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Inviato: 30 gennaio 2009, 13:01
da overhill
Lo lascio, casomai qualcuno avesse piacere di averlo in formato stampabile... :)

E invece l'ho tolto :asd:

Inviato: 31 gennaio 2009, 11:39
da overhill
5. Prime indagini

«0125. Uhm, secondo me è a nord, verso il Canavese, non verso Cuneo» disse Stefania a Gianni Vasto, il suo storico fidanzato. Era un ragazzo alto e dall'aspetto non particolarmente attraente, ma con uno sguardo liquido capace di coinvolgere le persone che avevano la fortuna di incontrarlo. L'aveva conosciuto alle superiori; frequentavano lo stesso istituto in centro, proprio di fronte alla sede delle facoltà umanistiche, il cosiddetto “Palazzo Nuovo”, e quando lui, di due anni più grande, aveva iniziato a seguire i corsi universitari, avevano continuato a vedersi. Poi anche lei aveva frequentato l'Università e intanto il loro amore da passione si era trasformato in qualcosa di più maturo, quasi un matrimonio senza convivenza. Anche se ogni tanto l'argomento veniva affrontato in modo blando, per ora non se ne parlava. Specialmente dopo la batosta che la carriera della ragazza aveva avuto con le conseguenze della “cazzata”.
Gianni aveva una voce calda e un modo di parlare tranquillo, che ben rispecchiava il suo carattere pacato: «Penso anche io. Faccio qualche ricerca.» Si alzò e andò a prendere la guida. Dopo una breve consultazione posò il dito sul grosso tomo: «Ci sono diversi paesi nella zona nord del Canavese che hanno questo prefisso. Volse lo sguardo verso la ragazza: «Possiamo provare con il 1412, oppure chiamare direttamente.»
«Uhm, chiamare direi di no: a parte che parliamo di un numero di cinque anni fa, preferirei prima sapere a chi appartiene. Non vorrei avere altri problemi.»
Prese il cellulare e compose il numero per la ricerca sull'elenco telefonico.
«Benvenuti nel servizio di informazioni...»
Seguì le istruzioni della voce automatica per qualche minuto, sotto lo sguardo serio del compagno. Alla fine chiuse la comunicazione: «Niente da fare, il numero non risulta attivo.»
«Oh. Mi sa che da questa parte non avremo molta fortuna. Cosa vuoi fare adesso?»
«Non abbiamo molti altri elementi, solo questo pezzo di carta...»
«A occhio direi che è un preventivo.»
«Sì, ma come mai dietro c'è scritto “pagato”? Di solito i preventivi servono solo per dare un'idea della spesa da fare, non come documento di pagamento.»
«Sì, hai ragione, è strano. Si direbbe quasi che chi ha fatto questa spesa, che tra l'altro mi sembra una follia, non volesse divulgare troppo la cosa, ma che avesse comunque bisogno di un giustificativo con qualcuno.»
Stefania rifletteva. In effetti non c'erano molti elementi: un documento come un preventivo aveva valore solo tra i due contraenti e solo se veniva accettato dal committente, se non ricordava male le lezioni di diritto, quindi era forse per quello che era stato messo nel dossier senza troppi controlli.
«E poi mi piacerebbe sapere chi è questo Sid.»
Gianni rifletté a sua volta: «Be', se non ricordo male, la Teletekno aveva fatto un accordo con la NBC per la vendita dei diritti di alcuni suoi documentari. Potrebbe essere il nome di uno dei responsabili delle trattative per l'accordo. Sid direi che è un nome piuttosto comune negli Stati Uniti. E per loro utilizzare il nome proprio e come per noi quando ci diamo del tu, che in inglese è uguale al voi.»
«Oppure è il bradipo dell'Era Glaciale.» scoppiò a ridere Stefania.
Gianni rise di gusto: aveva una risata profonda e coinvolgente. La ragazza lo guardò teneramente e lo abbracciò. Lui allargò le braccia e le massaggiò la schiena con le grandi mani in un gesto tranquillizzante per entrambi e molto intimo.
Si baciarono, un bacio lungo e profondo, umido e piacevole. Le mani di lui scivolarono sula parte bassa della schiena di lei. La ragazza si staccò: «No, no, signor birichino, adesso dobbiamo lavorare» lo sgridò scherzosamente.
Le mani di Gianni non si spostarono, anzi approfondirono le carezze, rendendo evidenti quali fossero le sue intenzioni: «Su, signor agente Pane, non sia così severa con me: sono un povero peccatore...»
La ragazza si svincolò dall'abbraccio e si alzò: «Dai, vecchio pervertito, vieni a darmi una mano...»
«E non era quello che facevo? Anzi, te ne stavo dando ben due!»
«Dai, scemo. Mettiti su quel computer e prova a cercare questa SolidWare così vediamo se riusciamo a capirci qualcosa. Lo sai che i miei sensi da poliziotto sono sempre all'erta, e adesso stanno pizzicando come non mai.»
«Accidenti: sono fidanzato con spidergirl e non lo sapevo!» disse il ragazzo alzandosi dal divano. Andò verso un mobile dove era piazzato un portatile dall'aspetto vecchio. Si collegò a internet e iniziò a fare qualche ricerca.
«A quanto pare la SolidWork non esiste...»
«SolidWare, non SolidWork.»
«Ah, aspetta...» Ticchettii di tasti, qualche altro rumore del disco rigido del PC.
«Eccoli: ci sono ancora. Hanno anche un bel sito internet. Sono nella zona industriale di San Mauro, al Pescarito...»
«Ho presente: è nella zona dove lavoravo... prima.» La voce della giovane si incrinò. Faceva ancora fatica ad abituarsi all'idea di essere in punizione, senza la possibilità di vederne la fine.
Gianni si alzò dal PC e andò ad abbracciare la ragazza, senza provare altre avance, cosa che fece piacere a Stefania, che non era decisamente in vena. La tenne stretta per qualche minuto.
«Andiamo» disse infine lei, e non ci fu bisogno di spiegare quale fosse la loro destinazione.

Inviato: 01 febbraio 2009, 10:39
da overhill
6. Un'azienda di successo

La zona industriale del Pescarito si estende a San Mauro, a est della strada che da Torino conduce a Settimo Torinese. E' un'area densamente occupata da fabbriche, capannoni, concessionarie d'auto e qualche ristorante, la maggior parte dei quali sono gli eredi dei famosi “locali da camionisti”, quelli che nessuna guida Michelin consiglia, ma che non ne hanno bisogno. I tanti viaggiatori di passaggio valutano la qualità del locale dal numero di camion parcheggiati fuori: più ce ne sono e più il locale è buono. E quella zona è piuttosto ben fornita sia di locali che di spazi per parcheggiare i bestioni.
Proprio vicino a uno dei locali storici della zona, in un palazzo piuttosto pretenzioso di una decina di piani, c'era la sede della SolidWare, la meta dei due ragazzi.
Suonarono al citofono; una voce femminile li invitò a salire. Una placca metallica sulla parete interna indicava che gli uffici erano al sesto piano. Stefania osservò che altre placche indicavano che ai piani inferiori erano presenti altre aziende evidentemente collegate alla prima: «SolidWare engineering», «SolidWare transaction», SolidWare consult», e altre due ancora più criptiche: «Ne devono avere di grani, questi qui» disse Gianni sottovoce.
«Be', diciamo che 45 milioni di euro fanno comodo» rispose la ragazza.
«Già.»
Presero l'ascensore e arrivarono al sesto piano. Uscirono direttamente nella reception, che evidentemente occupava l'intero piano. Dietro un bancone una ragazza truccata in modo vistoso disse con falsa cortesia: «Buongiorno: dite.»
Stefania estrasse il suo tesserino e si avvicinò alla segretaria: «Buongiorno, sono l'agente Stefania Pane della questura di Torino» indicò il suo compagno «lui è Gianni Vasto» avendo cura di non dire altro. In caso di contestazione lei avrebbe potuto dire di non avere mai detto che l'amico fosse un suo collega, non aveva mai usato un grado o un termine specifico.
La donna non diede a vedere di essersi agitata: «Di cosa ha bisogno?»
«Vorrei parlare con qualcuno dell'amministrazione o della contabilità.»
«A che riguardo?»
Stefania guardò intensamente la donna negli occhi e sorrise: «Questo non glielo posso dire, signora... signora?»
La segretaria si schiarì la voce: «Ehm, Bertani. Vedo chi c'è in ufficio.»
Stefania si girò e vide che Gianni stava sogghignando, approvando con lo sguardo il modo di fare della ragazza.
Intanto la segretaria stava facendo un giro di telefonate: a quanto pareva in ufficio non c'era nessuno quel giorno. Finalmente, dopo qualche minuto durante il quale l'agente Pane non si era mossa dalla posizione davanti alla scrivania, la segretaria con un sorriso disse: «L'ingegner Bergami vi riceve subito: volete seguirmi?» Si alzò lasciando intravedere un'abbondante porzione di coscia. Stefania istintivamente osservò Gianni, seguendo la direzione del suo sguardo. Si appuntò mentalmente di dargli una strigliata più tardi.
La donna li precedette in una grande sala riunioni, molto luminosa, dominata da un enorme tavolo al quale potevano prendere posto almeno una trentina di persone. Su un lato un grosso schermo bianco e di fronte un proiettore, in un angolo un grande televisore piatto. Su un altro lato un tavolo con diverse bottiglie di acqua e di altre bibite, con numerosi bicchieri dall'aria robusta. Una delle pareti era completamente occupata da un'enorme vetrata che forniva una discreta vista delle montagne in lontananza.
La segretaria uscì chiudendo la porta.
«Carina» disse Gianni.
«Maiale» rispose imbronciata Stefania.
«Eh, dai, per una guardatina...» si giustificò il ragazzo.
«Maiale lo stesso...»
Il battibecco sarebbe andato avanti ancora per parecchio se non si fosse riaperta la porta. Entrò un uomo di statura media, robusto, i cui capelli biondi iniziavano a cedere il passo alla pelata. Sfoggiava un bel sorriso un po' troppo tirato, evidentemente era nervoso, ma normalmente la visita della Polizia poteva voler dire guai in arrivo e difficilmente la gente era tranquilla.
«Buon giorno, agenti» disse l'uomo. Stefania si guardò bene dal correggere il plurale, «come posso esservi utile?»
Stefania prese la mano che l'uomo gli sporgeva e la scosse decisa un paio di volte: «Buon giorno a lei. Stiamo seguendo alcune indagini sui fatti avvenuti cinque anni fa a TeleTekno. Immagino ricordi...»
L'uomo manifestò la sua partecipazione in modo piuttosto plateale: «Mio dio, certo che mi ricordo! Fu uno choc terribile. Anche uno dei nostri titolari morì in quella carneficina, il dottor Fantini, Andrea Fantini. Era il nostro punto di riferimento. Dopo la sua morte abbiamo fatto parecchia fatica a ritrovare equilibrio...»
«Immagino. E immagino anche che alcune decine di milioni di euro abbiano contribuito a tenere in piedi l'azienda.» disse Stefania con tono neutro.
Se l'uomo stava fingendo, era sicuramente un grande attore: «In che senso, scusi?»
La ragazza prese una fotocopia del documento dalla borsa: «Nel senso che, secondo questo documento, la vostra azienda ha incassato quarantacinque milioni di euro. E, sempre secondo questo documento, in nero.»
«Ehi, ehi, un momento. Che cifra ha detto? Quarantacinque...» Il dottor Bergami assunse un tono a metà tra il divertito e l'incredulo: «No, guardi, signorina...»
«Agente.»
«Agente, mi scusi. Guardi, negli ultimi cinque anni, da quando c'è stato l'attentato, la nostra società ha avuto sempre problemi legati alla chiusura dell'anno fiscale. Questo è il primo anno che andiamo in pareggio tra entrate e uscite.» Il tono dell'uomo pareva sincero, ma Stefania aveva avuto modo di parlare spesso con dei veri artisti della menzogna, e non era propensa a fidarsi delle sue sensazioni.
O sì?
«Uhm, lei sa che questo è un controllo che abbiamo già fatto» mentì «e proprio per questo motivo il documento del quale stiamo parlando è, quanto meno, strano.»
«Posso vederlo?»
La ragazza porse il documento. Il dottor Bergami lo prese e lo lesse attentamente: «Quarantacinque milioni di euro. Sono una cifra pazzesca anche per dei mainframe.» L'occhio esperto del tecnico scorse in pochi secondi gli elementi riepilogati: «Qui si parla di tre computer di notevole potenza, e questo potrebbe arrivare intorno a qualche centinaio di migliaia di euro al massimo. E poi ci sono consulenze per... però, accidenti... centomila ore di consulenza di Abate? E' una cifra strana anche questa.»
«Perché?» la ragazza era sinceramente incuriosita.
L'uomo assunse un tono quasi didattico, come se dovesse tenere un mini-corso: «Vede, una persona lavora normalmente otto ore al giorno, per cinque giorni. Quindi sono quaranta ore alla settimana. Ovviamente se a lavorare sono dieci persone, durante la settimana producono quattrocento ore di lavoro. Ma qui è evidentemente indicato che si tratta di una sola persona...»
«Ah, quello è un nome?»
«Sì, Abate è il cognome di uno dei nostri tecnici migliori. Io non uso spesso il termine genio, qui da noi ci sono moltissimi ragazzi molto bravi e geniali, ma Fabrizio riusciva a entrate quasi in sintonia con i computer. Una volta in cui era particolarmente tranquillo, si era lasciato scappare che lui “pensava” come un computer, e che quando doveva scrivere un programma, lo “pensava” direttamente in Machine Interface...»
Stefania alzò le mani per fermare quel flusso di informazioni: «Ehi, ehi, ehi, fermo, si fermi, per favore. Le spiace spiegarmi cosa sta dicendo? Non sono un tecnico e ho smesso di seguirla quando ha iniziato a parlare in informatichese.»
L'uomo sorrise e fece un gesto come per scusarsi: «Ha ragione. Mi scusi, ma mi faccio prendere facilmente la mano quando parlo di computer in generale e di Fabrizio in particolare. Vediamo se riesco a spiegarmi meglio: innanzi tutto quel Machine Interface di cui le ho parlato, è un linguaggio piuttosto complesso, e difficile anche per i tecnici, che permette di parlare direttamente con un computer. E' un linguaggio di bassissimo livello, quasi linguaggio macchina. Servono anni per capirne il funzionamento e molto tempo per capire come usarlo, ma Abate lo usava come io e lei scriviamo la lista della spesa...»
«Usava?»
Bergami si intristì: «Fabrizio era alla TeleTekno il giorno dell'attentato, insieme al dottor Fantini.»
Gianni non aveva parlato fino a quel momento, e Stefania se n'era quasi dimenticata. Ebbe un sussulto quando sentì la voce del ragazzo: «Posso farle una domanda?»
Bergami alzò la testa: «Certo.»
«Da quello che ha detto questo ragazzo, questo Abate...»
«Fabrizio.»
«Sì, Fabrizio Abate, era un genio del computer, e utilizzava come se fosse la sua lingua madre un linguaggio complesso e piuttosto ostico anche agli addetti ai lavori. Ha detto anche, poco fa, che le ha parlato del suo rapporto con la programmazione “una volta che era particolarmente tranquillo”. Questa frase mi ha incuriosito e vorrei sapere una cosa: Abate aveva problemi mentali?»
La frase fu buttata lì un po' brutalmente e Stefania temette che Bergami si sarebbe arrabbiato o offeso. Invece notò con stupore che sorrideva: «Lei è piuttosto perspicace. Fabrizio Abate stava qui a lavorare, ma alla sera veniva riaccompagnato all'istituto dove viveva. Era affetto da una forma di autismo che gli impediva la maggior parte dei rapporti normali con le persone. Era un genio, ma era anche quello che molti definiscono un idiota.»
«Un idiot savant, un idiota sapiente come dicono i testi di psicologia.»
«Esatto, agente.»
«Io non...» iniziò a dire Gianni, ma fu fermato da Stefania: «Dottor Bergami, sulla parte posteriore di questo documento c'è scritto “pagato”, il che mi porta a pensare che il denaro sia passato di mano.»
«Uhm, le ripeto che se ne avessimo avuta anche solo una parte non credo che saremmo passati per il rischio di chiusura. Ha la fotocopia del retro?»
«La copia che ha in mano è un fronte-retro» disse la ragazza.
Bergami girò il foglio e inarcò un sopracciglio: «Ah, ecco, come immaginavo: questa è la scrittura del dottor Fantini. Solo lui scriveva la lettera T in questo modo, come una specie di croce, vede? E anche la P è particolare. Può darsi che i soldi li abbia presi lui, o che abbiano trovato un accordo diverso dal pagamento in contanti, che so, una percentuale sugli incassi...»
«Ecco, questa è l'altra domanda: gli incassi di che cosa?»
«Questo non glielo so dire. L'unica volta che Fantini ne ha fatto accenno, ha parlato di “esperimento”, ma non ha mai detto niente di più. Solo lui e, penso, Abate ne sapevano qualcosa...»
«Ma entrambi sono morti.» terminò Stefania.
«Già.» disse Bergami tristemente.
La donna si trattenne dal replicare “molto comodo”, e proseguì: «Senta, un'ultima cosa: lei non sa se questi tre computer sono stati consegnati?»
«Non saprei dirle, potrebbe essersene occupato direttamente Andrea, il dottor Fantini. Ma non ne so nulla. Può darsi che a casa sua ci sia qualche documento. Potreste andare lì.»
«Mi pare una buona idea» Stefania porse la mano all'uomo e gli indirizzò un sorriso sincero: «Grazie per la sua collaborazione, e auguri per il vostro lavoro.»
Bergami non doveva essere abituato a queste manifestazioni di partecipazione, e arrossì: «Grazie, sign... agente, molto gentile.» Salutò anche Gianni con una stretta di mano, senza accorgersi dello sguardo del ragazzo.
I due uscirono e non dissero nulla fino a quando non uscirono in strada. Gianni disse, senza girarsi: «Cos'era tutto quel sentimento di partecipazione? Ti era simpatico?»
«Eh, va be', per una stretta di mano...»
«Uffa, io non posso guardare, e tu invece puoi dargli la mano!»
«Non c'è paragone...» iniziò a dire la ragazza.
«Ah, di questo non ne sarei tanto sicuro.»
Stefania prese la mano del ragazzo: «Dai, se fai il bravo dopo facciamo pace, eh?»
Gianni fece finta di tenere il broncio e si girò verso la ragazza: «Come dopo? Non adesso?»
«No, no. Adesso devo tornare in ufficio, prima che Cocco mi mandi a cercare.»
«Cavolo, non glielo hai detto?»
Stefania sorrise: «Sì, così mi prendo una lavata di capo se va bene, oppure mi licenziano direttamente.» Gianni si abbassò a baciare la ragazza sulle labbra, un bacio casto: «No, mi piace avere una poliziotta come fidanzata: è molto avventuroso...»
Ridendo salirono in macchina.
Sei piani più in alto, dalla grossa finestra della sala riunioni, Bergami li osservava pensieroso.

Inviato: 02 febbraio 2009, 14:40
da overhill
Urka, stamattina mi sono proprio dimenticato!! :)

Inviato: 02 febbraio 2009, 14:43
da overhill
7. Conseguenze

Stefania stava lavorando su un dossier relativo a un caso di omicidio colposo nei confronti di una società dal sibillino nome di «Turin Security», un minestrone di schemi, fotocopie incomprensibili, dettagli tecnici che solo grazie alla didascalia in alto sapeva essere della valvola di sicurezza di una non meglio identificata bombola; il tutto buttato alla rinfusa senza il minimo criterio di ordine. E per di più quel giorno il suo ufficio sembrava particolarmente buio e questo le strigliava i nervi terribilmente. E per metterci il carico da undici, aveva perso il collirio che si portava sempre dietro, ed era dovuta correre a recuperarne una confezione in farmacia, arrivando in ritardo.
Stava pensando di essere arrivata al punto di meritarsi un bel caffè al bar con la sua amica Federica Conte, quando arrivò una telefonata sull'antiquato apparecchio interno.
Era la prima telefonata che riceveva da quando era finita in quel girone dantesco, e alla sua prima sorpresa si aggiunse la contentezza di sentire la voce dell'amica: «Stefania? Ciao, sono Federica. Ti rompo?»
«Non c'è pericolo che tu riesca a rompere più del lavoro che sto facendo. Non lo auguro neanche alla mia peggior nemica!»
«Eh, addirittura. Ma se c'è gente che pagherebbe per avere quel lavoro.»
«Ecco, se ne trovi una mandamela che di due soldi in più saprei cosa farne!»
Federica tornò seria: «Senti Stefania, hai due minuti? Volevo parlarti di una cosa, e se magari anticipi la tua pausa posso farlo subito.»
«E' cosa urgente?»
«Be', sì e no. Ma ci tengo a dirtela il prima possibile.»
Stefania controllò l'orologio da polso. Mancavano quindici minuti alla sua pausa pranzo. Magari poteva chiedere il permesso al suo capo. «Uhm, ci provo. Ci vediamo al solito bar?»
«No, oggi andiamo in trattoria. E paghi tu.»
«Ma non...»
«Vedrai che ti conviene.» Stefania era incuriosita. Federica era una ragazza molto attiva e vivace, e non era la prima volta che la sentiva così solare.
«Va bene, ci vediamo lì fra... dieci minuti, ok?»
«Ok. Ciao.»
La comunicazione si interruppe.
Stefania fece il gesto di alzarsi per andare a prendere il cappello della divisa, ma venne interrotta dal suono del telefono.
“Porca miseria, due volte in un giorno. E che è, Natale?” pensò ancora allegra per la telefonata con l'amica.
La voce che sentì alla cornetta la gelò: «Agente Pane, venga subito nel mio ufficio.»
Era Corelli, e dal tono di voce non sembrava per niente allegro. Non aspettò neanche che la ragazza rispondesse e attaccò. Evidentemente non calcolava la possibilità che il sottoposto avesse qualcosa da dire. Con notevole preoccupazione Stefania andò verso la porta che la divideva dall'ufficio del suo capo, e bussò. La voce stentorea del Capitano la invitò, anzi le ordinò di entrare.
«Agli ordini, Capitano...»
«Venga avanti, non stia sulla porta» sbraitò il superiore. La ragazza si avvicinò quasi obbligandosi ad avanzare. Appena arrivata davanti alla scrivania, Corelli le spiegò il motivo della chiamata: «Agente Pane, io non riesco a capire in quale modo mi devo comportare con lei.»
Stefania cadde dalle nuvole. Per un istante pensò a qualche tentativo di approccio da parte del suo capo, ma non era decisamente il tipo di fare qualcosa del genere, neanche con quello stile così ruvido. La spiegazione arrivò immediata.
«Vorrei sapere chi le ha dato, non dico l'ordine, ma almeno il permesso di andare a fare delle indagini per conto suo!» Prese un foglietto: «Qui c'è un'informativa della direzione affari interni, e sottolineo affari interni nel caso non fosse stata attenta, che mi sta chiedendo per quale motivo lei sia andata ieri alla sede di questa... uhm, Solidvare» lo pronunciò esattamente come si leggeva «per fare delle indagini circa quel documento che io le avevo espressamente detto di lasciare perdere e di rimettere a posto. Si rende conto? Loro chiedono a me perché lei ha fatto un'indagine. Loro chiedono a me perché le ho dato il permesso! Loro chiedono a me per quale motivo lei si è permessa di andare ad accusare di frode un cittadino. E visto che io ne sono all'oscuro, vorrei che me lo spiegasse.»
Tacque aspettando la risposta. Ma era un atteggiamento falso. In realtà aspettava una qualunque parola per poterla interrompere. Stefania lo sapeva bene, ma si lasciò trascinare dal groppo alla gola che le si era formato.
«Io pensavo...»
«Grave errore! Le ho già detto che lei non deve pensare. Lei è qui per eseguire i compiti che le sono stati assegnati, nei tempi stabiliti e senza fare niente di più o niente di meno. E quando ha voglia di fare qualche indagine si deve limitare a un film o a un libro giallo.» Il nodo che chiudeva la gola della ragazza si strinse ancora un poco, quasi impedendole il respiro. Non era giusto, ne era sicura, ma non sapeva come reagire.
«Ma...»
Corelli non aveva intenzione di lasciare spazio alle scuse: «Ma lei è qui per eseguire un lavoro e solo quello. Il suo incarico fino a nuovo ordine è di controllare i dossier e di metterli a posto in modo che siano sempre presentabili nel migliore dei modi. E fino a nuovo ordine vuole dire che fino a quando io non avrò detto che lei può smettere, lei non deve smettere per fare altro. Oppure ha un diverso significato per lei la parola ordine
Non è giusto non è giusto non è giusto non è giusto...
«Signornò» si sforzò di dire Stefania a denti stretti.
«Allora, se è d'accordo con me, mi faccia la cortesia di tornare al suo lavoro, e di continuarlo fino a quando, con un nuovo ordine, non le darò incarichi diversi. Cosa che, alla luce degli ultimi avvenimenti, non è detto che avvenga in tempi brevi.»
«Signorsì.»
«Può andare.» Il capitano Corelli riportò la sua attenzione a una serie di fogli che aveva davanti e ignorò completamente la donna, che salutò militarmente, battendo i tacchi e trattenendo le lacrime, si girò e tornò nel suo ufficio.
Bruttosaccodimerdapomposofacciadicazzobastardoticascasseluccellotisiseccasserolepalle...
Si sedette al suo posto continuando la lunga litania di insulti rivolti al suo capo per diversi minuti, le braccia conserte, il tentativo di recuperare una respirazione un po' più libera, sciogliendo il nodo alla gola con un po' di acqua da una bottiglietta. Non aveva certo bisogno di colliri in quel momento: i suoi occhi erano decisamente umidi, anche se cercava disperatamente di non piangere, per non cedere alla rabbia che la pervadeva.
Ma era una lotta persa in partenza. Appoggiò le braccia sul tavolo, vi appoggiò sopra la testa, come quando era bambina a scuola e si sentiva stanca.
E iniziò lentamente a piangere. Prima lasciando scivolare fuori le lacrime, poi con singhiozzi che la scuotevano. Lasciò uscire tutta la rabbia con quelle lacrime. Pianse per alcuni minuti, fino a quando non si tranquillizzò, e anche la gola tornò a lasciarla respirare normalmente.
Si rialzò e si soffiò il naso.
Tornò a guardare il dossier sul quale stava lavorando quando era stata chiamata da Corelli, quando...
«Oh, porca miseria: Federica!»
Si era completamente dimenticata dell'amica e del suo sibillino invito a pranzo. Recuperò velocemente il telefonino e richiamò il numero. Dopo due squilli Federica rispose: «Ste', ma dove cavolo sei? Non posso mica continuare a mangiare per due...»
«Scusa, ma Corelli mi ha chiamato...»
Dal tono di voce Federica capì che c'era stato qualche problema con Cocco: «Cosa ti ha detto?»
«Mi ha cazziata, come al solito.»
«Uffa, cos'hai combinato stavolta?»
Stefania prese fiato: «Niente di particolare. C'è un documento che mi ha incuriosito, e sono andata a verificare... Ma quelli da cui sono andata evidentemente non sono stati contenti di vedermi.»
«E quando mai? Quando vedono una divisa in giro sono in tanti a farsela nei pantaloni.»
Stefania sorrise e sentì il nodo alla gola che si scioglieva un po': «Che bella immagine, Federica. Comunque scusa, ma non me la sento proprio di fare conversazione. Se vuoi lascia da pagare. A proposito, cosa dovevi dirmi?»
«Non c'è fretta, te lo posso dire anche un'altra volta. Ma non mi tirare più bidoni, neh?»
Le due amiche si sorrisero, e anche non vedendosi lo capirono attraverso i telefoni.
«Va bene. Ci sentiamo. Ciao»
«Ciao.»

Inviato: 02 febbraio 2009, 14:45
da overhill
Stefania chiuse la comunicazione e rimise il telefonino nella borsa. Era ancora arrabbiata, ma parlare con Federica l'aveva tranquillizzata. Sorrise pensando all'amica e alla sua abilità nel mettere a proprio agio chiunque. Chissà di cosa le voleva parlare?
Guardò il dossier davanti a lei, quello della valvola di sicurezza. Non aveva nessuna voglia di rimettersi a trafficare con quel cumulo di fogli senza senso, a cercare un qualunque ragionamento che le permettesse di decidere in quale ordine metterli.
Sbuffò.
Guardò lo scaffale alla sua sinistra, dove si trovavano i documenti che aveva già riordinato. Tra questi poteva vedere benissimo quello che le interessava. Quello dell'attentato alla TeleTekno. Era identico agli altri, ma sembrava quasi più luminoso, di un colore diverso. Come se la stesse chiamando.
Si alzò e andò a prenderlo. Lo portò sul suo tavolo e lo scorse lentamente, senza fretta.
Cosa aveva detto Bergami? Aveva scaricato la responsabilità del documento che tanto l'aveva incuriosita su uno dei dirigenti, uno che era morto nell'attentato. Non ricordava il nome. Scorse la lista per vedere se trovava qualcosa che poteva risvegliarle qualche ricordo.
«Eccolo! Fantini, Andrea Fantini. Dirigente della SolidWare.»
C'era anche l'indirizzo completo, una zona periferica di Chieri, a pochi chilometri da Torino in direzione est, dietro la collina. Chissà se la famiglia abitava ancora lì?
Si chiese se era il caso di affrontare ancora l'ira del suo capo.
Scartabellò ancora un poco il dossier e ritrovò il famoso preventivo. Tre computer, centomila ore di consulenza. Quarantacinque milioni di euro.
Troppi. Troppi soldi e troppi computer. Tre mainframe, aveva detto Bergami, computer grossi, potenti e costosi.
Ma perché tre?
E dove erano finiti?
Potevano essere andati distrutti nell'esplosione?
Controllò di nuovo il dossier e trovò una lista degli oggetti che erano stati trovati ancora riconoscibili dopo l'attentato. Erano diverse decine di fogli, tabulati di un qualche programma. Non erano ordinati in alcun modo, per cui Stefania si mise di buona lena a controllare ogni riga.
Arrivata alla cinquantanovesima pagina, finalmente trovò qualcosa che poteva essere interessante: «Materiale elettronico, compatto. Molto danneggiato. Sul contenitore sono visibili le diciture “IBM” e “AIX”. Su quello che sembra il pannello anteriore presente etichetta adesiva danneggiata con dicitura 'SolidWare'. Peso circa...»
Uhm, potrebbe essere quello che cerco.
Recuperò il telefonino e chiamò un numero memorizzato.
La voce che rispose sembrava assonnata: «Pronto?»
Stefania partì in quarta: «Ciao, tesoro, sono io. Ho bisogno che mi fai un controllo su Internet. Puoi guardare in che relazione sono le parole “IBM” e “AIX”? Scusami ma qui non posso andare in rete, in realtà non c'è neanche un computer degno di questo nome. Va bene che sono in punizione, però... Tra l'altro sai che la nostra visita di ieri non è stata gradita dal quel tizio? Si è lamentato con i capi del mio capo, e lui, ovviamente, mi ha dato una bella lavata di testa...»
«Stefania...»
«... non che non fosse giusto per carità, però porca miseria poteva anche lasciarmi spiegare...»
«Stefania...»
«... non sono neanche riuscita ad andare a mangiare con Federica. Sai Federica, la mia collega, mi ha detto che mi deve dire qualcosa di importante...»
«Stefania...»
Finalmente la donna si rese conto che Gianni stava cercando di dire qualcosa: «Ma cosa c'è?»
L'uomo aveva la voce decisamente stanca: «Stefania, ti prego, lasciami infilare due parole; nel frattempo prendi fiato, eh? Allora, ho passato la notte a studiare un caso e sono particolarmente rincoglionito, fino a tre secondi fa ero addormentato e di tutto quello che mi hai detto mi sono fermato alla parola “tesoro”. Ora, se non è di troppo disturbo, vado di là, mi faccio un caffè e poi ti richiamo sul cellulare, va bene?»
«Ma io ho urgenza!» disse Stefania un po' scocciata, anche perché si era resa conto di avere investito il ragazzo con un fiume di parole.
«Ecco, proprio perché hai urgenza: se non mi dai il tempo di svegliarmi, io non posso ragionare e se non ragiono come faccio a fare quello che mi hai chiesto, qualunque cosa sia?»
Stefania sorrise: «Tesoro, scusami, ma è stata veramente una brutta mattinata. Non volevo sfogarmi con te, ma sono così tesa in questi giorni...»
Gianni rispose con dolcezza: «Lo so, bimba, adesso però dammi quei cinque minuti e ti richiamo, va bene?»
«Sei uno scansafatiche, ma ti amo lo stesso.»

Quattro minuti dopo, Gianni la richiamò sul cellulare.
Stefania lo aggredì subito: «Ma quanto ci hai messo a farti quel caffè, porca miseria?»
Gianni era troppo abituato alle sfuriate della ragazza per prendersela a male, e poi sapeva che prendendola con calma si sarebbe tranquillizzata: «A parte che avevo detto cinque minuti e ne ho impiegati quattro, mentre aspettavo che la moka facesse il suo mestiere, ho girellato su internet e ho trovato qualche informazione su quei due termini che, nonostante fossi completamente rimbambito, mi sono arrivati lo stesso in mezzo al fiume di parole che hai detto.»
Stefania sorrise: «Ma quanto sei efficiente! Hai qualcosa da farti perdonare?»
«Scema. Allora la parola IBM sai benissimo cos'è. AIX invece è un sistema operativo, una cosa particolare che gira su macchinoni grandi e grossi, equipaggiati con processori grandi e grossi e per aziende grande e grosse, soprattutto nel portafoglio. Non sono riuscito a trovare un listino prezzi preciso ma in un forum ho trovato gente che ne parlava e giravano cifre dai cinque zeri in su.»
Stefania rifletteva. Quindi quello era uno dei computeroni che la Teletekno aveva comprato da Fantini. E uno era nella sede della televisione.
E gli altri?
«Oh, sei caduta?» la voce di Gianni era allegra, ma con una vena di preoccupazione.
Stefania si riscosse: «No, scusa. E' che ho trovato tracce di uno dei tre computer che sono presenti nel documento che ti ho fatto vedere ieri, e sono curiosa di sapere dove sono gli altri due. Sai, mi piacerebbe trovare una bella evasione fiscale e sbattergliela in faccia a Cocco, così impara un'altra volta a trattarmi male.»
«Uh, come sei vendicativa... Senti, tardi questa sera?»
«No, non credo: hai qualche programma?»
«Be', un'ideuzza ce l'avrei...» disse Gianni sogghignando.
«Allora scordatela, perché stasera andiamo a trovare una signora.»
«Carina?»
«Be', magari ti interessa se ti piace il genere: è una vedova.»

Inviato: 02 febbraio 2009, 14:52
da overhill
La separazione in due parti è voluta: nel racconto c'è un salto pagina, per evidenziare il "cambiamento" :)

Inviato: 03 febbraio 2009, 08:39
da overhill
8. Casa Fantini

La zona nella quale si trovava la casa del defunto dottor Fantini era piuttosto isolata, tranquilla e senza grande traffico. Ci si accedeva da una stradina secondaria che si diramava dalla statale che da Chieri andava verso Andezeno. La stradina si infilava in una zona boscosa e girava per qualche chilometro, lambendo alcune case appartenenti a persone evidentemente benestanti. Oltre la casa di Fantini, la stradina si perdeva in svolte e giravolte da qualche parte.
Gianni sembrava essere un po' titubante: «Senti, Stefania, non ti basta la lavata di capo che ti ha fatto il tuo boss? Guarda che qui stiamo andando a rompere le scatole a una vedova. Magari non sarà contenta...»
Stefania lo interruppe: «O magari sì. Potrebbe anche avere piacere a vedere che le indagini proseguono, no?»
Il ragazzo dovette ammettere che il discorso filava: «Be'... uhm... suppongo di sì.»
«E allora, dai, datti una mossa e stammi dietro.»
Scesero dall'auto e si avvicinarono al cancello. Di fianco una porticina e un campanello. Sopra il pulsante una targhetta in ottone, perfettamente lucidata, con inciso “Fantini” e “Pardi”, uno sopra l'altro.
Stefania suonò una volta sola e brevemente.
Passarono alcuni secondi, poi una voce femminile gracchiò dal piccolo altoparlante: «Sì?»
«Buon giorno, signora, sono l'agente Pane della Questura di Torino. Sono qui con un collega» mentì, «posso parlarle un minuto?»
«Buon giorno Agente. Sarebbe così cortese da mostrarmi un tesserino?»
«Certo signora.» Stefania armeggiò con la borsa ed estrasse il tesserino di riconoscimento. Lo alzò verso il citofono, rendendosi conto che non c'era nessun obiettivo. Rimase un attimo interdetta. La voce al citofono sembrava divertita: «Alla sua sinistra, agente.»
La ragazza si girò e notò sopra il cancello una telecamera. Mostrò il tesserino. Un rumore di motori elettrici arrivò dalla telecamera, evidentemente la donna dentro casa stava facendo uno zoom.
«Entrate pure.»
La porta si aprì con rumore metallico. I due giovani entrarono e si avviarono per un vialetto di alcune decine di metri, mentre dalla porta di ingresso usciva una donna: era decisamente troppo giovane per essere la vedova di Fantini. Poteva avere trent'anni al massimo. Forse la figlia?
«Buon giorno, signora, spero di non essere inopportuna.»
«Nessun problema, agente. Venite, accomodatevi.»
La donna scortò i due fino a un salotto di dimensioni generose e arredato con estremo gusto: niente di pacchiano, colori tenui, diversi tendaggi che lasciavano passare la luce del sole filtrata, con tonalità calde. Si accomodarono su un paio di divani contrapposti.
«Come posso aiutarvi?» disse la donna.
Stefania si prese un paio di secondi per ricordare la tiritera che si era preparata, pensando però di parlare con una donna di mezza età e non con una ragazza poco più grande di lei: «Sono stata incaricata di seguire alcuni accertamenti che potrebbero essere legati all'attentato alla TeleTekno di cinque anni fa. Temo che non ci sia bisogno di ricordarle...»
«Esatto» rispose la donna, la voce appeno più rigida: «in quella terribile mattinata ho perso mio padre, e le assicuro che non dimenticherò mai quel giorno.»
“Ah, ecco, è la figlia”. Stefania non pensava di trovarla a casa. Dal dossier risultava abitare all'estero. Come si chiamava? “Maura, un nome curioso”.
«La capisco benissimo, e sono spiacente di venire qui a riaprire vecchie ferite.»
«Non si preoccupi. Io penso a mio padre tutti i giorni, anche se non me lo ricordano.»
«Me ne rendo conto.» A questo punto doveva essere prudente per non rischiare un offesa, con conseguente lamentela e richiamo da parte di Cocco: «Il mio incarico è di mettere a posto alcuni aspetti che si sono delineati durante l'indagine, alcuni “fili pendenti” che non riusciamo a mettere a fuoco. Ci sono un paio di situazioni che potrebbero aiutarci a scoprire i responsabili dell'attentato, e io sto seguendo una di queste situazioni.»
«Capisco. Di cosa si tratta?»
Stefania estrasse dalla cartellina una fotocopia del preventivo. La diede a Maura.
«Uhm, un preventivo. Curioso.»
«Perché curioso?»
«Be' sicuramente quello che vi avrà fatto pensare è la cifra di questo preventivo, e il fatto che dietro» girò la fotocopia, che era un fronte-retro «c'è quel pagato. E oltretutto scritto con la calligrafia di mio padre.»
«La riconosce?»
«Anche a occhi chiusi.» La voce della donna era assolutamente ferma e decisa, nonostante l'assurdità di quello che aveva appena detto.
«Anche il dottor Bergami ha riconosciuto la mano di suo padre in questa scritta.» Maura non ebbe nessuna reazione a sentire il nome. Alzò gli occhi in quelli di Stefania: «Agente, potrei sapere in che modo pensate che questo documento, che documento non è, possa essere legato all'attentato?»
Quello era il momento cruciale, Stefania se ne rendeva conto: in base a come Maura Fantini avrebbe interpretato le sue domande, poteva entrare nelle sue grazie, oppure, al contrario, andare in ufficio a preparare le sue cose per dimettersi dalla Polizia.
«Vede, signora, la cifra indicata in questo documento è assolutamente spropositata, e ci sono ben due cose che mi hanno fatto pensare: la prima è che i computer indicati sono tre. Di questi uno l'abbiamo trovato tra le macerie della TeleTekno, a quanto pare nella zona interrata. Gli altri due non sappiamo dove siano. La seconda sono le ore di assistenza, ben centomila, indicate nello stesso documento. Ho pensato che, essendo così tante le ore da dedicare a questo progetto, qualunque esso sia, magari uno dei tre computer era stato installato in qualche posto sicuro...»
Era giunto il momento di osare: «Magari qui.»
Trattenne il fiato. Maura parve considerare la cosa. Rimase in silenzio per alcuni istanti.
«Aspetti un momento» disse, alzandosi. Uscì dalla stanza.
Stefania si girò verso Gianni, che aveva seguito la conversazione senza intervenire e bisbigliò: «se adesso va a chiamare in ufficio, sono ufficialmente defunta.»
I due ragazzi attesero diversi minuti, arrivando a preoccuparsi. Finalmente la donna tornò con alcuni fogli: «Scusatemi per l'attesa, ma ho dovuto cercare questi.» Mostrò il mucchietto di fogli: «Non posso farveli leggere perché sono lettere riservate di mio padre. Risalgono a circa sei anni fa, poco meno di un anno prima dell'attentato.»
Scartabellò con uno dei fogli: «Ecco, qui dice: “...sono quasi finiti i lavori di ristrutturazione, la casa è decisamente diversa da come la ricordi tu...”» Posò i fogli: «Io a quel tempo abitavo a Washington, per lavoro...»
«Che lavoro fa, signora?» si intromise Stefania, dimenticando le lezioni di psicologia, nelle quali dicevano sempre che se qualcuno parla, meglio lasciarlo parlare.
Per fortuna Maura aveva un modo di reagire particolare: «L'intermediatore linguistico-culturale. Sarebbe una specie di interprete, ma un po' più specializzato. Non mi limito a tradurre un testo, ma traduco il senso.»
«Molto interessante» rispose laconicamente Stefania, sperando che continuasse. Così fu: «Dicevo che in quel periodo ero negli Stati Uniti per lavoro, ed era un periodo molto intenso, per cui questa cosa della ristrutturazione mi era proprio passata di mente. In effetti quando tornai, dopo l'attentato, ho trovato alcune differenze, ma non tante quante pensavo. Anche perché sinceramente avevo altro per la testa.»
«Lei ricorda quali modifiche sono state fatte?»
Maura sorrise: «Non ne ho proprio idea. Ho notato diverse cosette qua e là per la casa, ma dovessi dirle quali mi troverei proprio in un terreno che non è il mio. A meno che non siano proprio eclatanti, come un muro che non c'è più, o una porta che sparisce. Ma già in questo secondo caso forse non me ne accorgerei neanche.»
Stefania sorrise a sua volta: «Be' ognuno di noi ha un livello di attenzione che dipende anche dagli interessi. E lei sicuramente non ha l'edilizia tra i suoi interessi principali, Senza contare che, come ha detto, aveva altro per la testa in quei giorni.»
«Esatto» convenne Maura. Improvvisamente sembrò riscuotersi. Stefania si preoccupò, ma quello che la donna disse subito dopo le fece capire di avere superato il problema licenziamento: «Ma, non vi ho offerto nulla: lo gradite un caffè?»
«Volentieri!» esclamò Gianni, facendo sobbalzare le due donne che non avevano ancora sentito una parola dal giovane. Si guardarono e scoppiarono a ridere, imbarazzando ancora di più il ragazzo che divenne quasi paonazzo.
Maura si alzò e invitò i due ragazzi a seguirla: «Venite,andiamo in cucina, saremo più comodi.» Li precedette fino a un vasto ambiente, luminoso e ordinato. Stefania e Gianni si sedettero su due sgabelli alti, posizionati vicino a un bancone simile a quelli dei bar, mentre Maura si mise a trafficare vicino ai fornelli, dove faceva bella mostra di se una macchina per il caffè espresso che sembrava una riproduzione in piccolo di quelle professionali.
«Caspita, praticamente come al bar» esclamò Stefania sorridendo.
La donna assunse uno tono vagamente sognante: «A papà piacevano parecchio, e ha attaccato questa passione anche a me e alla mamma. Non ne beviamo tantissimi, ma ci piace berlo buono.» Disse tutto questo continuando a manovrare filtri, levette, pulsanti e tutte quelle attrezzature che fanno normalmente parte del rito dell'espresso.
«Stai facendo un caffè, tesoro?» disse una voce dolce proveniente dall'interno della casa. Maura rispose con un sorriso: «Hai il naso lungo, mamma. Vieni, ci sono degli ospiti.»
La ragazza tornò a rivolgersi ai due giovani: «Da quando papà se n'è andato, la mamma vive in un mondo tutto suo. Probabilmente la sua reazione allo choc...» Venne interrotta dal rumore di passi che si avvicinavano.
Giovanna Pardi entrò nella grande cucina come un venticello leggero in una giornata calda. Aveva un sorriso contagioso, aperto, incastonato in un viso rotondo e piacevole. Anche gli occhi azzurri ridevano, saettando di qui e di là ad osservare tutto e tutti. Bassa e rotondetta aveva un'agilità insospettabile, che la faceva sembrare un'ape industriosa, sempre indaffarata a fare mille cose, senza mai concluderne una.
«Cocca, devo essere rimasta addormentata. Ma che ore sono?» Non attese la risposta: «Stai facendo un caffè? Brava, ne prendo volentieri uno anche io. Chi sono i tuoi amici?» Anche dopo questa domanda non attese di risposta. Gli occhi frenetici della donna saettarono verso un minuscolo orologio da polso: «Ma è molto tardi! Non dovevi partire? Sapete, ragazzi, la mia bimba vive lontana ma ogni tanto viene a trovarmi.»
Stefania si inserì. Rivolgendosi a Maura disse, passando inconsciamente al tu: «Ah, non vivi qui? Pensavo di sì, la casa è molto grande: dove abiti?»
Maura accettò di buon grado il nuovo tono: «Vivo a Roma. Lavoro in un centro che si occupa per conto del governo di coordinare le varie Ambasciate che si trovano in Italia. Sai, traduzioni, contatti, cene e viaggi di lavoro. Cose del genere.»
«Interessante.» Stefania provava una profonda invidia per chi aveva padronanza per le lingue. Non era mai riuscita a imparare bene neppure le basi dell'Inglese. Riusciva un po' a parlarlo ma quanto a capire qualcosa, non c'era proprio verso. Figuriamoci andare a vivere all'estero come aveva fatto Maura.
La ragazza intanto aveva continuato a parlare: «Fra tre ore devo tornare a Roma, domani ho un impegno piuttosto notevole.»
«Di che genere?» chiese Gianni.
«Top secret, mi spiace.» Mentre diceva questo fece un cenno verso la madre che non si accorse di nulla, intenta com'era a osservare un vaso di gerani: «Credi che dovrei bagnarli, cocca? Mi pare che siano patiti. Sì, decisamente devo bagnarli.»
Maura sorrise teneramente verso la donna: «Non annegare quei poveri fiori, mamma, non sanno mica nuotare!» I due giovani presenti sorrisero, mentre la donna scoppiò a ridere di gusto: «Ah ah ah, buona!»
La giovane si alzò dallo sgabello: «Comunque adesso devo veramente andare. Quando siete arrivati stavo terminando di preparare le valigie e ora, se voglio prendere quell'aereo, devo proprio lasciarvi.»
Gianni si offrì di aiutare Maura a portare le valigie fino alla porta e tutti e quattro insieme attesero il taxi. Prima di salire salutò con un abbraccio la madre, e di nuovo si trovò faccia a faccia con Stefania. Abbassò la voce: «Ho capito che non è un'indagine ufficiale, e che quello» indicò con un cenno del capo Gianni «non è un poliziotto. Ma se può servire a chiarire chi ha ucciso mio padre non mi interessano le carte bollate. Ti chiedo solo di trattare bene mamma.» Mentre diceva questo scandagliava con lo sguardo gli occhi della poliziotta. Quello che vide, insieme alla risposta, le fu sufficiente: «Come se fosse mia madre.»

Inviato: 03 febbraio 2009, 09:15
da Blu
Il personaggio di Maura mi è piaciuto molto :) , mi piace la sua praticità ed il suo essere diretta, e soprattutto la complicità che si è da subito instaurata con Stefania :) .. penso che in altre circostanze sarebbero diventate buone amiche :) (o magari lo diventeranno anche entro la fine di questo romanzo, chi lo sa :roll: )




Golden Reviewer (157 Golden Award)

Inviato: 04 febbraio 2009, 08:29
da overhill
9. La ricerca

I tre rimasero per diversi secondi a osservare la curva dietro alla quale il taxi era sparito. La madre di Maura continuava a sorridere, mentre i due ragazzi erano indecisi su cosa fare. Si guardarono e Gianni fece spallucce.
«Signora» Stefania provò a parlare con la donna. Che non diede segno di avere sentito, continuando a sorridere beatamente.
«Signora?» alzò un poco la voce.
La donna rispose senza girarsi: «Sì, cara?»
«Signora, le spiace se le faccio un paio di domande?»
La signora Fantini finalmente si girò a guardare la ragazza. La osservò per alcuni secondi mentre il suo sorriso lentamente si spegneva, e gli occhi si ingrandivano. Alla fine della trasformazione, la donna chiese con voce triste: «Maura?»
Stefania si domandò se stesse chiedendo se lei era la figlia, o se la domanda fosse da intendere con un “dov'è andata?”, oppure anche “se n'è andata?” Decise di prenderla larga: «E' andata, signora, è tornata a Roma. Ricorda? Ha preso un taxi poco fa.»
Il sorriso tornò sul viso della donna: «Ah sì, è vero! Che bella città, Roma. Siamo andati a trovarla una volta e lei ci ha fatto fare il giro completo di tutti i musei e di tutti i monumenti. Che meraviglia! C'è così tanta storia... Abbiamo dovuto stare per ben due mesi, sa?»
«Mi immagino, signora. E' molto bella, Roma» rispose Stefania con un sorriso.
«Secondo me però non basta l'acqua.»
Stefania guardò Gianni a cercare una spiegazione alla frase della donna. Il ragazzo fece di nuovo spallucce. Intanto Giovanna Fantini si era incamminata verso casa, e i due ragazzi non poterono fare altro che seguirla. Intanto continuava a parlare: «Sì, sì, secondo me ce ne vuole ancora. Altrimenti si seccano...»
Stefania capì che stava parlando dei fiori, quelli che la figlia aveva pregato di non affogare, facendola ridere. Chissà se aveva veramente capito la battuta o se aveva riso per simpatia.
«Signora, mi scusi se la disturbo, ma noi stiamo cercando...»
«Anche secondo te i fiori sono troppo bagnati?» La donna aveva raggiunto il vaso e lo contemplava con sguardo critico. Stefania osservò a sua volta e notò che la terra era scura dall'umidità. «Non me ne intendo, ma mi pare che acqua ce ne sia parecchia. Forse anche troppa.»
Giovanna osservò ancora un po' il vaso, poi si girò quasi di scatto: «Chi vuole un caffè?»
La poliziotta non faceva in tempo a seguire la donna, sembrava una farfalla: «L'abbiamo appena preso, signora, forse sarebbe meglio far passare un po' di tempo.»
«Ah, sì, certo. Andrea me lo dice sempre che il caffè va preso poco e bene. Dice sempre così: poco e buono.»
Gianni si avvicinò e bisbigliò all'orecchio della ragazza: «Mi sa che domande è inutile farne. La signora è decisamente confusa. Forse potremmo andare a dare un'occhiata all'ufficio del marito, se c'è ancora.»
Stefania assentì con il capo, poi si rivolse alla donna: «Signora, mi farebbe piacere, se non è disturbo per lei, dare uno sguardo all'ufficio di suo marito.»
La donna smise di volteggiare da un punto all'altro della casa: «Be', ma io... non saprei... Andrea si adira tanto se qualcuno gli tocca le cose...»
«Non si preoccupi, non voglio mettere fuori posto. Ho bisogno di trovare un computer, e penso che suo marito abbia qualche documento che possa farmi capire dove si trova. Le prometto che ogni foglietto che prendo lo rimetto al suo posto esatto.» Terminò con un sorriso.
Giovanna sorrise a sua volta: «I computer. Mio marito ci lavora con i computer, sa? Io non ne capisco niente, ma lui è tanto bravo...»
Stefania si era ovviamente accorta del fatto che la donna usasse il tempo presente quando parlava del marito. Non sembrava una buona cosa, ma il fatto che Maura, che le era sembrata persona giudiziosa, si fidasse a lasciare la madre da sola e per di più con due estranei, le pareva un ottimo indizio circa la salute mentale della donna. Forse non era proprio al cento per cento, ma probabilmente era semplicemente, come diceva la figlia, una persona che viveva in un mondo tutto suo, senza per questo essere definibile come “pazza”. Si ripromise di parlarne con Gianni appena fossero stati soli.
Intanto la donna aveva ricominciato a sorridere: «Va bene, se me lo promettete. Venite, vi mostro dov'è l'ufficio.»
Li precedette fuori dal salone, e li guidò per un discreto tratto fino ad arrivare a una grossa porta in legno all'apparenza piuttosto pesante. La serratura tipica delle porte qui era stata sostituita da una di quelle di sicurezza, e la porta era quasi sicuramente blindata.
“Accidenti! E che doveva tenere nascosto?” si chiese Stefania guardando la porta.
Giovanna andò decisa verso la maniglia, l'abbassò e entrò senza quasi fermarsi.
“Be' non è che ci fosse poi una gran sicurezza se la tenevano aperta...”
Lo studio di Andrea Fantini era piuttosto grande, di forma rettangolare. Stefania dalla sua posizione fece un rapido inventario del posto: pianta rettangolare, sviluppata in lunghezza; all'incirca quattro metri sul lato corto per cinque o sei su quello più lungo. Sulla parete di destra due grosse finestre permettevano di godere di una bella vista sul giardino posteriore, mentre sul lato opposto un mobile bar piuttosto grande, dotato di bancone e tre sgabelli alti. Sul fondo, davanti a un muro di librerie, una grande scrivania in legno con numerosi documenti e dossier, che circondavano un computer portatile, chiuso. In un angolo una statua in pietra ruvida riproduceva in tre dimensioni il famoso «urlo» di Munk, piuttosto inquietante nella sua solida irrealtà. C'erano anche un paio di grossi vasi che sostenevano delle armi simili ad alabarde, un po' assurde in quel contesto, ma che ben si accordavano con il colore scuro del legno che era praticamente ovunque. Davanti a una delle due finestre due divani si contrapponevano, separati da un tavolino in vetro, il cui sostegno era una sfera di pietra, dello stesso materiale dell'”urlo”.
«Bello, vero? L'ha fatto fare così Andrea, l'ha studiato proprio lui.» La voce di Giovanna era vibrante d'orgoglio per il lavoro del marito.
«Molto bello» convenne Stefania continuando a contemplare la stanza, «un bel posto dove lavorare.» Indicò la scrivania: «Posso?»
La donna tentennò. Non sembrava abituata a prendere decisioni così importanti, almeno dal suo punto di vista. La voce risuonò lamentosa: «Sì, prego, ma faccia attenzione a non mettere niente fuori posto: non vorrei che Andrea si arrabbiasse. Non che si arrabbi mai, è tanto bravo, ma ci tiene alle sue cose, sa...»
Stefania sorrise: «Non si preoccupi, signora, come le ho già detto farò attenzione a non fare disordine. Anche a me dà fastidio quando non trovo le cose dove le avevo messe, e poi divento matta a rimettere tutto a posto. Stia tranquilla, che suo marito non si accorgerà di niente.» Si sentì un po' a disagio quando disse questa mezza bugia. Come mai avrebbe potuto accorgersi di qualcosa il defunto Andrea Fantini?
La vedova sorrise e piegò leggermente il capo. Poi cambiò espressione e disse, tutta agitata: «Uh, i miei poveri fiori! Si staranno seccando!» si girò e fuggì via, seguita dallo sguardo divertito ma anche intenerito della ragazza.
«A l'è fola, neh? (=E' matta, vero?)» disse ridacchiando Gianni.
«Mah, non più di tanti altri che fanno molti più danni. Secondo me è abbastanza innocua per gli altri e per sé stessa.»
«A meno che tu non sia un fiore che non sa nuotare» rise il ragazzo.
Stefania sorrise. Poi tornò seria e incitò il suo compagno di avventura: «Dai, diamoci da fare.»
«Sì, ma cosa cerchiamo?»
«Indizi su dove possa essere questo maledetto computer. Sempre che...»
Gianni terminò la frase per lei: «Sempre che ce ne siano.»
Sospirò, allargando le braccia: «Speriamo.»

Inviato: 05 febbraio 2009, 08:12
da overhill
10. Piccoli problemi di alimentazione

Stefania si appoggiò allo schienale della comoda poltrona, stanca e molto vicina alla sconfitta: «Uffa! Non c'è un beato nulla qui. Solo ed esclusivamente corrispondenza privata, appunti per un libro di informatica, appunti per programmi nuovi, analisi di fattibilità, documenti di compra-vendita di materiale informatico, annotazioni su stringhe di numeri...».
Gianni stava controllando il mobile bar. Si girò a osservare la ragazza. La guardò con un misto di tenerezza e orgoglio: era testarda in una maniera quasi maniacale, e il fatto che si stesse arrendendo non era proprio un buon segno. Ma d'altro canto era contento, perché questo poteva anche portare alla fine di questa storia che, sinceramente, non gli piaceva per niente.
Stefania si fregò gli occhi, rimase per alcuni secondi in meditazione, per scrollare tutta l'inutile paccottiglia che aveva accumulato fino a... ma che ora era? Guardò l'orologio da polso. Non si stupì più di tanto quando scoprì che stavano trafficando da più di un'ora.
E che non avevano trovato niente.
Una delle prime cose che aveva controllato era stato il portatile. Aveva controllato la parte posteriore, notando sia un cavo di alimentazione, che uno di tipo diverso che probabilmente lo collegava da qualche parte; forse una rete. Ma che senso aveva una rete se c'era un solo computer? E infatti Stefania aveva sperato che questo fosse il primo passo verso qualche scoperta. Aveva alzato la copertura del piccolo oggetto, aveva premuto il pulsante di accensione, e aveva aspettato qualche secondo. Non era successo assolutamente nulla.
Aveva deciso di lasciar perdere momentaneamente, era abbastanza sicura di trovare qualcosa al di fuori di quella scatola maledetta: per colpa del suo nuovo lavoro aveva sviluppato un discreto odio per i computer.
Ma dopo avere rivoltato l'ufficio, rimettendo ogni cosa a suo posto come aveva chiesto la signora Giovanna, e dopo avere scoperto che non c'era probabilmente nulla da scoprire, decise di tornare a occuparsi del piccolo parallelepipedo grigio scuro.
Lo aprì di nuovo. C'era solo un tasto per l'accensione, con il simbolo tipico, una specie di cerchietto con un taglio in alto, per “on-off”. Lo premette di nuovo. Niente da fare, nessun segno di vita. Provò a tenere premuto il pulsante, ma anche in questo caso non ci fu nessun tipo di reazione. Premette il tasto e provò a girare il dito, mantenendo la pressione. Nulla.
Scollegò il cavo di alimentazione da dietro, ottenendo lo spegnimento di un piccolo led verde sulla parte anteriore. Rimise il cavo a suo posto e la piccola luce si riaccese.
Non sapeva esattamente cosa fare; la parola “esasperazione” cominciava ad apparire a caratteri debolmente pulsanti davanti agli occhi.
«Niente da fare?» chiese Gianni con delicatezza.
«Niente da fare» rispose stanca.
Gianni chiuse lo sportello che stava guardando, provocando un leggero tintinnio nei bicchieri che si trovavano sopra.
«Ti spiace se provo io?»
Stefania conosceva il suo pollo, e sapeva benissimo che se per lei i computer erano uno strumento di lavoro, per lui erano qualcosa che avrebbe potuto non esistere, tanto poco li conosceva. Alzò un sopracciglio guardando il ragazzo. Poi si alzò e gli fece un cenno come a dire accomodati, e contemporaneamente non poté evitare che un sorriso a mezza bocca le si dipingesse sul viso.
Se Gianni se ne accorse non lo diede a vedere. Andò alla scrivania e osservò il piccolo oggetto. Lo chiuse e mise le mani nella parte posteriore, infilando i polpastrelli sotto e sollevandolo leggermente.
«Gli fai un massaggio?» chiese Stefania ironicamente.
Lui sorrise: «Qualcosa del genere... aspetta un attimo...»
Improvvisamente tolse la mano di scatto. La ragazza non se l'aspettava ed ebbe un sussulto: «ma cosa...?»
«Trovato... aspetta che forse...»
Si sentì uno scatto e un pezzo piuttosto grosso si staccò dalla parte posteriore della scatola. Gianni si alzò e osservò nel buco. Tornò a sedersi e sorrise alla ragazza: «Fra un paio di minuti riproviamo.»
«Ma mi vuoi dire...?»
Alzò le mani come a fermare eventuali richieste: «Ah, no: se era quello che penso io mi faccio un figurone, altrimenti una figuraccia. Quindi non dico nulla fino a quando non sono sicuro.» Si alzò e le prese la mano: «Vieni, apriamo una finestra e prendiamo un po' di aria.»
Si avvicinarono alla finestra più vicina e la aprirono completamente. Si appoggiarono al vano e respirarono a fondo. Non parlarono, non ce n'era bisogno tra loro. Lasciarono passare diversi minuti così, a tenersi la mano, a rilassarsi con la sola presenza dell'altro.
In quella tranquillità non si erano subito resi conto di un rumore di fondo, basso, continuo.
«Sembra venga da qui fuori» disse Gianni, sporgendosi. Seguendo la provenienza del suono girò lo sguardo verso sinistra. Una specie di cubo era posizionato contro il muro, appeso a qualche metro di altezza.
«Ah, deve essere un condizionatore» disse Stefania osservando a sua volta.
«Già. Se fosse stato anche qui dentro probabilmente quel piccolo PC non avrebbe avuto il problema che ha avuto. Andiamo a vedere se adesso va?»
Si alzarono e chiusero la finestra. Tornarono alla scrivania.
«A te l'onore» disse Gianni alla ragazza, indicando il pulsante.
Stefania lo guardò dubbiosa. Pose il dito sul pulsante e premette.
Quasi immediatamente si sentì il rumore del disco che si avviava, il tasto usato per accendere si animò di una bella luce azzurra. Dopo tre secondi il video si animò con i soliti messaggi di avvio di un computer.
«Ma come...?»
«La batteria. Era qui da cinque anni, e per tutto questo tempo era rimasta sotto tensione. La tecnologia di cinque anni fa non gestiva la disattivazione in caso di carica completa, per cui continuava a ricevere corrente e, visto che ormai era carica, trasformava la corrente in quello che poteva, cioè calore. E questa temperatura, sentita dai sensori del PC, gli impedivano di accendersi. Togliendo la batteria e aspettando che tornasse a temperatura ambiente, speravo si accendesse. E ho avuto fortuna.»
Stefania era sbalordita: «Ma come fai a sapere queste cose? Hai sempre odiato i computer!»
Gianni si schermì un poco: «Be', per essere sinceri continuo a non sopportarli, ma tempo fa ho seguito una lezione all'università sul parallelo tra elaboratori e ragionamento umano. Ci sono molte affinità, sai? Molte cose che fanno 'ste scatole sono simili ai modelli di ragionamento che abbiamo noi animali a base carbonio. Tra le varie somiglianze c'è anche il problema del surriscaldamento: hai presente quando stai troppo sotto il sole? Il tuo cervello smette di funzionare correttamente, per difendersi. Ed ecco che nei computer, per evitare problemi, hanno messo questi sensori che impediscono l'avvio in condizioni pericolose.»
La ragazza era senza parole. Sorrise, poi disse con voce allegra: «Ma sai che sei un uomo da sposare?»
«Eh, lo so: me lo dicono in tante...»
«Adesso non approfittarne, neh?» lo rimbrottò allegramente.
Nel frattempo il PC aveva terminato la sua fase iniziale. Numerose informazioni erano scorse sul video, troppo velocemente per essere lette. Molte erano incomprensibili sequenze di consonanti e numeri, altre vagamente inquietanti. Probabilmente era quell'AIX di cui aveva letto.
Improvvisamente lo schermo si oscurò. Stefania rimase interdetta: si era forse di nuovo fermato? Al centro comparve una piccola freccia. Meno male, temevo di dover indovinare tutti i comandi!
Purtroppo per lei il sollievo durò poco: al centro dello schermo comparve un piccolo rettangolo azzurro, e al centro di questo in altro rettangolo più sottile bianco. Sopra di questo lampeggiava una sola parola, che bloccò definitivamente le speranze della ragazza.
«Porca pupazza, questa non ci voleva! Vuole una password!» esclamò.
«Siamo a posto. Cercare di entrare nel computer di un esperto di informatica senza avere la chiave è un gran bel problema. Altro che caldo!» rispose Gianni.
Stefania rifletté per qualche secondo. Sicuramente una persona esperta come Fantini aveva messo una password contemporaneamente significativa e sicura per proteggere il suo computer. Qualcosa che fosse difficile da indovinare per un estraneo ma facile da ricordare per il proprietario. Qualcosa legato alla propria vita lavorativa o privata, qualcosa di importante.
Qualcosa di importante... vuoi vedere che...?
La ragazza mise le mani sulla tastiera e premette tre tasti in sequenza. Sul video, all'interno del piccolo rettangolo, comparvero tre pallini scuri, per indicare quanti caratteri erano stati digitati.
Gianni osservava con attenzione. Nel vedere una parola così corta esclamò: «Ma figurati se è così...» ma non fece in tempo a terminare la frase.
Stefania premette il tasto invio, e il computer cominciò allegramente a macinare. Si sentiva chiaramente il disco fisso interno che gracchiava mentre la microscopica punta di lettura scorreva le informazioni, riportandole a video in un carnevale di dati.
Il tutto durò pochi secondi, sotto gli sguardi di Gianni e Stefania, rispettivamente stupito e felice.
«Ma come diavolo hai fatto?»
«Ho pensato che una password, per essere efficace, deve essere facile da ricordare, ma difficile da indovinare. E quale parola migliore di una su un documento che non è un documento scritta in un angolo?»
«Sid?»
«Sid.»
Gianni sorrise: «Siamo proprio una bella squadra. Anche tu saresti da sposare.»
Nel frattempo sul piccolo pannello piatto si erano posizionati una serie di grossi pulsanti, ognuno dei quali riportava una dicitura. Stefania scorse le varie parole, borbottandole mentre le leggeva.
«Configurazione, allineamento, rilevamento, informazioni, visualizzazione,...»
«C'è parecchia roba, mi pare. Chissà a cosa servono?» disse Gianni.
«L'unica è provare.»

Inviato: 05 febbraio 2009, 09:00
da Blu
Che coppia :D .. devo dire che le puntate ambientate nello studio di casa Fantini sono quelle che mi hanno messo più Ansia..
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.. perché mi aspettavo da un momento all'altro l'arrivo della padrona di casa a cacciarci prima di aver avuto il tempo di scoprire qualcosa di utile :P (non so voi, ma durante il racconto io continuo a guadare la porta per vedere se arriva [:^] :asd: )




Golden Reviewer (157 Golden Award)

Inviato: 05 febbraio 2009, 09:15
da overhill
Povera vedova Fantini, così bistrattata! :asd:
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Inviato: 06 febbraio 2009, 08:04
da overhill
11. Immagini da un altro mondo

Gianni osservò lo schermo attentamente.
Erano presenti tre file di quattro rettangoli, ognuno con la sua brava dicitura che indicava l'argomento. Premendo sui ogni tasto, variavano le parole contenute, sempre diverse a seconda della direzione presa.
«Prova a premere informazioni. Mi sembra quello più promettente.»
Stefania mosse il cursore mediante il piccolo touch-pad sotto la tastiera. Premette il tasto e apparve un rettangolo con numerose scritte.
«Livello di release, data di rilascio, crediti... mi sembra che qui ci sia poca roba interessante.» La ragazza era dubbiosa: «Sembra che ci siano solo informazioni tecniche e poco altro.»
«Torna indietro. Prova visualizzazione
Stefania premette sulla freccia che indicava verso sinistra e le parole tornarono quelle del menù iniziale. Poi schiacciò il tasto che le aveva indicato Gianni.
All'interno dei sedici tasti apparvero delle immagini fisse, come delle fotografie. Gianni fece un verso soddisfatto: «Uh, adesso sì che ragioniamo!»
Sullo schermo, sotto i sedici pulsanti, erano apparse di nuovo le due frecce. Quella a destra riportava la dicitura «17-32.»
«Ce ne sono un sacco, sembrerebbe. Non si vede bene cosa ci sia nelle immagini... aspetta, provo a cliccarci sopra.»
Alla pressione del cursore, l'immagine del primo pulsante si ingrandì con movimento fluido. Adesso era più chiara: riportava una stanza piuttosto vasta, arredata come un salotto, grande, con un tavolo da ping-pong, alcuni videogiochi in un angolo, un flipper, un mobile bar che sembrava piuttosto ben fornito.
«Strana stanza. Non si vedono finestre.» Gianni era incuriosito.
«Già, e non sembra esserci nessuno.»
Stefania premette un piccolo pulsante in alto a destra, e l'immagine rimpicciolì fino a tornare nel pulsante. Passò alla seconda immagine. Era la stessa stanza, lo si capiva dal flipper che si vedeva in entrambe, ma da un'altra angolazione. Anche da quella parte non si vedevano finestre.
Gianni indicò un punto: «Guarda qui. Qualcuno c'era, direi. Riesci ad ingrandire?»
La ragazza osservò il punto indicato: in effetti sembrava la gamba di una persona nell'atto di uscire dalla grande stanza. Il resto era nascosto dalla porta. Trafficò un poco, provando a muovere il cursore premendo uno dei tasti di funzione di cui era corredata la tastiera. Finalmente trovò la combinazione giusta.
«E' proprio una gamba. E bravo 'o guaglione!» Stefania era elettrizzata dalla scoperta.
Gianni gongolò soddisfatto. Si alzò e girando dietro alla ragazza, aprì un cassetto: «Avevo visto... ah, eccoli. Ci sono dei fogli A4. Prendo qualche appunto.»
Prese un paio di fogli e si rimise di fianco a Stefania.
Lavorarono per un'oretta continuando a premere tasti, a ingrandire e rimpicciolire, a notare particolari. Riuscirono a collegare le varie stanze, e a ricostruire la planimetria di quel luogo. Alcuni tasti avevano una dicitura che poteva aiutare a capire la composizione finale.
C'erano altre pagine di immagini. Dopo qualche minuto Stefania aveva anche capito come controllare il momento di ultimo aggiornamento dell'immagine.
Gianni osservò la pila di fogli che aveva scritto: «Allora, per adesso abbiamo tre piani. Nel primo c'è questo salone, dietro c'è quella specie di officina e l'infermeria, quella con la croce rossa sulla porta. Poi abbiamo quest'altra stanza con il tavolo, che dovrebbe essere la sala da pranzo e quella è la cucina. Questa con le lavatrici è ovviamente la lavanderia. Poi in questo altro piano c'è la zona notte, con tutte le stanze da letto, ognuna con la sua bella telecamera. Poi le due stanze, enormi, con gli svaghi, flipper, videogiochi, televisori. Qui le docce e i bagni. E poi l'altro piano con i magazzini e i congelatori.»
«Be', per essere grande è grande.»
«Parecchio. Ce n'è ancora?»
Stefania osservò in basso a destra. Erano nella pagina 81-96, la sesta pagina e la freccia riportava solo la dicitura «Ultimo.»
«Ultimo? Nel senso di ultimo video, ultima pagina, ultimo aggiornamento?» chiese Gianni.
«Boh, proviamo a vedere.» Stefania premette la freccia e aspettò.
Nella pagina successiva c'era una sola immagine, a tutto schermo. In alto la dicitura diceva «ultimo aggiornamento», subito sotto la data e l'ora. .
Al centro, vicinissimo allo schermo, il volto di una donna, gli occhi spalancati dal terrore girati verso la sua destra, come a controllare qualcosa; la bocca semiaperta in un muto urlo di paura. Inconsciamente Gianni guardò la statua che riproduceva l'”urlo” di Munch, così simile a quello che vedeva nel pannello.
Il fermo immagine era giustificato dalla riga in caratteri verdi su campo scura, apparsa nella parte inferiore dello schermo:
9998 – Disco pieno, si desidera eseguire un wrap?
In corrispondenza del punto interrogativo, il cursore stava lampeggiando.
«Stefania, hai notato la data?»
La ragazza stava osservando senza capire il volto della donna, deformato dall'orrore. Spostò l'attenzione sulle informazioni in alto.
«O porca miseria! Ma sono di...»
«Già: di quattro anni fa» concluse Gianni.
I due si guardarono. Stefania lentamente si rese conto di cosa poteva voler dire quell'immagine; disse, con un filo di voce: «Oddio: questa sta aspettando una risposta da più di quattro anni!»

Inviato: 06 febbraio 2009, 08:06
da overhill
Le cose cominciano a farsi pesanti, neh? :)

Non andate a cercare su Gooooogle cos'è un wrap, ve lo spiego domani con l'ultimo capitolo della prima parte ;)