Buio.
Carlo non era sicuro di avere gli occhi aperti, e li avrebbe toccati volentieri per sincerarsene, se non fosse stato per il dolore alla schiena che gli impediva anche solo di pensare di spostare le braccia dalla loro posizione a crocefisso. Qualche breve bagliore, qualche stella solitaria. Carlo ci mise un poco a capire che non erano vere stelle, ma la reazione al dolore del suo nervo ottico, che, ingannato dalla botta che aveva preso, continuava a cercare di comunicargli l’urgenza di fare qualcosa…qualunque cosa, purché il dolore finisse. L’ultima cosa che ricordava era il rumore della sedia che andava a pezzi sotto il suo peso, l’urlo di Cinzia, l’impatto con il pavimento e poi…
Buio. Di nuovo.
Carlo cercò di alzare la testa ma anche questa sembrava inamovibile, come se una stretta poderosa gli stringesse i muscoli del collo.
Cercando di ignorare le fitte, provò a parlare.
“Mamma?”, cercò di modulare, ma tutto quello che ottenne fu un poco esaltante “Agna”, strascicato ed incomprensibile anche a se stesso.
“Mamma!” tentò nuovamente questa volta con più convinzione.
“Si papà, sono qui. Come stai?” rispose una voce nelle tenebre.
“Oh, tesoro, temo proprio di essere caduto malamente ‘sta volta”
“Senti molto male?” chiese la voce
“Non troppo, per la verità” mentì lui “ma avrei bisogno che mi dessi una mano, sai?”
Provò di nuovo a muovere le gambe, le braccia, qualunque segno di movimento sarebbe stato bene accetto, ma non ci fu nulla da fare.
“Paralisi?” pensò “no, non posso essere paralizzato; non come lei!” Si odiò per averlo pensato. “Come potrò badare a mamma in queste condizioni?” rimediò.
“Papà, come posso aiutarti?” disse Cinzia sperando di non dover tentare nulla.
“Ti prego, cerca di alzarti dal letto, e cerca di andare fino al telefono, così puoi chiamare il dottore. Lo so che è difficile, ma provaci ti prego. Io non riesco proprio ad alzarmi e tu non puoi certo alzarmi nelle condizioni in cui ti trovi. Però forse al telefono puoi arrivarci…”
“Va bene, tesoro, spero di farcela”
Cinzia si alzò a sedere sul letto con qualche fatica, poi si spinse sul bordo del letto, si lasciò scivolare con la massima grazia possibile per una settantenne bloccata a letto da un ictus da troppo tempo. Trascinandosi con le magre braccia si avvicinò al marito, per controllare dove fosse. Poi iniziò il lungo viaggio dalla sua camera al corridoio, dove un vecchio telefono a disco faceva bella mostra di sè.
Per l’ennesima volta si diede della stupida ad avere rifiutato il regalo di Bruno, il figlio, che l’anno prima era arrivato con un bel telefono senza fili: - “Non mi serve quella roba lì! Se ho bisogno c’è papà che risponde al telefono. Non mi piacciono ‘sti pasticci elettronici, lo sai!”
Se adesso avesse avuto quel “pasticcio elettronico”…
Arrivata finalmente sotto il telefono cercò di issarsi sulla sedia che il marito aveva messo appositamente per lei di fianco all’apparecchio, aggrappandosi ad uno dei braccioli, ma il movimento delle braccia, stanche dal tragitto enorme, invece di issare lei sulla sedia, ottennero l’effetto di rovesciare questa a terra. A quel punto Cinzia era veramente spossata, non riusciva più a muovere le braccia.
“Papà, senti, ho bisogno di riposarmi un attimo, adesso prendo fiato poi ci riprovo, va bene?”
“Va bene, tesoro. Riposati. Io aspetto…
…tesoro…
…tesoro?”
Il commissario guardò ancora una volta il corpo del vecchio coricato a terra. Mai come in questo caso l’espressione “povero cristo” era stata più azzeccata, visto che il morto teneva le braccia aperte, come un crocifisso.
“Morire così, per una caduta che ti spezza la colonna vertebrale. Non ti puoi più muovere, non puoi andare al telefono, puoi chiamare aiuto ma non ci sono vicini abbastanza vicini o abbastanza interessati che possano sentire, e se sentono pensano che sia la televisione. Tuo figlio ti sente una volta alla settimana perché abita in un’altra città….” pensò.
Il figlio in questione, Bruno, guardava il corpo del padre, con un espressione che non si riusciva a capire fosse dettata dal dolore per la perdita del genitore oppure dalla paura per le responsabilità che la morte porta sempre con sé.
Già se lo immaginava il poliziotto, entrare in un negozio di onoranze funebri per potersi scrollare dalle spalle un po’ di colpa, prendersi con un vago sentimento di importanza le condoglianze dei colleghi. Insomma, al commissario quel figlio assente non era esattamente simpatico.
Come se gli avesse letto nel pensiero, Bruno iniziò una litania di richieste con voce implorante.
“Mi scusi commissario, ma perché continua a tenerlo qui, mio padre? Non si potrebbe portarlo via? E’ così…triste vederlo in questo modo…Almeno metterlo sul letto…non so, chiudergli le braccia…è proprio necessario che venga fotografato in queste condizioni?”
Ignorando le lamentazioni del giovane, il poliziotto, quasi parlando da solo gli chiese
“Suo padre viveva solo?”
“Certo commissario, da quando è morta la mamma viveva sempre solo, anche se continuava a comportarsi come se fosse ancora viva: le parlava, ci discuteva. Sa, sembrava un po’ matto a volte, ma credo che gli servisse a sopportare il dolore. Negli ultimi anni era stato costretto a farle da infermiere, visto che mamma aveva le gambe paralizzate…un ictus, purtroppo…e io non potevo stare qui ad aiutarli, sa il lavoro…”
“Ecco, mi sembrava strano che non si giustificasse…”
“…ma perché mi chiede questo? Ha qualche dubbio sull’incidente?”
“No, che suo padre sia caduto accidentalmente pare abbastanza evidente. La sedia sulla quale era seduto si è chiaramente sfasciata per il troppo uso. Poi suo padre non era esattamente un grissino e per questo la botta è stata anche peggio.”
Poi, tanto per tenere il sadismo in allenamento: “mi spiace dirlo a lei che è il figlio, ma temo che abbia sofferto per parecchio tempo prima di morire.”
“Ma se è tutto così chiaro, che cosa non la convince?”
“Touchè, a quanto pare…”
Ma il commissario si guardò bene dal rispondere per evitare di fornire anche il benché minimo conforto al figliolo in ambasce. Si limitò a tornare in corridoio, vicino al mobiletto sul quale troneggiava il telefono.
Ed ancora una volta si chiese per quale motivo la sedia fosse rovesciata.
Ottobre 2003