“Indeed, your failure to understand
that there are things far worse than death itself
has always been your greatest weakness.”
(J.K. Rowling, “Harry Potter and the Order of the Phoenix”)
“Why should I be frightened of dying?
There's no reason for it...
you've gotta go sometime.”
(Pink Floyd, “The Great Gig in the Sky”)
PROLOGO- Dove tutto ebbe inizio
Vanessa si tolse gli occhiali, si stese sulla sedia ed emise un profondo sospiro, strofinandosi le mani sugli occhi. Era molto stanca, e la flebile luce proveniente dal neon portatile non la aiutava molto.
L'orologio accanto a lei emise un bip, lei sospirò di nuovo e spense la lampada. Erano le otto del mattino, e questo significava che da quattordici ore lei era china su quella tavoletta d'argilla incisa da qualcuno secoli prima.
Vanessa non se l'era mai cavata con la crittologia e la traduzione dall'antico. Pensò con malcelata nostalgia al suo collega Thomas Harlington, probabilmente la massima autorità in merito. Proprio pochi giorni prima voci di corridoio l'avevano dato per fidanzato con una misteriosa e bellissima ragazza ceca... mentre altre, leggermente meno quotate, descrivevano la sua fuga da Versailles a bordo dell'auto della terribile e meravigliosa Lar...
“Miss Lorraines!” si sentì all'ingresso della tenda, e Vanessa ne fu così sorpresa che per un attimo non cadde all'indietro. Balzò in piedi con uno scatto, e guardò nella direzione da cui proveniva la chiamata. C'era Memeth, un componente della sua squadra, piccolo, magro e con la pelle scura.
La donna chiese con un eloquente cenno del capo cosa lo spingesse a irrompere così violentemente nella sua tenda. Memeth fece un breve inchino di scuse e rispose:
“Penso sia meglio che venga a vedere.”
La Cupola della Roccia si vede svettare praticamente su tutte le fotografie di Gerusalemme. È posizionata al centro del cosiddetto Colle del Califfo, chiamato così perché il califfo ebreo Al Yussuf ne aveva fatto il suo avamposto durante la prima crociata. Quando questa finì, il territorio gli spettò per conquista, e vi fece costruire una splendida sinagoga, la cui cupola, appunto, è totalmente realizzata in oro. Nel corso degli anni, a intervalli quasi regolari, vi si erano succedute al suo interno moschee, sinagoghe e persino chiese cristiane, finché non era scoppiata la guerra. Adesso doveva essere di nuovo una moschea, ma era un luogo talmente a rischio di attentati che gli unici pazzi che vi si trovavano nei paraggi erano lei e la sua squadra, pensò Vanessa vedendo ingrandirsi la Cupola man mano che vi si avvicinava.
Erano ormai sedici giorni che si trovavano a ridosso del tempio per scavare, senza la minima speranza di trovare nulla di interessante. Adesso quel nulla di interessante sembrava essersi trasformato in qualcosa di interessante. Interessantissimo, a dirla tutta.
Memeth la condusse fino alla piccola cava in cui sette dei tredici restanti membri della squadra si affaticavano sotto il sole per pochi rubli all'ora.
“Fatemi vedere” disse Vanessa scendendo la scala a pioli, mentre una strana ansia di fare le invadeva il corpo.
Gli uomini si spostarono, e a Vanessa apparve tra di loro una figura che nell'ultimo periodo le era stata molto familiare.
Un ottagono.
Era scolpito nel marmo del pavimento sepolto là, a pochi metri dalla Roccia, un ottagono anch'essa, in rilievo, e talmente ben conservato che sembrava una di quelle Stelle di Davide che si vedevano dappertutto a Gerusalemme. Solo che non aveva sei lati, ma otto. E questo faceva un'enorme differenza.
“Cosa pensa che sia, miss Lorraines?” Chiese Memeth, con una lieve nota di timore nella voce.
“... Mettiamola così, Memeth: se è quello che penso, qua sotto c'è una cosa che scucirà a Effendi Zalahir un bel po' di monete.”
“E' una porta, Miss?” chiese un altro membro della squadra, che aveva la pala ancora in mano e sudava copiosamente.
“Qualcosa del genere.” rispose Vanessa, non distogliendo lo sguardo dalla figura.
“Ma non ha maniglie, né aperture, né nient'altro... come faremo?”
Per la seconda volta nel corso della giornata, Vanessa pensò a una sua famosissima collega, e in particolare ai suoi metodi spicci: senza aggiungere altro, prese dalle mani dello squadrista la pala e colpì la lastra quattro, cinque volte, finché questa non si spaccò.
L'intera squadra si calò con circospezione nella stanzetta sotterranea che era comparsa dopo la rottura della lastra. Era una stanzetta squadrata, regolare e abbastanza piccola. E spoglia.
“Tutto qua?” esclamò qualcuno della squadra “Zalahir pagherà fior di rubli per... questa specie di grotta intonacata?”
“Non proprio” rispose Vanessa, che aveva già posto gli occhi sull'unica cosa interessante all'interno della stanza appena scoperta. Non era brava nelle traduzioni come Thomas Harlington, già, ma quello che c'era scritto in caratteri runici sulla parete sinistra della “grotta intonacata” era ben comprensibile.
La mano innocente apre la via della Legge.
Sotto la scritta c'era un piccolo buco, che poteva essere stato fatto tanto da un architetto reale quanto da un bambino in vena di giochi.
Vanessa ci si posizionò e lo esaminò con attenzione. Poi chiamò uno degli altri squadristi e gli chiese:
“Tu sei innocente?”
“Cosa?” rispose lui sbigottito. Vanessa sorrise.
“Nah... lascia perdere. Infila la mano qua dentro e cerca, dovrebbe esserci qualcosa.”
Il ragazzo la fissò attonito e un po' spaventato, ma il suo sguardo non ammetteva repliche. Tremante, si inginocchiò e mise la mano all'interno del buco, facendola scendere pian piano. L'intera squadra stava trattenendo il respiro, sporgendosi per meglio vedere cosa sarebbe successo.
Improvvisamente, con un urlo, il giovane si ritrasse e stramazzò a terra, contorcendosi e tenendosi la mano. Molti membri della squadra gridarono a loro volta e iniziarono a pregare.
Vanessa mantenne il sangue freddo e si inginocchiò accanto al malcapitato.
“Cosa ti è successo?”
“La... la mano! La mano!” gridò quello, che sudava visibilmente freddo. Lei gli prese l'altra mano e scoprì quella che teneva nascosta, per vedere... una grossa bolla da puntura che si stava allargando. Con sollievo, prese la sua torcia e la puntò all'interno del buco, dove la fece entrare. Pochi secondi dopo, disturbato dalla luce e dal rumore, un animaletto decisamente poco grazioso abbandonò la sua tana.
“Si tratta di una semplice scolopendra.” sentenziò Vanessa ritraendo la torcia e spegnendola “è innocua, non preoccuparti.”
“Ma... ma brucia! Brucia da morire”
“Beh, il veleno ce l'ha, ma per l'uomo è assolutamente innocuo. Il 90% del dolore è solo suggestione, credimi.”
“Sì, ma fa malissimo!”
“Beh, se facesse bene me ne farei un'iniezione al giorno.” disse un membro della squadra, scatenando l'ironia goliardica dei restanti.
“Ridete pure, ma la mano là dentro non ce la metto più!” disse il malcapitato, comprensibilmente.
Vanessa sbuffò, e sperando che la scolopendra non avesse deciso di mettere su famiglia all'interno del buco, vi infilò il suo braccio. Il viaggio durò poco e fortunatamente senza punture, finché le dita non sfiorarono un oggetto oblungo e metallico. Lo afferrò e tirò con decisione, sentendo un rugginoso rumore di ferro contro ferro.
La squadra fece appena in tempo a scostarsi, perché una grande porzione di pavimento iniziò subito a tremare violentemente, finché non si aprì rivelando un'ampia scalinata che si stendeva verso il basso.
La discesa fu lunga e nervosa, e quasi subito si fece buio attorno ai quindici che componevano la squadra. Quindici torce si accesero, disegnando un gioco psichedelico lungo le pareti scoscese del posto appena ritrovato. Qualsiasi posto esso fosse.
Vanessa era in testa alla fila, e probabilmente era la più nervosa di tutti, ma non lo dava a vedere.
Poi, improvvisamente, i suoi occhi incontrarono la luce. Il loro viaggio era finito.
Si trovavano in un'immensa caverna scavata nelle rocce, illuminata fiocamente, ma abbastanza da permettere un'ottima visibilità, chissà come.
Un lago dalle modeste dimensioni e dall'inestimabile profondità si stendeva davanti a loro, circondato da una riva circolare.
E dirimpetto a esso (Vanessa ebbe una sincope nel vederlo), troneggiava un enorme e massiccio portone di bronzo...
laminato in oro.
“Wow!!!” L' esclamazione di fiato mozzato dell'intera squadra fu unisona. Memeth si avvicinò a Vanessa e chiese:
“Ma... dove siamo?”
“Qui” disse lei, con voce rotta dall'emozione “è dove tutto ebbe inizio.”
La squadra si era dispersa nella caverna: c'era chi dragava inutilmente il lago con una pala, chi studiava il sistema di illuminazione (un complesso gioco di specchi che si perdeva nell'altezza della grotta), chi brancolava incerto sulla riva, facendo attenzione a non capitombolare in acqua.
La sola Vanessa era in piedi davanti al grande portone, intarsiato con motivi arabeschi.
Era tutto come se lo aspettava... era fantastico... era la scoperta della sua vita!
Quasi svenuta dall'emozione, fece risalire lo sguardo fino a circa metà del portone e... finalmente li vide. Tre ottagoni in bassorilievo facevano bella mostra di sé, quasi come se fossero stati posti là per caso.
Ma non erano assolutamente lì per caso.
Per l'ennesima volta dall'inizio della giornata, la ragazza fece mentalmente appello alla sua collega più famosa, quindi si armò di coraggio e, utilizzando gli intarsi come appigli, iniziò a scalare il portone. Non era un'esperta di free climbing, ma se la cavò alla grande.
Si issò ad uno spuntone accanto ai tre ottagoni, probabilmente posto là per quel preciso scopo, e li guardò. Da vicino erano ancora più belli.
Le sue dita, frementi, vi si avvicinarono lentamente... e...
... e alla fine ne toccò uno. Il primo accanto a lei.
Non appena la sua pella sfiorò il bronzo dorato freddo e polveroso, lei capì che era stato un tremendo errore.
Improvvisamente la già fioca luce si spense.
“Ehi, che succede?” disse qualcuno.
“State calmi!” gridò Vanessa “Non è successo nulla, ve lo...”
“Cosa? NO! NOOO! AAAAAAAH!”.
Nella caverna il grido di qualcuno della squadra riecheggiò all'infinito, seguito da uno scroscio delle acque del lago.
Col cuore a mille, Vanessa si lasciò cadere dal suo appiglio e cercò la torcia.
“Ragazzi!” disse “Ci siete?”
“Vanessa, cosa diavolo... LASCIAMI! LASCIAMI!!! AIUTOOOOO!”
Di nuovo eco, e di nuovo scroscio.
A quel punto fu il panico, e nel buio Vanessa non riuscì più a distinguere nulla.
La torcia le cadde di mano, e con mani tremanti lei la cercò a tentoni per terra.
Quando la trovò, i rumori erano cessati. Si sentiva solo l'acqua sciacquettare, e un respiro affannoso.
“C'è nessuno?” gridò Vanessa cercando disperatamente di accendere la torcia “Ragazzi, rispondete! Vi prego...”
“Vanessa... Vanessa!” si sentì chiamare. Era Memeth. E sembrava piangere.
“Oh, grazie al cielo... Memeth, cosa è successo?”
“Non lo so, Vanessa, io... gli altri... li ha presi!”
“Chi? Chi li ha presi? Dove sei, sei ferito?”
“No... VANESSA! ATTENTA!”
La torcia finalmente si accese, ma quello che illuminò fu la cosa più spaventosa che Vanessa avesse mai visto.
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In quale luogo si trova Vanessa e cosa sarà la "cosa più spaventosa che avesse mai visto? E cosa c'entra Lara Croft in tutto questo? La risposta nelle prossime puntate di Tomb Raider: OCTAGONS!
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