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[Romanzo] Dove la notte (a capo) inizia

Inviato: 26 gennaio 2009, 13:53
da overhill
Ecco finalmente in una forma presentabile il mio ultimo lavoro.
Ci ho messo all'incirca un anno per metterlo giù, contando anche qualche ripensamento e anche le tre riletture che devono essere fatte prima di definire un lavoro "in via di completamento" :)

Il romanzo è piuttosto corposo e la sua genesi la potete trovare nel topic "[WIP] Il mio nuovo lavoro" a questo indirizzo.

Si compone di tre parti distinte, ognuna con un numero di capitoli variabile.
In questo lavoro ho voluto tornare all'abitudine di assegnare un mini-titolo ad ogni capitolo, cosa che avevo tralasciato in altri lavori: mi sembra che contribuisca a dare maggiore "tensione" narrativa al racconto.

Per adesso vi metto l'indice al quale, appena comincerò a pubblicare i capitoli, collegherò le varie pagine.
E naturalmente vi inserisco il prologo, che, tanto per rimanere in tema di cambiamenti, è doppio :)

I La punizione II Il gioco III Il salvataggio

Inviato: 26 gennaio 2009, 13:59
da overhill
Prologo

I due uomini sembravano fratelli, fisicamente, ma lo erano solo per motivi di affari, e le rispettive posizioni, ai due lati di un enorme tavolo, lo stabilivano in maniera quasi grottesca. Uno dei due aveva un'espressione di attesa che lo sguardo serio dell'altro non riusciva a soddisfare.
Si guardarono per qualche secondo; poi l'uomo più serio allungò un foglio attraverso il tavolo, con la faccia in giù. L'altro abbassò appena lo sguardo per seguire il lento movimento del foglio verso di lui.
Disse con voce bassa: «Cos'è?»
«Leggi... » fu la laconica risposta.
Prese il foglio e lo alzò. Spalancò gli occhi leggendo il numero riportato in basso a destra.
«Andrea, sei impazzito?»
Finalmente l'altro rise: «Sì, Matteo, non per la cifra scritta lì, ma per il significato... »
«Vuoi dire che siete riusciti...? »
Il sorriso si allargò ancora di più: «Siamo andati oltre. Molto oltre... »
Allungò la mano per farsi restituire il foglio. Lo girò e recuperò una penna dalla tasca interna della giacca; premette su una estremità per estrarre la punta e tracciò con una certa enfasi due linee parallele in diagonale, in mezzo alle quali scrisse la parola “PAGATO”.
«Sono sempre più confuso, Andrea... »
L'uomo sorrise ancora e andò verso una stampante laser. Aprì il cassetto sottostante e ne estrasse un foglio bianco; lo appoggiò su quello che i due si erano appena scambiati e scrisse un nome e un numero. Lo spinse verso il suo interlocutore e disse: «E' già in posizione: chiamalo a questo numero e facci due chiacchiere... »
Matteo osservò il numero. Premette alcuni pulsanti su un telefono per attivare il vivavoce e compose il numero. Intanto Andrea continuava a parlare: «Con la pubblicità che ci farete con questa cosa questa specie di fattura è più che pagata... »
Al terzo squillo, qualcuno rispose...

Matteo stava osservando la strada dalla finestra del suo ufficio, al quinto piano di un longilineo edificio moderno. Osservò il pesante autocarro rallentare e fermarsi esattamente davanti all'entrata della sede della casa di produzione TeleTekno, nome che non gli era mai piaciuto particolarmente, ma che rendeva bene l'idea per la quale la “sua” televisione era famosa. Non c'era nessuna notizia legata alla tecnologia, per quanto piccola, che potesse passare attraverso le maglie dei «suoi» ragazzi, i migliori tecnici in circolazione. Non c'era produzione televisiva o cinematografica legata al quel mondo, passato presente o futuro, che non venisse trasmesso sui tre canali ufficiali, TT1, TT2 e TT3. Ormai era diventato un punto di riferimento autorevole per tutti i patiti di tecnologia. E l'accordo con la NBC aveva aumentato la visibilità.
Si chiese di sfuggita come mai il grosso automezzo si stesse fermando proprio lì davanti, ma venne interrotto da un sommesso bussare alla porta.
«Sì, avanti.»
La testa di Giovanni Torchio, il suo segretario factotum, si intrufolò nello stretto spazio aperto: «Ingegnere, è arrivato Sanfilippo.»
Matteo Romanelli fece un cenno nervoso all'uomo: «Fallo entrare.»
Giovanni aprì completamente la porta, rivelando un fisico asciutto e nervoso; fece un passo indietro e disse qualcosa all'uomo che aspettava di entrare.
Alto quasi due metri, di corporatura robusta e proporzionata all'altezza, Luca Sanfilippo lavorava da sette anni per la TeleTekno, dopo essersi congedato dall'aeronautica. Era in grado di pilotare quasi qualunque cosa avesse un motore e un comando di qualsiasi genere: autoveicoli, velivoli, aliscafi. Aveva il dono di riuscire a entrare in contatto quasi mistico con il mezzo.
Entrò con un sorriso e si piazzò davanti alla scrivania di Romanelli, che gli fece cenno di sedere. Si sedette a sua volta. Schiacciò un pulsante e parlò con Torchio: «Giovanni, chiama il dottor Villa.»
Tornò a rivolgere la sua attenzione al pilota.
«Tutto a posto, signore.» Un po' della vita militare era rimasta attaccata ai suoi modi.
«Ho visto. Ci sono stati problemi?»
«Negativo, signore. I dieci sono stati portati nei pressi, scortati all'entrata e fatti scendere senza nessun problema. Sembravano anzi piuttosto contenti.»
Romanelli ridacchiò: «Bene, bene. Tutto sommato temevo che fosse la parte più difficile, invece...» Bussarono alla porta.
«Sì...avanti»
Si aprì la porta ed entrò immediatamente il dottor Giacomo Villa, produttore e creativo del progetto: «Matteo, vedo che il Barone Rosso è tornato! E' andato tutto bene?»
A Sanfilippo il soprannome non dispiaceva, ma in bocca al dottor Villa lo trovava un po'...volgare. Come al solito non disse nulla.
«Benissimo, Giacomo. Finalmente è cominciato: adesso non ci rimane che restare a guardare e controllare che non si facciano male. E fra sei mesi avremo una trasmissione che il mondo intero ci invidierà»
Indicò verso una parete di una decina di televisori piatti, sui quali si vedevano numerose riprese fisse. Erano tutte di interni, tranne una che mostrava una parte di un bosco. Le immagini erano fisse, sembravano fotografie più che riprese.
Solo una era animata: si potevano vedere dieci persone in una radura che parlavano animatamente tra di loro.
Villa mormorò: «Stiamo facendo la storia della televisione...»
Fu l'ultima cosa che disse.
Preceduta da un rombo assordante, improvvisamente la grande finestra esplose verso l'interno, investendo i tre uomini con schegge taglienti. Romanelli, che dava le spalle alla superficie vetrata, sentì scomparire il costoso vestito che indossava, sminuzzato dai minuscoli frammenti di vetro, insieme alla pelle e alla carne della sua schiena. Le ossa vennero sbriciolate dalle schegge alle quali si unirono, andando poi a colpire le altre persone presenti nella stanza.
Nella frazione di secondo che impiegò il tutto per avvenire, non fece in tempo a provare dolore. Una luce accecante riempì la stanza, facendo sparire le immagini dei televisori, e un boato immane scosse l'edificio dalle fondamenta.
Quando il palazzo crollò, pochi secondi dopo, i tre erano già morti, insieme ad altre 1280 persone.

Inviato: 27 gennaio 2009, 10:43
da Final Danielecker
:shock: Non me lo aspettavo proprio... hai creato un ambiente tranquillo per un colpo di scena finale che "spaventasse" anche il lettore... Gia da qui, con le misteriose cifre, e con il dialogo di questi su una specie di programma, hai invogliato il lettore a continuare... aspetto ansioso il prossimo capitolo [:^]




Platinum Reviewer (363 Platinum Award) | Golden Award 08 || Bronze Award 09 - 10 |

Inviato: 27 gennaio 2009, 11:09
da overhill
[center]Prima parte[/center]
[center]La Punizione[/center]

1 - Un nuovo posto di lavoro
Stefania si fermò fuori dalla Questura centrale di Torino per osservare l'immenso edificio. Due colleghi stavano piantonando l'entrata e chiacchieravano tranquilli guardandosi intorno, ma lei non si sentiva dell'umore giusto per fare nuove amicizie. Non che avesse scelta, certo, ma mancavano ancora una ventina di minuti all'appuntamento con il commissario Corelli, e la giovane stava cercando di ritardare il più possibile l'inevitabile.
Sollevò il foglio che aveva in mano e lo rilesse per la centesima volta. In linguaggio strettamente burocratico, la invitava anzi, le ordinava di presentarsi il giorno tale alla tale ora nel luogo tale al commissario Cosimo dottor Corelli, per prendere servizio effettivo. Il significato di tutte quelle parole era molto semplice, in realtà, e si poteva condensare in poche semplici e affilate parole: “hai fatto una stronzata, e adesso la paghi.”
Un lavoro di merda si era scelta, veramente di merda, porca miseria. Fino a quando andava tutto bene, non c'erano problemi: bastava mettere a rischio la vita tutti i giorni per una miseria e nessuno aveva niente da dire, bastava passare le notti a scalzare cadaveri dai denti della società e tutto bene. Ma se appena si cercava di fare qualcosa di più, di andare oltre, ecco, quello era il momento in cui si cominciavano a prendere calci in culo. E di brutto, anche.
Sua mamma lo diceva sempre: «il meglio è nemico del bene.»
Ripiegò il foglio A4 e lo rimise nella cartella che portava sottobraccio insieme agli altri documenti necessari per il suo nuovo incarico.
Andò verso il portone e chiese ai due colleghi, un uomo e una donna, indicazioni per l'ufficio di Corelli. Le dissero di salire al terzo piano e di chiedere lì. Ci mise un attimo a trovare le scale, e salì a piedi. Non amava molto gli ascensori e fare le scale era un buon esercizio fisico, gratuito e in fondo anche piacevole.
Arrivata al terzo piano lesse le varie targhe, trovando l'indicazione che le serviva: Dt. Corelli, uff. 9. Si guardò intorno per cercare di capire quale delle tre porte conduceva all'ufficio numero 9.
«Hai bisogno?»
La voce era piacevolmente calda, con una lieve inflessione dialettale meridionale, forse pugliese, a giudicare dalle lettere leggermente trascinate. Capì tutto questo grazie a due sole parole. Si girò e vide un bel ragazzo di una trentina di anni, in divisa, in compagnia di un signore più anziano ben vestito e di una ragazza all'incirca della sua età che era decisamente in borghese, i jeans molto più lunghi del necessario, la maglia abbondante e i capelli lunghi raccolti e tenuti fermi da una matita.
Erano raccolti davanti a una macchinetta del caffè. L'uomo più anziano stava bevendo con evidente disgusto il contenuto di un bicchierino di plastica.
«Sì, grazie: ho bisogno di andare dal commissario Corelli.»
«Ah, Cocco» disse il giovane.
«Giaco, non parlare male dei miei colleghi» disse l'uomo buttando il bicchiere in un cestino e guardando il ragazzo con finta severità.
«Scusa, Miche'.» Tornò a rivolgersi alla giovane: «Devi andare di là, verso l'archivio, i numeri sono indicati sulle porte. Da quella parte sono tutti i dispari; Cocc... ehm, Corelli sta alla stanza 9. Sei una collega?» terminò con un sorriso simpatico.
«Sì, temo di sì.»
I tre non replicarono, limitandosi a guardare la ragazza, come ad aspettare una spiegazione. Che non venne direttamente.
Alla ragazza bastò presentarsi, sospirando: «Sono l'agente Stefania Pane.»
La ragazza che era insieme ai due poliziotti non aveva ancora parlato, ma a quel punto non riuscì a trattenersi: «Quella Pane?»
Giacomo e Michele la sciabolarono con lo sguardo, e lei si rese conto di avere mancato, come minimo, di tatto. Il commissario sbotto: «Accidenti, Federica! Hai la sensibilità di un facocero!»
L'agente Federica Conte arrossì violentemente e balbettò: «Scusa Pane, m'è scappata...»
Stefania era ormai abituata a destare tanta attenzione e di fronte a quella dimostrazione di sincerità si sentì quasi sollevata: «Niente, non preoccuparti. In fondo è bello essere famosi, meno essere famigerati. E non chiamarmi Pane: è un cognome scomodo, non sto neanche a dirti quanto, e non mi ci sono ancora abituata.»
Giacomo, che davanti a una bella ragazza diventava curiosamente attivo e frizzante, decise di intervenire: «Va bene, allora presentiamoci, così evitiamo imbarazzi. Io sono Giacomo Rizzo, lei è Federica Conte, e questo signore è il commissario Michele Polloni. Lavoriamo nello stesso ufficio, l'otto, dall'altra parte.»
Quando gli venne presentato Polloni, Stefania si irrigidì, ma il giro di strette di mano che seguì, ferme e sincere, la tranquillizzò un poco.
«Allora vai a lavorare con Cocco?» disse Michele.
Rizzo protestò: «Ma scusa, non avevi detto...»
«Io posso» rispose il commissario assumendo un'espressione saggia.
Stefania sorrise con un po' di imbarazzo: «Scusatemi, ma io dovrei andare...»
Giacomo cercò di trattenerla: «Non prendi un caffè?»
«Grazie, sei gentile, ma devo proprio andare, e sono già abbastanza nervosa di mio.»
Ringraziò i tre e si infilò nella porta che le era stata indicata da Giacomo.

Inviato: 27 gennaio 2009, 11:11
da overhill
Oh, una piccola annotazione divertente: non so quanti di voi lo sanno, ma non si dice facòcero, ma facocéro... :) Lo so, è bruttissimo! :asd:

Inviato: 27 gennaio 2009, 11:30
da bashira
overhill ha scritto:Oh, una piccola annotazione divertente: non so quanti di voi lo sanno, ma non si dice facòcero, ma facocéro... :) Lo so, è bruttissimo! :asd:
Guarda che è ancora più brutto il significato .... " porco con le verruche " :asd:

Mi sto leggendo il pre prologo.. che mi mancava :asd:

PS:
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Golden Reviewer (106 Golden Award)

Inviato: 27 gennaio 2009, 12:46
da overhill
Fatta la correzione :)

La virgola l'ho lasciata, perché ci vedo bene una pausa in quel punto... considera che quando si presenta una persona c'è una pausa di qualche secondo durante la quale si dà la mano... :) :)

Inviato: 28 gennaio 2009, 08:53
da overhill
2 Motivazioni

Arrivò davanti all'ufficio numero 9 e controllò l'orologio: mancavano 30 secondi.
Si disse che la sua parola d'ordine, da quel momento in avanti, sarebbe stata precisione, e attese che la lancetta più veloce arrivasse in alto.
Bussò nel momento esatto in cui scattava l'ora dell'appuntamento.
«Avanti.» La voce era stentorea e leggermente troppo acuta, secondo il parere di Stefania.
Aprì la porta e entrò in un ufficio piuttosto grande, con le pareti completamente ricoperte da scaffali colmi di fascicoli. Al fondo era piazzata una scrivania di foggia antiquata, grossa e dall'aspetto pesante. Il grande ripiano era occupato da diverse cose, tra i quali una lampada con il vetro verde, un oggetto che per qualche motivo ispirava soggezione alla giovane.
Alla scrivania era seduto un uomo in divisa, magro e, a giudicare dalle dimensioni del busto, piuttosto alto. Il viso affilato ornato da un naso importante era intento a osservare un dossier aperto davanti a lui, posato sul tavolo. A Stefania diede l'impressione di un uccello rapace intento a controllare la sua futura preda.
«Buongiorno» disse timidamente.
L'uomo alzò lo sguardo dal documento, vagamente sorpreso: «Oh, l'agente Pane, vero? Venga, venga» disse facendo un cenno con la mano. Davanti alla scrivania erano presenti due poltroncine dall'aria comoda per una visita di una decina di minuti, scomode per permanenze maggiori. Ma l'uomo non aveva fatto cenno alla ragazza di sedersi, per cui lei si limitò ad avvicinarsi alla scrivania.
Appena giunta a distanza utile, notò che il documento che il commissario Corelli stava osservando era la sua scheda personale: la sua fotografia pinzata al foglio era chiaramente riconoscibile. L'immagine la ritraeva sorridente e felice. Ma questo era prima.
Corelli studiò ancora i documenti davanti a lui per alcuni secondi, poi alzò uno sguardo intenso sulla ragazza. Stefania si sentiva in imbarazzo, ma fortunatamente non arrossiva come la collega Federica, conosciuta qualche minuto prima, e cercò di non dare a vedere quanto si sentiva a disagio.
Passati almeno un paio di minuti di esame, il commissariò parlò: «Lei sa perché è qui, vero?»
Stefania deglutì: «Intende la versione ufficiale oppure... ?»
Corelli alzò un sopracciglio, sembrava non gradire la domanda: «Faccia lei.»
Era meglio stare in terreno neutro: «La versione ufficiale dice che c'era esubero di personale nella delegazione di Settimo, dov'ero prima, e che quindi si è reso necessario una ridistribuzione delle risorse. In questo caso io.»
«Esatto. Conosce anche l'altra motivazione, immagino.»
Deglutì di nuovo: «Sì.»
«Bene, non la dimentichi. E si ricordi che qui si usa salutare con “agli ordini” e non con “buongiorno”» terminò con voce neutra. Guardò la ragazza per alcuni secondi. Poi allargò le braccia, a indicare l'ufficio: «Qui ci occupiamo dell'archivio della Questura, che si trova nel seminterrato. Controlliamo che tutto funzioni correttamente, verifichiamo che tutti gli incartamenti siano a posto secondo il nostro sistema di archiviazione. Facciamo in modo che i colleghi che hanno bisogno di un dossier lo possano ricevere nel più breve tempo possibile, e che quando non ne hanno più bisogno questo venga recuperato velocemente e altrettanto velocemente venga rimesso al suo posto preciso. Curiamo lo stato dei dossier e la manutenzione ordinaria e straordinaria.»
Indicò un computer dall'aria triste: «Naturalmente la meccanizzazione è arrivata anche qui» disse la parola come se fosse una specie di bestemmia, «ma è determinante la qualità che solo il lavoro manuale può dare. Il nostro è un lavoro delicato che richiede precisione e rapidità, ma che necessita anche dell'intuito tipico degli esseri umani...»
La lezione sugli archivi della Questura continuò ancora per alcuni minuti, ma Stefania ascoltava solo per poter infilare qualche monosillabo, quando le pause del suo nuovo capo lo rendevano necessario. Il suo pensiero era invece perso dietro quella parola che era stata evocata dal commissario, il vero motivo per cui era stata strappata dal commissariato di Settimo Torinese, dove aveva iniziato a lavorare tre anni prima, ed era stata mandata a fare archivio per chissà quanto tempo.
Punizione.

Inviato: 29 gennaio 2009, 08:09
da overhill
3. Due chiacchiere tra amiche

Il primo mese era passato con snervante lentezza.
L'attività, tanto per dare un nome, era così ripetitiva che la ventina di giorni appena passati erano sembrati eterni. Entrare in ufficio, sedersi, prendere il dossier alla propria destra, controllare tutti i documenti interni uno per uno, gli allegati, le fotografie; verificare che non ci fossero danneggiamenti di qualunque genere, e questo per ogni singolo foglio; infine, dopo molto tempo, appoggiare il dossier appena controllato alla propria sinistra.
E ricominciare da capo.
I momenti più piacevoli, si fa per dire ovviamente, erano quando trovava un foglio rovinato, una graffetta che grattava appena su una fotografia rischiando di rovinarla, perché in quei momenti poteva spezzare la routine per andare a fare una fotocopia oppure per prendere una graffetta non danneggiata per sostituirla. E questo, nell'ultima settimana, era avvenuto solo tre volte.
Per il resto era rimasta seduta ad annoiarsi a morte.
I pochi momenti di svago, anche se forse il termine era un po' esagerato, erano le mezzore che erano a sua completa disposizione per fare pranzo. A volte andava al bar in corso Vinzaglio, appena fuori dalla questura; più spesso consumava velocemente una merendina alle macchinette.
L'unica nota positiva era la simpatia che era nata con Federica Conte, la collega che aveva incontrato il primo giorno, e che aveva dimostrato fin da subito una sincera curiosità verso di lei. Un atteggiamento ben diverso da quello di molti altri colleghi che, pensando che non se ne accorgesse, la indicavano mormorando: «Quella è l'agente Pane. Sì, proprio quella; quella della cazzata...» con un vago senso di eccitazione, quel pizzicorino che prende allo stomaco quando si guarda dall'esterno una situazione nella quale, per fortuna!, non ci si trova direttamente invischiati, e che si può quindi giudicare implacabilmente.
Il secondo mese era appena cominciato, e Stefania era con la nuova amica al bar a consumare il suo veloce pranzo, quando Federica decise che era ora di smetterla con le mezze parole e di parlare chiaro: «Stefania, lo so che non sono direttamente fatti miei, ma io di quello che è successo conosco solo la campana ufficiale. Mi piacerebbe sapere anche la tua versione dei fatti.»
La giovane rimase un attimo in silenzio, tanto che la Conte temette di avere esagerato, e stava già per chiederle di dimenticare la domanda, quando Stefania con un sospiro iniziò a parlare.
«Prima o poi qualcuno me lo avrebbe chiesto, e sono contenta che l'hai fatto tu.» Sorrise alla nuova amica: «ci conosciamo da poco, ma fino a oggi sei sempre stata sincera con me e mi sembra giusto che ti racconti com'è andata.»
Sospirò ancora, preparandosi al racconto: «Come sai fino a un mesetto fa lavoravo nel commissariato di Settimo Torinese. Quel maledetto giorno tre rapinatori hanno tentato una rapina in un supermercato, ma qualcuno ci ha avvertiti e quando siamo arrivati questi si sono barricati dentro con una dozzina di ostaggi. Hanno fatto le solite richieste, sai, macchina, elicotteri, aerei, milioni di euro... le solite stronzate che tanto mai nessuno ha ottenuto, ma che fanno tanto film americano. Il mio capo era il commissario Angelotti, non so se lo conosci... no? Be', in due parole è un signor testa di cazzo, tanto per parlarne come è giusto, almeno nel rapporto con i sottoposti e nel lavoro normale, ma è un genio della politica e dello scaricabarile...»
Prese un sorso d'acqua. Era la prima volta che poteva spiegare dal suo punto di vista quello che era successo a qualcuno che non fosse Gianni, il suo ragazzo, e la cosa la agitava non poco.
Riprese: «In ogni caso, quel giorno eravamo noi, una decina tra agenti e graduati, e una squadra dei GIS specializzata in terroristi. Angelotti aveva il controllo delle operazioni. Le trattative le teneva lui, ed era riuscito a tenerli calmi per un po'. Il suo piano era di fare un'irruzione quando i tre non se lo sarebbero aspettati. Ci piazzò davanti a tutte le uscite del supermercato, e ci disse di fare da filtro quando sarebbero usciti gli ostaggi, in modo che i tre rapinatori non cercassero di scappare mischiandosi agli altri.»
Federica si inserì: «Che è poi quello che è successo.»
Stefania sospirò: «Già.»
Altro sorso d'acqua: «Il commissario decise di fare irruzione non appena il sole fosse tramontato, per confondere i rapinatori, così disse lui. Quando ordinò l'attacco, i GIS lanciarono dei fumogeni, e gli ostaggi iniziarono a scappare dalle varie uscite. L'uscita dove mi trovavo io da sola, fu quella dove i tre decisero di uscire.»
Fece una pausa, per cercare di eliminare il groppo alla gola che si era formato negli ultimi minuti: «E io non li riconobbi.»
La Conte la guardò: «Porca miseria...»
«Già. Uscirono confondendosi con altri due ostaggi. Quando ci rendemmo conto che erano usciti, erano già spariti.»
«Scusa la domanda diretta, ma come hai fatto a non riconoscerli?»
«Mi piacciono le domande dirette, Federica, stai tranquilla. Continuo a bere solo perché sto sbavando come un cane di Pavlov, hai presente? Sono un po' ansiosa, sai...»
«Me ne sono resa conto.»
«Comunque, non li ho riconosciuti perché soffro di blefarite.»
«Di che?»
«Blefarite. E' un difetto dell'occhio, che può essere più o meno grave. A me provoca secchezza dell'occhio e ho bisogno di usare dei colliri tutti i giorni. Non è un difetto grave, non mi compromette la vista, ma quel giorno, non so perché, non riuscivo a vedere bene. Quando è arrivato il buio io praticamente non vedevo nulla, solo ombre. Probabilmente il collirio che avevo quel giorno era scaduto, aveva dei problemi, oppure l'agitazione mi ha peggiorato la situazione. Non so, fatto sta che ero praticamente bornia (=cieca), e non vedevo niente.»
«Accidenti, che sfiga!»
«Guarda, me lo sono detto mille volte. Probabilmente avrei dovuto avvertire il capo e farmi sostituire, ma non ho capito che l'irruzione sarebbe stata fatta al buio fino a quando non è successo, per cui non avevo possibilità di tirarmi indietro senza creare casino. Oltre tutto continuavo a sbavare, come adesso, probabilmente per la tensione, e non riuscivo neppure a parlare, figurati a chiedere la sostituzione. E poi sinceramente non pensavo che tutti e tre i rapinatori sarebbero usciti dalla stessa porta visto che ce n'erano altre cinque, e dico cinque!»
«E' proprio vero che la fortuna è cieca e che la jella ci vede benissimo» disse Federica sorridendo.
«Nel mio caso è stato il contrario: era la sfiga a non vedere niente.»
Risero entrambe. Stefania finalmente era sollevata per essere riuscita ad aprirsi con l'amica. Federica poggiò la mano su quella della collega: «Dimmi ancora una cosa. Non ho capito come mai la cosa è diventata di dominio pubblico.»
«In effetti all'inizio Angelotti voleva tenere la cosa tra di noi. Mi ha spazzolata a dovere, come tutto sommato era anche giusto, ma in conferenza stampa aveva detto che non aveva intenzione di rivelare il nome dell'agente che aveva sbagliato, e che voleva gestire la cosa internamente.»
«E...?»
«E invece è arrivata ai giornalisti una soffiata che ha fatto nome e cognome della sottoscritta, che da quel momento è diventata lo zimbello della Polizia di Stato e non solo.»
«Porca miseria»
«L'hai già detto.» Sorrise: «Ed ecco che, per accontentare i tanti esperti che si erano chiesti come mai fossi ancora in servizio, il mio amato capo ha deciso di mettermi a fare lavoro di scrivania, in modo da non fare più danni.»
Federica spalancò gli occhi e disse: «Posso dirlo ancora una volta?»
Stefania sorrise e fece un gesto affermativo.
«Porca miseria!»
Risero di nuovo. A un altro tavolo due colleghi in divisa si girarono, poi tornarono a parlare tra di loro, continuando a lanciare occhiate alle due ragazze.
Federica notò gli sguardi: «Va be', ci vorrà un po' di tempo, ma vedrai che la cosa si sgonfierà poco per volta. In effetti la cazzata c'è stata, è innegabile.»
«Be' grazie per la solidarietà!»
«Io sono sincera, me l'hai detto tu prima.»
Stefania sorrise: «Sì e ti garantisco che ho proprio bisogno di avere gente intorno che non mi racconti balle. Come te.»
Guardò l'orologio appeso alla parete dietro al bancone del bar: «Stavolta tocca a me dire porca miseria: è tardissimo! Devo andare se no Cocco mi fustiga.»
«Ma dai! Siamo già passati ai nomignoli e alle pratiche erotiche?»
«Per carità! Mi bastano i casini che ho già, senza bisogno di aggiungere un amante.»
Le due amiche si salutarono, e Stefania uscì di corsa. Federica aveva ancora qualche minuto, anche perché nel suo ufficio c'era molta elasticità sugli orari.
E poi c'era qualcosa nel racconto di Stefania che non quadrava. Non sapeva cosa di preciso, ma qualcosa non si accordava bene con il resto.
Dalla grossa tasca destra dei suoi pantaloni estrasse un piccolo blocco note, cercò una pagina libera e, non trovandola, scrisse di traverso in uno spazio bianco una parola, ipersalivazione, seguita da un grande punto interrogativo.

Inviato: 29 gennaio 2009, 18:45
da doppiaelle
Confesso di non aver mai letto niente scritto da Over ma di aver voglia di colmare la lacuna :D

Uno dei motivi per cui non ho mai letto niente è che mi riesce veramente difficoltoso leggere direttamente dal video, ho problemi di vista e le lettere mi si accavallano.... i miei momenti di lettura sono la sera a letto (almeno un'oretta :) ) e seduta sul divano prima di cena o dopo pranzo se sono a casa......quindi va da se che devo stampare quello che è scritto ma.... non ho la stampante a casa e devo farlo al lavoro e, in questo periodo, causa frattura, non sono al lavoro :asd: :asd: :asd:

Tutto questo per dire che lunedì, quando rientrerò al lavoro, ho intenzione di iniziare a stampare i capitoli e leggermi tutto insieme alla fine del libro.... solo una cosa mi sento di chiedere..... è difficile avere i file in formato doc sul forum? Ho provato a copiare e incollare su una pagina word ma vengono impaginati da cani e, sinceramente, mi dispiace che anche dal punto di vista grafico non siano perfetti :D

Se non li hai già in quel formato pazienza..... li leggerò anche se non sono "giustificati" :asd: :asd: :asd:




Golden Reviewer (193 Golden Award) | Silver Award 07 - 08 |

Inviato: 30 gennaio 2009, 08:03
da overhill
Io non uso mai formati proprietari come quelli di Word, però ho la versione in PDF :)
Il fatto è che è di 1,5 Mb, per cui temo che sul forum non sia accettata (troppo grande)... ma forse sbaglio.

:)

Ho provato: il massimo di file zip ammesso è 300K... proverò a separare le tre parti e riproverò... per intanto metto il nuovo capitolo :)

Inviato: 30 gennaio 2009, 08:09
da overhill
4. Uno strano documento

Tornata dalla piacevole pausa con Federica, Stefania si sentiva più sollevata. Essersi liberata, anche se di poco, di quel grosso peso l'aveva rilassata. Anche per questo non si preoccupò più di tanto quando vide sul suo tavolo da lavoro un dossier da trattare di dimensioni enormi.
Rimase in piedi per leggere meglio il titolo, che con una sola parola la fece tornare indietro di cinque anni, a uno degli attentati del terrorismo islamico più efferati mai avvenuti in Europa, e probabilmente nel mondo. Sulla copertina era stata scritta a mano con un pennarello indelebile la parola TELETEKNO.
La poliziotta ripassò i fatti che conosceva della strage: era stata rivendicata da un gruppo vicino ad Al-Qaida che voleva “punire gli amici dell'America”, e che per fare questo aveva piazzato qualcosa come tre tonnellate di tritolo dentro un camion, lo aveva fatto parcheggiare da un kamikaze davanti all'entrata del palazzo sede della televisione e l'aveva fatto esplodere, distruggendo completamente l'edificio di otto piani con quasi tutte le persone che erano dentro in quel momento, danneggiando altri sette palazzi intorno e provocando danni per miliardi di euro. Naturalmente senza contare i più di milleduecento morti sul colpo, ai quali si aggiunsero almeno altri duecento che erano rimasti feriti gravemente e che morirono dopo. Uno, quello che era diventato un simbolo della resistenza al terrorismo, aveva impiegato due mesi per andarsene. Due mesi nei quali era stato tenuto sedato per evitargli inutili sofferenze. Due mesi di cortei di protesta, di notti di preghiera e meditazione, di tribune politiche, di dibattiti, di litigi e di tante, troppe parole al vento.
Inutili.
Dopo due mesi il ragazzo aveva deciso che era inutile lottare contro l'inevitabile, e si era spento, per fortuna sua e dei suoi genitori.
E tutto questo perché la Teletekno aveva fatto un accordo con la NBC per diffondere i suoi documentari sulla tecnologia, un delitto imperdonabile a quanto diceva la farneticante rivendicazione diffusa via Internet. La ragazza aveva delle idee piuttosto precise circa i terroristi, e anche per questo aveva deciso di entrare in Polizia. Era convinta che la libertà fosse un bene più che prezioso e che non potesse essere vincolato a nessun dogma. L'unica regola che poteva limitare la libertà di un individuo era la libertà di un altro.
Il faldone che si trovava sulla scrivania era molto corposo, probabilmente con diverse migliaia di pagine tra fogli, dichiarazioni, documenti, fotocopie, fotografie, perizie, relazioni. Ci avrebbe impiegato giorni.
Tanto non hai impegni, no? si disse.
Sospirò e si sedette, mettendosi al lavoro.
Aveva già controllato circa trecento fogli, quando un'anomalia attirò la sua attenzione. Due fogli erano attaccati insieme. Uno sembrava una semplice nota spese, mentre quello dietro sembrava una fattura. Controllò l'intestazione e il contenuto. Era stata emessa da una società informatica, la SolidWare, e riguardava la fornitura di alcune apparecchiature elettroniche, di software non meglio specificato e di attività di manutenzione e progettazione.
Stefania osservò il foglio.
Erano indicate le ore impiegate per lo sviluppo, e la cifra fece scattare il primo campanello: 2750 ore erano decisamente tante. Recuperò una piccola calcolatrice dal cassetto della scrivania e fece un semplice calcolo, dal quale risultava che si parlava di circa 350 giorni di lavoro, a otto ore al giorno.
Il secondo campanello suonò quando vide il totale della fattura. Da principio pensò di essersi sbagliata, e rilesse più attentamente la cifra risultante: quarantacinque milioni di euro.
Quarantacinque milioni di euro?!
Erano una cifra pazzesca per un computer, per quanto potesse essere potente e avanzato. Va bene che c'erano anche i riferimenti alle ore di sviluppo, ma la cifra era comunque folle.
E poi c'era un altro particolare. Non era indicata l'IVA.
Guardò meglio il documento: infatti non compariva neanche il numero progressivo per identificarla, e la data era scritta a mano. Quello che a prima vista le era sembrata una fattura era solo un pezzo di carta senza valore fiscale. Risaliva a sette anni prima, due prima dell'attentato, e ricadeva nel periodo in cui era stato fatto il passaggio tra la lira e l'euro. Poteva essere una prova? O forse un errore?
Girò il foglio ed ebbe la conferma che non era una prova o uno sbaglio. A mano erano state tirate due righe parallele in diagonale in mezzo al foglio e in mezzo era stata scritta una sola parola: “PAGATO.”
Non aveva molto senso.
Se era una fattura in nero, perché scriverla su modulo? Bastava farla su un pezzo di carta da macellaio e poi magari farla sparire.
E poi come era possibile fare una fattura in nero per quella cifra? Era chiaramente una quantità di denaro troppo alta per passare inosservata a un controllo fiscale.
Prese il documento e andò nell'ufficio di Corelli.
«Agli ordini, Commissario, posso parlarle?»
«Dica, Agente Pane.»
Mostrò il documento: «Ho trovato questo nel dossier Teletekno, e ha qualcosa che non va. Ho pensato...»
«Agente Pane» la interruppe il superiore «vorrei farle notare che l'attività che sta svolgendo presso l'ufficio che dirigo, non richiede che lei pensi. E' sufficiente che controlli lo stato di conservazione degli incartamenti e che provveda a ripararli o a sostituirli.»
«Si, ma...» tentò la giovane
Corelli alzò la voce: «Ma le posso assicurare che altri hanno pensato prima di lei e che se hanno deciso di non utilizzare questo documento evidentemente avevano le loro buone ragioni, ragioni che non sta a me» abbassò il capo piantando occhi da furetto in quelli della ragazza «o a lei, - rialzò la testa - sindacare.»
Stefania sentì nuovamente il groppo alla gola che si formava, e lacrime di rabbia puntare decise verso i suoi occhi. Non voleva farsi vedere piangere, per cui chiuse il discorso con tutta la calma che riuscì a recuperare in fondo all'anima: «Signorsi» disse e si girò per tornare al suo ufficio. Corelli tornò al suo lavoro, ignorandola completamente.
Appena arrivata in ufficio, dove lavorava rigorosamente da sola, poté finalmente lasciarsi andare, e pianse per qualche minuto. Oltre tutto le lacrime facevano bene anche ai suoi occhi, che venivano in questo modo umettati naturalmente, senza bisogno di colliri.
Si sfogò, poi si asciugò le lacrime e tornò a lavorare.
Il foglio con la finta fattura era in buone condizioni, per cui con una certa foga lo pose a faccia in giù sulla pila dei documenti già controllati e proseguì. Dopo qualche minuto si rese conto che non riusciva a concentrarsi. Era troppo arrabbiata, con il suo capo, con il capo del suo capo, con il suo ex-capo che l'aveva messa in questo casino, con i suoi che non le avevano impedito di fare la poliziotta e con tutto il resto dell'universo per il semplice fatto di esistere. Pianse per qualche minuto ancora; poi prese un profondo respiro e si appoggiò allo schienale della sedia.
Aprì gli occhi e osservò il retro del foglio che sembrava quasi chiamarla. Davanti agli occhi continuava a ondeggiare quella cifra assurda. Quarantacinque milioni di euro... che grosso modo facevano novanta miliardi di lire, centinaia di milioni più, centinaia di milioni meno.
Tornò indietro al documento che tanto l'aveva incuriosita e lo sollevò nuovamente per leggerlo meglio. Facendo questo lo mise davanti alla lampada che illuminava il tavolo e si accorse che in trasparenza era scritto qualcosa. Era difficile da leggere, perché il documento doveva essere stato sotto il foglio dove era stato scritto. Impiegò qualche secondo per capire, e infine scrisse un appunto su un pezzo di carta. Sotto aggiunse anche i dati della SolidWare che erano indicati sul documento. Poi lo rimise a posto nella sequenza corretta.
Prese il pezzo di carta sul quale aveva appuntato i dati e rifletté.
«Sid» lesse parlando a mezza voce. «E poi un numero. Sembra un numero di telefono. Otto cifre, le prime tre sembrano un prefisso, forse della zona di Cuneo»
«Sid» ripeté. «Chi diavolo sarà Sid?»

Inviato: 30 gennaio 2009, 08:41
da doppiaelle
overhill ha scritto:Io non uso mai formati proprietari come quelli di Word, però ho la versione in PDF :)
Il fatto è che è di 1,5 Mb, per cui temo che sul forum non sia accettata (troppo grande)... ma forse sbaglio.

:)

Ho provato: il massimo di file zip ammesso è 300K... proverò a separare le tre parti e riproverò... per intanto metto il nuovo capitolo :)
Io ho anche OpenOffice :) comunque grazie per il tentativo :wink:




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Inviato: 30 gennaio 2009, 11:44
da overhill
Bene, solo per i tuoi occhi ecco il romanzo in versione .odt :)

(tolto... :) )

Inviato: 30 gennaio 2009, 12:01
da doppiaelle
Grazie mille Mario, l'ho scaricato e se vuoi puoi toglierlo dal forum :)

Lunedì lo stampo tutto e prometto di leggerlo solo dopo che lo finirai di pubblicare sul forum :D




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