pensarci bene... insomma dire tutti i fatti miei ad uno sconosciuto.. :sbam:




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Messaggio da overhill »

Ricordi mica il nome?
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Messaggio da bashira »

overhill ha scritto:Ricordi mica il nome?
Ho un vuoto completo sul nome... MI pare Ferrero, ma non vorrei confondermi. :mumble:




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Messaggio da overhill »

Uh, Ferrero, il mio primo personaggio (a parte Mariano, ovviamente :D )
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Messaggio da bashira »

overhill ha scritto:Uh, Ferrero, il mio primo personaggio (a parte Mariano, ovviamente :D )

Bè a Torino ce ne sono a iosa..
:asd:




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Messaggio da overhill »

Bene, oggi siamo alla svolta finale: scopriremo chi è il "complice" di Anna, e scopriremo anche il perché non è intervenuto quando la situazione è precipitata... ;)
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Messaggio da overhill »

Giovedì 28 Aprile – 9:00

Rizzo non si presentò in ufficio. Polloni provò a chiamarlo sul cellulare ma dopo qualche squillo la comunicazione veniva interrotta, segno che Giacomo rifiutava la chiamata. Ne aveva tutte le ragioni, su questo il commissario era assolutamente d’accordo, però accidenti, almeno dargli la possibilità di spiegare… All’ufficio personale risultava che Rizzo si era preso una settimana di ferie arretrate e che sarebbe rientrato ai primi di Maggio.
Polloni stava sbuffando, pensando al periodo di attesa che stava arrivando, quando qualcuno bussò alla porta del suo ufficio.
Era un collega giovane di un altro ufficio.
“Commissario è arrivato un pacchetto per lei. Dalla Svizzera.”
Il diario di Anna!
Il commissario ringraziò il giovane e aprì quasi con furia la grande busta gialla. Ne uscì un diario di dimensioni contenute, dalla copertina nera, e molto gonfio, segno che era stato sfogliato e utilizzato molte volte. E segno anche che molti fogli erano stati aggiunti, fogli come fotografie, disegni e altro.
Insomma, un diario vissuto.
Lo aprì alla prima pagina e vide una fotografia di Anna a mezzo busto, con un’espressione arcigna e sotto una didascalia che recitava: questa sono io: se tu non sei me, chiudi subito questo diario! Polloni sorrise. Dalle descrizioni che gli erano state fatte della ragazza aveva capito che si trattava di una sveglia, e questo tipo di battute ne dava la conferma. Come la poesia che avevano trovato in camera sua.
Polloni scorse il diario pagina per pagina: ogni momento della vita della giovane era stato scritto, sia quelli belli, con fotografie e didascalie in tema, sia quelli tristi, con brevi componimenti e poesie. Polloni non era particolarmente amante della poesia, ma riconosceva una certa fredda bellezza a quelle di Anna.
In una pagina una foto ritraeva quattro volti truccati di nero, con uno sfondo nero, e gli occhi spalancati. In pratica otto occhi che svolazzavano ridenti. La didascalia diceva gli occhi nel buio! Buon carnevale a tutti!
Notò anche che non erano in ordine cronologico, nel senso che non sempre le annotazioni erano nella pagina della data a cui corrispondevano. Non sempre c’erano indicazioni, ma spesso Anna iniziava le sue frasi con “Cara Torino…” Bello pensare che una ragazza così giovane fosse così affezionata alla sua città. Una come Torino, poi, che molti ritengono fatta più per gli anziani e gli adulti, che per i ragazzi.
Polloni sfogliò ancora un poco. Incontrò alcune foto di amici. Le colonne portanti dell’università diceva la didascalia sotto la foto. A sinistra ce n’era una che catturò l’attenzione del commissario, non tanto per la foto, che ritraeva la ragazza con un cagnolino, ma per la didascalia.
Io e Gnino.
Gnino? Ma non era il nome che gli aveva detto il ‘mago’? Polloni non ricordava esattamente, visto che in quel momento era più intento a fare attenzione ai trucchi del ciarlatano, però gli pareva proprio che il nome fosse quello.
O boia faus! Disse tra se il commissario. Sta a vedere che quel mago da operetta magari qualche potere ne aveva pure. Si riscosse, e inserì il suo personale filtro da poliziotto: ma no non è possibile! In fondo era un cliente del negozio dei genitori, magari avrà sentito una volta la ragazza fare il nome del suo cane, e mi ha voluto fregare con un trucco.
Però il tarlo che spesso abitava nel cervello del commissario gli disse sottovoce: “si, ma come faceva a sapere che c’era un cane?” Che fosse coinvolto nel rapimento? Ma se così fosse non avrebbe certo dato un indizio così. E poi probabilmente non sapeva nulla del cane. Ma allora...
Ancora preso dalla rivelazione mistica, Polloni girò alcune pagine.
Poi si fermò. Immobile. Come se una scarica elettrica gli avesse attraversato il cervello.
Tornò indietro e guardò meglio la foto delle colonne dell’università. C’erano i nomi sotto, e da ogni nome partiva una freccia per indicare a chi apparteneva il nome: Anna, ovviamente, poi Cinzia, una bella figliola. Claudio, fisico atletico, l'unico che lui conosceva di persona, visto che gli interrogatori erano stati fatti da diversi agenti separatamente, per velocizzare il lavoro, era seduto in braccio all'ultimo del gruppo.
Franco. Seduto. SU UNA SEDIA A ROTELLE!
Porca miseria! Ecco cos’erano i segni di pneumatico! Non di una bici ma di una sedia a rotelle, che evidentemente ha un diverso disegno del battistrada. Ma com'è che una informazione del genere non c'era nei rapporti? Se ne sarebbe sicuramente ricordato! Si diede una delle tante pacche sulla fronte: aveva letto su una delle schede la dicitura 'portatore di handicap', ma non aveva approfondito la cosa!
Polloni ebbe una delle sue tante intuizioni. Prese la cartellina con gli appunti sul caso, una cartellina piuttosto magra, e cercò forsennatamente il nome completo del ragazzo. Alzò il telefono e chiamò Rizzo. Emise un’imprecazione da competizione quando si ricordò che non era al suo posto. Chiamò allora la segreteria centrale e disse, anzi ordinò, che gli trovassero immediatamente l'indirizzo esatto di Franco Perotto. Lesse subito sotto un’altra didascalia anzi, Francesco, se no s’incazza, e disse concitatamente: “Franco o Francesco Perotto. Presto è urgentissimo. Chiamatemi poi sul cellulare!”
Attaccò e si avviò verso l’uscita, sperando che si sbrigassero.
Così fu. Mentre saliva su una macchina di servizio un collega lo chiamò dandogli un indirizzo di Settimo Torinese, cittadina a pochi chilometri da Torino. Normalmente usava la sua macchina, ma non ci aveva mai fatto installare radio o sirena e questa volta gli serviva, eccome se gli serviva.
Sirena e acceleratore premuto al massimo, Polloni guidava correndo come non aveva mai guidato in vita sua, sperando di fare in tempo. Corse come un dannato, evitando numerosi incidenti per pochissimo. Insultando tutti quelli che non erano abbastanza veloci a scansarsi. Prendendo tutte le scorciatoie che conosceva.
Arrivò in pochi minuti a Settimo, poi incominciò a cercare la casa. Fortunatamente conosceva il paese piuttosto bene, e in poco tempo riuscì ad arrivare davanti a casa del ragazzo, un palazzo di tre piani con davanti un piccolo giardino.
Si precipitò verso la porta e cercò forsennatamente il campanello da suonare.
Perotto F. 2P! Truvà! Suonò, suonò e risuonò tenendo premuto. Nessuno aprì.
Suonò tutti gli altri campanelli. Alcune voci si accavallarono sul citofono, alcuni si sporsero dalla finestra.
“Aprite, presto, sono della Polizia!”
La serratura del piccolo cancello che, attraverso il minuscolo giardino, portava al portone d’entrata, fece un secco rumore metallico. Si precipitò sulle scale per arrivare velocemente al secondo piano.
Anche qui suonò disperatamente ma non ci fu nessuna risposta. Molti coinquilini si avvicinarono, vociando: “cos’è successo?”, “chi ch’a l’è chiel lì?”, “A vantaria ciamè l’aministratur”.
Nessuna risposta. Niente. La porta non sembrava particolarmente robusta, in fondo era un quartiere tranquillo, e Polloni decise che un livido sulla spalla ci poteva anche stare, prese la rincorsa e piantò tutta la sua stazza contro la porta. Questa diede segno di patire la botta. Una signora cacciò un urlo. Infastidito Polloni riprese la rincorsa e con una seconda spallata si ritrovò in casa di Francesco.
Un lungo corridoio, sul quale si aprivano numerose stanze. Un tipo di appartamento comune, molto comune.
“Signor Perotto! Sono della Polizia! Signor Perotto, dove si trova?” Polloni pensò che se si era sbagliato su tutto, sicuramente avrebbe avuto una bella denuncia per danneggiamenti, per violazione di domicilio e abuso di autorità. Se bastava.
Corse per il corridoio affacciandosi ad ogni porta. L’ultima era quella che dava accesso alla camera da letto.
E qui Polloni vide che non si era sbagliato. Purtroppo.
Francesco Perotto, amico di Anna Peano, innamorato di lei da sempre, suo complice nel rapimento, e suo inconsapevole carnefice, aveva scelto il modo peggiore per punire se stesso.
A pochi metri da lui la sua compagna fidata, la sedia a rotelle, rovesciata.
Franco, anzi Francesco, era appeso per il collo, con una piccola corda, alla maniglia della finestra. Un’altezza ridicola per morire. Ma per lui, che non aveva l’uso delle gambe, era un’altezza vertiginosa. Sembrava seduto, ma tra la fine della sua schiena e il terreno c’erano venti centimetri. Venti miseri centimetri. Sufficienti però perché le braccia non bastassero a sorreggerlo. Se avesse potuto mettersi in ginocchio si sarebbe salvato, ma le gambe…le gambe erano solo due pezzi di carne e ossa e sangue, assolutamente inutili.
Tutto questo Polloni lo vide in una frazione di secondo. Si buttò verso il giovane, ma gli bastò toccarlo e sentirlo così freddo, per capire che era arrivato almeno una mezza giornata in ritardo.
Si alzò continuando a guardare il giovane.
Un grido dietro di lui lo fece sobbalzare. I vicini erano tutti sulla porta. “Fuori! Fuori! Uscite tutti! Non è uno spettacolo! FUORI!” sbraitò cacciando tra mille proteste le persone che cercavano avidamente qualcosa da raccontare agli amici. Chiuse la porta e chiamò l’ufficio.
Mentre aspettava i colleghi, tornò nella stanza del ragazzo. Sulla scrivania c’era il suo diario. Non era nascosto come quello di Anna, ma era identico. Piccolo e copertina nera. Polloni lo prese e iniziò a sfogliarlo.
C’erano molti riferimenti al finto rapimento. Anna era disgustata dai genitori. Il padre era assente, e la madre al contrario era troppo pressante. Aveva deciso di vendicarsi un poco. I soldi li avrebbero dati in beneficenza al centro per la ricerca sul cancro, un’istituzione appena fuori Torino. La droga l’aveva trovata lei, semplicemente andando ai Murazzi una notte e chiedendola alle persone ‘giuste’.
La prima parte prevedeva che andassero insieme nel posto dove avevano trovato la ragazza, con la macchina di lui, una macchina particolare adattata per il suo handicap. Doveva farle lui l’iniezione prima di ammanettarla al palo: non sapevano quanto ci avrebbe messo a fare effetto, poi doveva fare sparire la siringa da qualche parte. Con i milioni di posti dove poteva buttarla sicuramente non si sarebbe mai più trovata. Se ne sarebbe andato e non avrebbe più fatto nulla per contattarla. Non doveva assolutamente andare lì e doveva aspettare.
Nelle ultime pagine tutta la disperazione del ragazzo era evidente. Aveva pensato che il grande ritardo della ‘liberazione’ fosse voluto da Anna, che era sempre poco prevedibile. Aveva passato le ultime settimane torturandosi, chiedendosi ogni minuto se doveva 'tradire' l'amica, oppure se doveva attenersi al piano iniziale. Aveva sperato che Anna avesse fatto l'ultimo colpo di testa.
E invece…
Davanti al commissario c’era l’epilogo di una storia di incomprensioni e di amicizia. Un’amicizia che era talmente forte da lasciare che l’altro potesse essere quello che riteneva giusto essere. Un’amicizia che non metteva paletti, non metteva limiti. Che non dava giudizi.
Polloni posò il piccolo diario di Francesco.
Guardò nel vuoto per alcuni minuti, riflettendo. Amicizia, sacrificio, limiti, paletti. Prese una decisione: recuperò dal fondo di una tasca il piccolo telefonino e lo osservò per alcuni secondi. Quindi compose un numero.
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Blu
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Messaggio da Blu »

Spero stia chiamando Rizzo :)
Francesco ha scritto:"Dovrebbe essere già a casa ormai. Qualcosa deve essere andato storto…"
.. si era esposto, ma non abbastanza da far finire bene la storia: incredibile epilogo, bruttissima la situazione in cui si è trovato Francesco, combattuto fra la voglia di dire la verità e far ritrovare Anna e quello di non voler tradire la sua fiducia rivelando il piano.. mi spiace che sia finita così :( , ma contemporaneamente ne sono contenta, perché il non lieto fine ci sta in un romanzo di Polloni, perché lui è un commissario vero, e nella realtà non finisce sempre tutto bene.. speriamo che almeno recuperi la situazione con Giaco :)




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overhill
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Messaggio da overhill »

...non sta telefonando a Rizzo... :O_o:

Tanto ti tocca aspettare fino a domani, ma nel frattempo puoi fare qualche ipotesi... :asd:
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Messaggio da overhill »

Oggi si chiude.
E' difficile dire se è un happy end oppure un finale tragico, perché qui, come nella vita, la vita non è rosa o nera, ma sempre un colore che si trova all'incirca al centro tra i due estremi...
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Messaggio da overhill »

Giovedì 28 Aprile – 19:30

Rizzo scese dall'auto particolarmente imbufalito. Aveva girato per 40 minuti prima di riuscire a trovare uno straccio di parcheggio, e l'unico buco che aveva rimediato era a cinque isolati da casa. Per fortuna non pioveva, almeno quella volta. Una volta di più si chiese se era il caso di continuare ad abitare in una zona così stramaledettamente intasata di macchine, una specie di parcheggio con abitazioni.
Certo che erano almeno dodici anni che stava lì, ormai conosceva tutti i negozianti, la zona, i trucchi per evitare gli intasamenti. Chissà, magari poteva riuscire a prendere un piccolo garage dove mettere la sua utilitaria. Magari anche in affitto. E' vero che gli affitti di un garage da quelle parti assomigliavano a quelli per un appartamento, grazie, si fa per dire, alla vicinanza al mercato di corso Sebastopoli.
Immerso in queste elucubrazioni, girò l'angolo per immettersi nella sua via. Davanti al portone, un centinaio di metri più avanti, vide Polloni.
Cristo!
Il commissario non stava guardando verso di lui, e per un istante il giovane fu tentato di girarsi e andarsene. Ma poi si girò e lo vide.
I due si squadrarono da lontano per alcuni secondi. Rizzo, inconsciamente, prese la decisione che se avesse visto un sorriso sul volto dell'anziano collega, avrebbe girato i tacchi e se ne sarebbe andato.
Il sorriso non arrivo: Polloni lo guardò serio.
Giacomo, che durante la sfida a distanza si era fermato, si avvicinò a casa. Quando fu a una decina di metri parlò per primo: “cosa vuoi?” disse in tono neutro.
“Parlare”
“Sono in ferie, non parlo di lavoro. Se vuoi parlare trovati qualcun altro”
“Non fare il cretino. Voglio parlare con te.”
Giacomo rimase qualche secondo indeciso se offendersi oppure no. Decise per il no, per ora.
“A me invece non va proprio. E ti ho detto che sono in ferie.”
“Senti, Giacu, i casi sono due: o saliamo e parliamo, oppure discutiamo del nostro problema qui in strada. A te la scelta. L'opzione 'non parliamo' non è prevista. E questo non è un ordine, e neanche un'imposizione. E' un semplice dato di fatto. Io e te dobbiamo parlare e, per quello che mi riguarda, un posto vale l'altro. A te la scelta.”
Il giovane soppesò per alcuni secondi le chiavi che aveva tirato fuori da una tasca, riflettendo. Aprì il portone e mugugnò: “vieni, va”
I due uomini salirono a piedi i due piani, in un silenzio rotto solo dal rumore dei loro stessi passi. Entrarono nel piccolo appartamento di Rizzo.
Polloni ci entrava per la prima volta. In tanti anni non aveva mai avuto occasione di andarci, e certo non era felice che il motivo fosse questo.
Rizzo non accennò nemmeno a far visitare la casa all'ospite, tanto per rimarcare quanto fosse poco gradito: “siediti” disse indicando il salottino “arrivo subito.”
Michele si sedette su una poltrona decisamente comoda. Di fronte una poltrona gemella e in mezzo in piccolo tavolino in legno, con alcune fotografie. Su un lato un divano a due posti. Alle pareti alcune riproduzioni di quadri famosi, scelti probabilmente più per intonarsi all'arredamento che per altri motivi. Belli comunque. Su una parete una grande vignetta di Mordillo, con una coppia di giocatori di tennis in cima a un grattacielo, e i tetti di tutte le case intorno pieni di palline. Simpatico.
Sulla parete opposta al divano un mobile moderno ospitava un grosso televisore, uno stereo e un paio di casse. Un impianto abbastanza “di base” ma sufficiente per un ascolto più che decente. Non c'era il piatto, tanto caro a Polloni, ma sapeva che ormai era quasi un pezzo da museo, e che probabilmente lui era uno degli ultimi ad averne uno in casa.
Rizzo entrò nel salotto. Si era solo tolto le scarpe e aveva indossato un comodo paio di ciabatte. Si sedette sulla poltrona davanti al commissario.
“Allora?” chiese con impazienza.
Michele si era chiesto mille volte come cominciare questo discorso, e ora che il momento era giunto tutte le sue analisi andavano a farsi benedire. Come diceva un vecchio detto, in un viaggio il passo più difficile è il primo. Quindi decise di farlo, prendendola un po' alla larga.
“Abbiamo concluso l'indagine su Anna.”
“Ti ho detto, mi pare, che sono in ferie e che non me ne...”
“L'ha aiutata un suo amico, un ragazzo sulla sedia a rotelle.”
“Come ti stavo dicendo non...”
“L'ho trovato stamattina. Si è suicidato.”
Rizzo si bloccò per un istante. Non era persona da rimanere indifferente davanti a un suicida. Si riprese quasi subito.
“Mi spiace per lui, ma continuo a...”
“Erano amici.”
Tacquero entrambi.
Polloni riprese: “probabilmente sono morti entrambi proprio perché erano amici.”
“Tutto questo è molto triste, ma non vedo proprio...”
“Cazzo, Giacomo, vuoi starmi ad ascoltare?” sbottò il commissario. Rizzo sapeva che il collega non era abituato alle parolacce, e questo lo fece trasalire. Ottenuta l'attenzione del giovane, il commissario continuò: “Sicuramente il ragazzo aveva un'infatuazione per Anna, bella intelligente e che forse un po' approfittava della situazione e dell'amico devoto. Ma vedere quel ragazzo appeso per il collo a un palmo da terra...”
Si fermò un istante.
“Giacomo, tu sai quanti anni ho io”
Non era una domanda, ma Rizzo rispose lo stesso: “se non sbaglio 54.”
“Ne ho 53, ma questo cambia poco. Giacomo, io non posso essere diverso da quello che sono. Io sono la somma della mia personalità, di quella dei miei genitori e dei loro insegnamenti. Io sono fatto in una certa maniera, ho le mie idee e non posso, e soprattutto non voglio, negarle.”
“Giacomo, te lo dico chiaramente, e lo dico anche a me stesso: io ho paura degli omosessuali.”
Rizzo fece per replicare, ma Polloni lo fermò con una mano, continuando: “sì, Giacomo, la parola giusta è paura. E come me penso la maggior parte di quelli che vanno in giro a menare i gay, lo fanno perché ne sono terrorizzati.”
Si alzò in piedi.
“E' la paura del diverso, di quello che non si comprende. Io non capisco gli omosessuali, e quindi li temo. E per questo mi sono comportato come mi sono comportato...”
“Da coglione” interloquì tranquillo Rizzo.
Polloni inarcò un sopracciglio, ma non poté fare altro che confermare: “esatto, da coglione.”
Giacomo abbozzò un sorriso.
“Senti, capisco di averti offeso, e me ne dispiace. Sinceramente non sapevo come comportarmi. Ho a che fare con centinaia di persone, ma quelli sono estranei, è più facile.”
Polloni sorrise a sua volta: “con un amico è più difficile decidere. Ed è più facile sbagliare.”
Entrambi tacquero e si squadrarono per un paio di minuti. Polloni si risiedette. Il ragazzi invece si alzò, chiedendo al collega: “lo vuoi un caffè?”
“E' un po' tardi, ma un caffè lo prendo sempre volentieri.”
“Aspetta un momento.” Rizzo uscì e andò nel piccolo cucinino. Iniziò a trafficare con la moka. Nel frattempo Polloni entrò anche lui e si sedette al tavolino minuscolo. Il padrone di casa terminò di preparare la macchinetta e la mise sul fuoco. Quindi si sedette di fronte a Michele.
“Tutto quel tuo discorso, alla fin fine, cosa voleva dire?”
“Voleva dire che gli amici si prendono così come sono, non si cerca di cambiarli. Io ho sbagliato a cercare di capire i tuoi gusti sessuali. Tu non sbagliare pensando che lo volessi fare per guarirti. Io sono di una generazione che è nata e cresciuta con il terrore del diverso, so che non è una giustificazione, ma la situazione è questa. Come è successo a Anna e Francesco. Se un tuo amico vuole fare una sciocchezza, prima provi a dissuaderlo, ma quando decide di farla, gli stai vicino. E alla fine non dici 'te l'avevo detto', perché non ce n'è bisogno.”
“Giaco, io non voglio sapere con chi vai a letto, non voglio sapere il perché e il percome di quello che fai. Vorrei solo che mi considerassi tuo amico e non mi nascondessi le cose. Vorrei che non avessi paura del mio giudizio. Vorrei che mi vedessi come un padre.”
Bl bl bl bl il caffè iniziò a borbottare. Giacomo osservava Michele con gli occhi sgranati, assorbendo poco per volta la richiesta del collega. Anzi, dell'amico.
“Giaco”
“Oh”
“Il caffè”
Il giovane si riscosse. Si alzò e spense il fuoco sotto la moka. Prese due tazzine e versò la bevanda. Bevettero entrambi in silenzio.
“Buono, bravo.”
“Mamma mi ha insegnato un paio di trucchetti...”
“Un giorno me li devi dire.”
“Mai”, rise Giacomo.
Anche Michele rise. Si alzò, guardò l'orologio. Erano passato solo dieci minuti da quando era entrato con l'amico in casa. Sorrise.
“Vado adesso, volevo fare un salto in ufficio.”
Rizzo si alzò per accompagnarlo alla porta.
Un attimo prima di uscire, Michele si fermò, si girò verso il giovane e gli disse: “oh, a proposito. Oggi ho fatto qualche telefonata. Ho parlato con il responsabile della squadra di karate della polizia, che come tu sai, è a Roma. Aspettano la tua amica Monia per il prossimo mese. Non sarà esattamente come il professionismo vero e proprio, e dovrà entrare in polizia, ma a quanto mi ha detto lei stessa la cosa va più che bene, anzi...”
Rizzo era sbalordito: “ma, in un pomeriggio hai fatto tutto questo?”
“Ma no, dai, solo due o tre telefonate. Niente di che...”
“E la sua ragazza?”
“Non esiste il problema. Deve solo superare la prima parte di addestramento, che si fa in caserma. Una volta entrata nella squadra di karate, può scegliere se continuare a stare in caserma oppure trovarsi un appartamento. Deve solo pazientare qualche mese.”
Il sorriso di Rizzo si era allargato, e di parecchio.
“Ci vediamo lunedì?” disse il vecchio poliziotto.”
“Ci vediamo lunedì.”
Polloni tornò in strada con l'animo leggero, finalmente. Uscì dal portone e fece qualche passo. Teneva lo sguardo basso, sorridendo, e vide il cagnolino all'ultimo momento. Alzò lo sguardo seguendo il lunghissimo guinzaglio e alla fine vide la signora Pavone, che lo osservava con la bocca semiaperta dallo shock, incredula di vedersi davanti quel maniaco. L'argomento del giorno dopo sarebbe stato sicuramente la facilità con la quale certi elementi entravano e uscivano dalle carceri.
Polloni le sorrise, troppo allegro per farsi rovinare la serata; la vide quasi fuggire, recuperando il guinzaglio per raggiungere il cagnolino, che assolutamente incurante del pericoloso delinquente, stava paciosamente orinando su un pneumatico.
Non resistette: “Cerea, neh?” disse alla schiena della donna, che riuscì ad accelerare il passo, facendo temere al commissario che potesse cadere a terra. Non avvenne per fortuna.
Si girò e si preparò a farsi una lunga passeggiata fino alla sua auto, che aveva lasciato parcheggiata una decina di isolati più avanti. Mani dietro la schiena e passo lento e lungo si incamminò.
Dietro di lui, un randagio si avvicinò circospetto alla macchia lasciata dal suo simile e l'annusò con attenzione. Si girò verso il commissario e lo guardò allontanarsi. Poi si incamminò trotterellando dalla parte opposta, verso il mercato. Là c'era sempre qualcosa da mettere sotto i denti.

FINE

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Messaggio da Nillc »

Bellissimo, no? ;) Questo è il romanzo di Polloni che preferisco, un po' per la storia decisamente toccante e misteriosa, un po' perchè in più di una parte c'è un pizzico di me :D
Grande Over! :approved:




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