19. Epilogo
Le due settimane successive al Salvataggio erano state qualcosa più che frenetiche.
Stefania non ricordava quasi nulla di quello che era successo subito dopo avere riconosciuto l'amica nella figura che aveva sfondato la porta dell'Infermeria; come in una nebbia vedeva i tanti colleghi che avevano accompagnato Federica, ricordava vagamente di avere corso nel solito corridoio, di essere salita su una piattaforma provvisoria che aveva portato lei e gli altri fino al livello del suolo. Ricordava il dolore agli occhi quando la luce del sole li aveva colpiti e il pianto disperato di Francesca in braccio alla madre, dalla quale non aveva voluto staccarsi.
In mezzo alla luce solare ricordava i lampi dei fotografi, due o tre, non era riuscita a contarli, che avevano immortalato il momento della fine dell'incubo. Dopo che Stefania era stata riabilitata dal Questore in diretta TV, l'attenzione dei media era diventata notevole, e il fatto di non riuscire a trovare la protagonista di una storia così incredibile in casa, al lavoro o in qualunque altro posto dell'universo, aveva solleticato ulteriormente la sensibilità dei giornalisti. Le immagini di Stefania e Gianni abbracciati all'uscita della miniera avevano fatto il giro del mondo, e in Italia l'agente Stefania Pane era diventata una specie di eroe nazionale. L'avere organizzato una missione di salvataggio in modo tanto fallimentare era passato in secondo piano, rispetto all'abnegazione che la poliziotta aveva dimostrato. E anche grazie a Rizzo che aveva smosso qualche sua conoscenza nel settore giornalistico per evidenziare le parti giuste della vicenda.
Per fortuna la notizia era passata rapidamente in seconda pagina, poi in cronaca locale e alla fine era completamente sparita. Oggi c'era solo un trafiletto con la notizia che “L'Eroina del reality torna in servizio” e una sua foto appena uscita dalla Miniera. Diversa attenzione era stata riservata a Paola e Mauro e, soprattutto, alla piccola Francesca: i giornalisti continuavano a fare illazioni sul giorno esatto di nascita, gli astrologi cercavano di capire, grazie al “tema astrologico”, la data e l'ora in cui Francesca era nata, nel buio della Miniera.
E ora, dopo le cure mediche e un brevissimo periodo di riposo, Stefania si ritrovava nuovamente nella Questura Centrale di Torino, davanti a una porta che conosceva fin troppo bene.
Bussò. Dall'interno la nota voce stentorea la invitò a entrare.
Il commissario Cosimo Corelli, detto Cocco a sua insaputa, alzò lo sguardo dal dossier che stava leggendo e quando la vide si alzò in piedi. Stefania percorse il breve tratto fino alla scrivania, si fermò davanti al suo capo e salutò militarmente: «Agli ordini.»
L'uomo si schermì e le tese la mano: «Riposo, riposo, stia comoda» le indicò la sedia.
Si sedettero entrambi.
«Bene, bene, l'agente del giorno. Anzi del mese, mi pare di capire dai giornali.»
Stefania sorrise: «Un po' meno adesso, per fortuna...»
«Mi fa piacere, agente Pane. Io spero che comprenda che l'atteggiamento da me tenuto nei suoi confronti prima degli ultimi avvenimenti, era dettato semplicemente dal fatto che lei risultava in punizione.»
“Accidenti, com'è cauto. Mi sa che qualche cazziatone se l'è preso, il povero Cocco.” Stefania sorrise al proprio pensiero, e rispose: «Me ne rendo conto, Commissario. Credo che lei fosse perfettamente giustificato dalla situazione . Inoltre sono certa che lei ha obbedito a ordini diretti.»
«Esatto!» si esaltò Corelli, senza rendersi conto che la donna stava suggerendo che gli ordini fossero arrivati direttamente dall'ex commissario, ed ex poliziotto, Angelotti. «Proprio così» continuò, «come lei sa benissimo io ritengo la gerarchia e la collaborazione tra colleghi della massima importanza. Un elemento direi vitale per la sopravvivenza della nostra Istituzione.»
“Un politico mancato.”
Corelli parlò ancora per diversi minuti, incensando doverosamente il lavoro fatto da Stefania, scusandosi ancora per il modo con cui l'aveva trattata, e invitandola a ricorrere a lui in ogni momento e in ogni forma avesse ritenuto opportuno. Questo concetto della forma inquietò un po' la ragazza, che sorrise ancora. Il commissario lo interpretò come segnale di simpatia e si rilassò.
«Inoltre sono lietissimo di poterle dare questo.» Così dicendo prese una busta da un cassetto e la porse alla ragazza.
Stefania prese il grosso plico, sul quale spiccava il simbolo della Polizia di Stato, e guardò interrogativamente Corelli, che si limitò a sorridere e a fare un gesto invitante verso la busta.
La aprì.
Dentro c'erano numerosi fogli firmati, controfirmati, carte da bollo, documenti e mille altre cose, ma dopo pochi secondi ne estrasse i due più importanti. Nel solito strettissimo e arzigogolato linguaggio burocratico, dicevano due cose piuttosto fondamentali: che sarebbe tornata nel commissariato di Settimo, e che lo avrebbe fatto da Ispettore.
Alzò lo sguardo su Corelli, e ricevette in cambio un segno di assenso e un sorriso, che gli fece guadagnare diversi punti.
«Ispettore Pane, le mie congratulazioni» disse Cocco alzandosi e porgendo la mano.
«Io... non so cosa dire.»
«Bene, una dote importante in una donna» replicò Cocco, perdendo i punti che si era guadagnato fino a quel momento nella personale classifica di Stefania. La ragazza strinse la mano un po' meccanicamente al suo ormai ex-capo e lo salutò dimenticandosi immediatamente di averlo fatto.
Uscì un po' inebetita dalla sorpresa. Rimase indecisa nel corridoio, osservando la busta il cui contenuto le garantiva un brillante futuro.
«Allora?»
La voce arrivava dal fondo del corridoio. Stefania si girò e vide l'amica che l'aveva salvata. Mentre le si avvicinava notò che anche lei aveva in mano una busta simile alla sua. Quando fu a pochi centimetri si fermò. Federica le sorrise e disse, in cenno di saluto: «Buongiorno, Ispettore».
Stefania, indicando la busta rispose: «Buongiorno a lei, Ispettore.»
Scoppiarono a ridere e si abbracciarono.
«Qualcosa mi dice che la famosa cazzata è stata non solo dimenticata, ma addirittura sepolta!»
«Guarda, per i prossimi cinquanta o sessant'anni cerca di non parlarmi di terra, sepolture e qualsiasi altra cosa abbia a che fare col sottosuolo.»
«Non mancherò. A proposito di sottosuolo...»
Stefania finse di offendersi: «Ma allora non mi ascolti!»
Risero ancora: «Dai, questo è importante. Ti stavo cercando perché mi è arrivata notizia che la squadra di ricerca ha finito i lavori nella Miniera.»
«L'hanno...?»
«Sì. Ci hanno messo parecchio, perché era riuscito a costruirsi un dedalo di cunicoli alcuni strettissimi, e hanno dovuto allargarne diversi prima di trovarne il corpo.»
«Sai che in fondo mi fa un po' pena. Era decisamente impazzito.»
Federica fece una smorfia: «Uhm, forse alla fine sì, ma quando ha deciso di uccidere Mariano era ancora perfettamente sano di mente. Oppure era già matto e noi non lo sapremo mai. E poi, alla fine, chi se ne frega? Tanto ormai è morto, quindi non ci saranno processi alla fine delle indagini. L'unica stranezza è che l'hanno trovato abbracciato a un sacco.»
«A un sacco?»
«Sì, uno di quelli di materiale plastico, pieno di terra. Gli stava sopra, come se se lo fosse messo per coprirsi... o per lottare... strano, no?»
«Sì, però visto che era matto...»
«Esatto. Hai voglia di venire a prendere un caffè al bar?»
Stefania alzò la cartella e disse: «Mi pare evidente che due ispettori possono fare più o meno quello che vogliono... »
Ridendo le due amiche uscirono e si incamminarono verso il solito bar in corso Vinzaglio. C'erano pochi avventori, e un paio di colleghi che, vedendo entrare i due famosi personaggi, le salutarono con un sorriso e un cenno della mano, continuando poi a parlottare tra loro. A Stefania non dava più fastidio questo atteggiamento, adesso, perché si era finalmente scrollata di dosso la famosa “cazzata”, che cazzata non era, alla fine. Temeva che avrebbe impiegato anni a liberarsene e invece il destino, di solito cinico e baro, le aveva dato una mano. E che mano!
«Hai notizie di Paola, Mauro e la bimba?» chiese Federica.
«Sì, mi hanno chiamato proprio ieri. Avevano ottime notizie: a Paola hanno offerto un posto come ricercatrice in un istituto di ricerca, non mi ha detto quale, ma mi pare che sia a Padova, o a Vicenza, un posto così. E a Mauro hanno offerto una cattedra nell'università della stessa città! Non poteva andare meglio, no?»
Federica si schermì: «Sì, anche se lavorare con il proprio partner... ma penso che non avranno problemi: sono stati insieme al chiuso per quattro anni...»
«Già. La piccola ha avuto qualche problema nei primi giorni. Aveva paura del sole: troppa luce. Adesso invece sembra che stia recuperando, anche fisicamente: si temeva qualche reazione allergica o roba simile quando fosse stata esposta al sole, e invece nulla... ha avuto un po' di rossore fastidioso e poi è passato tutto. E poi ha scoperto gli altri bambini...»
«Ma dai! Va già all'asilo?»
«Sì, sì, ed è diventata una specie di celebrità locale. Mi diceva Paola che uno dei suoi compagni ha già detto che da grande vuole sposarla.»
«E lei?»
«Ha risposto che da grande vuole sposare papà...»
«Forte la piccola. Certo che Mauro se l'è vista brutta...»
«Sì, ma dagli ultimi esami che ha fatto pare che la flebo di fortuna abbia funzionato egregiamente. E' ancora un po' debilitato, ma niente che non si possa risolvere con un po' di riposo, tanto amore e magari qualche bistecca In pratica il piccolo chimico gli ha salvato la pelle.»
Federica rise: «Eh eh, forte il tuo Gianni.»
Stefania assentì col capo: «Sì, mi è stato vicino in questa follia, e non mi ha mai lasciata da sola. Quasi quasi me lo sposo...»
«Lui lo sa?»
Stefania inorridì: «Mica gliel'ho chiesto! E' solo un uomo, potrebbe rispondere di no!»
Le due amiche risero di gusto e continuarono a chiacchierare amabilmente per qualche minuto. Si alzarono e impiegarono una decina di minuti a discutere chi avrebbe dovuto pagare il conto, ognuna sostenendo che era il suo turno, che aveva invitato lei e le altre mille scuse che si tirano fuori per cercare di fare una cortesia a un amico. Alla fine pagò Stefania, ma solo perché disse: «La vita non ha prezzo, per cui vale almeno un caffè, no?»
Uscirono senza accorgersi che da un tavolino vicino si era alzato un uomo che non le aveva perse di vista per un solo istante, senza farsi vedere. I suoi pensieri erano neri come il suo sguardo, carichi di odio, la sua mente era completamente occupata dal desiderio di vendetta e non vedeva altro. Indossava un cappello rosso e un paio di occhiali da sole: quello e i capelli lunghi, oltre alla giacca di un paio di misure troppo grande, avevano impedito a Stefania di riconoscerlo.
L'ex-tenente Angelotti si incamminò a passo lento dietro alle due donne donne, aspettando, aspettando, aspettando, aspettando...
FINE
Torino, Gennaio 2008 - Luglio 2009