Visto che il Caffè del tempo perso è piaciuto.. mi sono rimesso al lavoro. E nonostante la pioggia, un po' di malumore e la testa che vaga in un mare di pensieri.. sono riuscito a finire anche la seconda parte.
Dato che oggi è la festa della mamma, mi sembrava proprio il giorno ideale per pubblicarlo sul forum. Diciamo che è anche un piccolo regalo a tutte le mamme del nostro forum, come sempre spero vi piaccia.
Buona lettura e lasciate i vostri commenti
Giorno 2
Una fitta pioggerellina continuava a tamburellare sulle strade e sui tetti. C’erano poche persone in giro, tutti fuggiti a causa dell’acquazzone improvviso al riparo in casa, in qualche negozio o, come nel mio caso, in un caffè.
L’insegna dondolava sospinta dal vento, silenziosa. Sembrava una mano che invitava i passanti ad entrare e trovare un po’ di ristoro nel Caffè del tempo perso. E quella fu la prima volta che vidi il locale completamente pieno di persone.
Oggi erano di turno Giorgia e Sabrina. La prima era tutta indaffarata a prendere le ordinazioni ai tavoli, la seconda sorrideva serenamente occupandosi dei clienti al bancone.
Io ero riuscito a trovare un posticino sul fondo del locale, sul morbido divanetto rosso in cui mi sentivo quasi cullato e coccolato.
Benché stessi in fondo alla sala mi piaceva quel posto. Potevo osservare tutti i clienti incuriosito dai loro gesti e sentire il loro vociare. Sembrava un cicalio continuo senza un ritmo preciso, solo rumore di fondo che risultava quasi fastidioso a causa di qualche risata improvvisa e stridula di un gruppo di ragazzine.
Melodiosa come un usignolo arrivò Giorgia a destarmi da quell’intontimento momentaneo.
“Ciao, cosa ti porto?” aveva un blocchetto in una mano per prendere appunti e nell’altra reggeva una penna rosso smeraldo.
“Un caffè all’antica, grazie.” era quella miscela fumante che avevo deciso sarebbe diventata ben presto il mio “solito”.
Osservai i chicchi cadere nell’imboccatura del vecchio Tom e poi dovetti attendere un po’ prima che il fumo caldo e la scura bevanda finissero in una tazzina. Non avevo fretta e osservare quella scena mi riportò alla mente quando da piccolo osservavo mia madre cucinare, chiedendomi come da semplici ingredienti potessero nascere prelibatezze così buone.
“Ecco qua per te.”
Socchiusi gli occhi e lasciai che l’aroma mi inebriasse per un breve istante. Era una sensazione che riscaldava il corpo e il cuore.
Seduti accanto a me c’erano un signore distinto che leggeva il giornale e sorseggiava una tazza di caffè anche lui. Mi accorsi subito che era un normalissimo espresso, assolutamente non aveva lo stesso profumo del mio.
Dall’altro lato del divanetto c’era invece una donna che guardava in direzione della finestra. Stringeva tra le mani una tazza di thè e mi parve che stesse sospirando. Forse aspettava solo che smettesse di piovere per uscire e tornare a sbrigare le sue faccende.
Aveva dei capelli scuri tenuti corti e un paio di orecchini ad anello semplici. I suoi occhi color nocciola continuavano a scattare dalla finestra all’orologio da polso. Eppure più che ansiosa mi sembrava malinconica, non saprei dire il perché.
Teneva quella tazza vicina al petto come se avesse bisogno di scaldarsi dal freddo e in quel modo notai la fede al dito. Quindi era certamente sposata e da qualche ruga sulle mani intuii che poteva avere circa una quarantina d’anni, nonostante il volto ne dimostrasse al massimo una trentina.
Aveva una borsa bianca da cui prese un pacchetto di fazzoletti per asciugarsi una lacrima che si era formata silenziosa. Forse non stava aspettando che la pioggia finisse, forse si sentiva parte lei stessa di quella pioggia.
Osservai i suoi occhi lucidi e mi ricordarono molto quelli di mia madre.
Iniziò a giocherellare con la fede che portava al dito finché non decise di prendere dalla borsa un tubetto di crema per le mani e metterne un po’ sui palmi massaggiandoli.
Assaggiai un sorso del mio caffè cercando di immaginare cosa le passasse per la testa.
Poteva essere di malumore perché aveva litigato col marito. Oppure con il figlio.
No, forse non aveva litigato. Probabilmente era malinconica perché ripensava a qualche evento del passato. Si rivedeva quand’era una ragazzina e aveva tanti sogni per la testa. Poi era arrivato l’amore a sconvolgere i suoi piani. Senza pensarci troppo aveva deciso di sposarsi nonostante fosse ancora molto giovane. Ma quello era stato davvero un colpo di fulmine per cui si può superare ogni difficoltà e decidere di stravolgere la propria vita.
Aveva trovato un lavoro che la soddisfava e le permetteva di passare le giornate impegnandosi non solo nei lavori di casa. Si voleva sentire indipendente da tutti perché il suo carattere combattivo era sempre pronto a farsi strada nella sua vita.
Era una donna intraprendente e non si arrendeva davanti a nessuna difficoltà, anche se col passare del tempo iniziò a sentirsi insicura di sé stessa. La vita familiare l’aveva lasciata piena di dubbi e domande. Cosa sarebbe successo se avesse continuato gli studi? E se invece di sposarsi subito avesse cercato di fare carriera? Era davvero quella la strada che voleva percorrere e che aveva sempre sognato nella sua vita?
In questo mare di incertezze e dubbi si sentiva persa, ma soprattutto sola. Proprio per questo fu una gioia immensa scoprire qualche anno dopo di essere incinta. Amava i bambini e il suo desiderio di averne uno si era realizzato. Lo coccolava da mattina a sera perché voleva che crescesse sano e forte. Voleva che suo figlio potesse avere il meglio e riuscire in tutti gli obiettivi che si fosse posto in futuro. Per lui immaginava una vita felice, in cui avrebbe realizzato anche i sogni che lei aveva deciso di trascurare per l’amore: quell’amore che adesso era anche un sentimento materno fortissimo.
Tutta la sua vita aveva iniziato a ruotare intorno a quel bambino. Stava crescendo sempre di più, forse troppo velocemente per quanto lei avrebbe voluto. La sera guardandolo dormire sperava che quei giorni non passassero mai, che nonostante gli alti e bassi della vita era bello saperlo lì accanto a sé.
Ma il tempo scorre per tutti, e con il suo ticchettio continuo ricorda che si cresce giorno dopo giorno. L’asilo fu il primo segno di quel processo evolutivo. Poi ci furono le scuole elementari, le medie, le superiori. Ogni giorno tornava a casa con nuove conoscenze, sapeva leggere e scrivere e il tempo delle fiabe della buonanotte si era pian piano trasformato in un ricordo.
Prima la richiesta del motorino, poi le prime sere in cui usciva a ballare e tornava tardi, la patente per la macchina presa appena compiuti i 18 anni. Tutto stava cambiando e questo la spaventava anche se cercava di non darlo a vedere.
Ogni tanto prendeva ancora in mano le vecchie foto e osservava i ricordi di giornate insieme al mare o in montagna, tutti felici e sorridenti. I vecchi lavoretti che si facevano a scuola erano ancora in bella mostra in un armadio a vetri. C’era anche un cuore rosso in gesso su cui era stato scritto con un pennarello color oro “Alla mamma migliore del mondo, tanti auguri per la tua festa. Il tuo piccolino”. Quegli eventi erano solo pensieri che racchiudeva dentro di sé come perle preziose. Riusciva ancora a rivivere quelle sensazioni felici nonostante fosse passato tanto tempo.
Ora suo figlio era lontano, in un’altra città. I loro rapporti erano cambiati: non si sentivano più così uniti come un tempo. Aveva iniziato a camminare per la sua strada e lei era rimasta indietro ad osservarlo allontanarsi giorno per giorno. Lui stava continuando a lavorare e studiare per realizzare quei sogni che alimentavano la sua vita. Lei sapeva bene che era giusto così, ma gli mancava così tanto poterlo abbracciare come una volta, sentirsi ancora il suo scudo nella vita, pronta a proteggerlo da ogni difficoltà.
Una lacrima scivolava nuovamente sulla sua guancia, tentando di fuggire dagli occhi fissi in qualche luogo lontano nel tempo e nello spazio.
In quella piccola goccia rividi me stesso. Sentii che stavo dimenticando qualcosa di molto importante e scossi la testa, come se quel gesto potesse rimettere in ordine anche i miei pensieri.
“Forse hai dimenticato che giorno è oggi?” nuovamente una voce roca mi parlava all’orecchio. Il buon Carlo, il proprietario del Caffè del tempo perso mi stava osservando e sorrideva. Mi indicò il calendario appeso al muro, un blocco a strappo giornaliero con il numero bello grande al centro. Sotto la data però vidi una nota che solitamente viene inserita nelle date importanti da ricordare.
C’era scritto: “festa della mamma”. Solo in quel momento mi resi conto di cosa avevo scordato.
La porta del Caffè si aprì e vidi entrare un ragazzo con in mano un mazzo di rose rosse. Si incamminò verso il fondo della sala e quando fu davanti alla donna la salutò con un sorriso.
“Ma cosa ci fai qui? non dovresti essere all’università tu?” si era ripresa improvvisamente dal mondo di pensieri in cui si era rifugiata e ora osservava il figlio sbigottita senza saper cosa dire.
“Come potevo non farti gli auguri per la tua festa mamma? Queste sono per te, dal tuo piccolo ormai cresciuto. Ti voglio bene mamma..”
Ecco cosa stavo dimenticando anch’io. Presi immediatamente in mano il telefonino e composi il numero di mia madre. Certo, non era come trovarsi lì, di fronte a lei con un mazzo di rose in mano, facendole una sorpresa, ma l’importante era dirle col cuore quello che sapevo bene le avrei detto. Solo quattro parole, semplici, ma forti come il sentimento che provavo per lei.. Ti voglio bene mamma.
E mentre pensavo questo notai che la pioggia era finita e al suo posto stava uscendo un tiepido sole.
Il Caffè del tempo perso era per me davvero un posto magico…