Pranzo
La “Locanda dl'Ostu” era piuttosto rinomata nella zona. Venivano da tutta la regione per mangiare un boccone da Gianfranco e per passare una buona serata in compagnia. Il servizio era familiare, con il proprietario che non mancava mai di fare un giro per i tavoli a fare due chiacchiere con i clienti, sia quelli vecchi che quelli che per la prima volta gli facevano visita. Due parole, qualche consiglio su quale vino della fornitissima cantina abbinare ai cibi, sempre legati alla stagione; carni della zona, come le verdure, gli ortaggi e perfino le spezie. I salumi preparati da poche, selezionatissime aziende agricole che non distavano mai più di una decina di chilometri dalla Locanda.
Tutto questo faceva del locale di Gianfranco e Giovanna un posto dove almeno una volta nella vita si doveva fare un salto. Ma una volta di solito non bastava.
Il proprietario aveva accolto il nuovo visitatore con la simpatia e il garbo di sempre, e l'aveva accompagnato a un tavolo un po' discosto, come gli era stato chiesto. Notò che il nuovo venuto aveva gli occhi tristi, una condizione che di solito non si verificava quando qualcuno entrava nel suo locale. Pensò che non potesse essere certo colpa sua o della Locanda, per cui evidentemente quel signore distinto in giacca e cravatta doveva avere qualche problema suo.
Avrebbe fatto di tutto per tirarlo su di morale.
Gianfranco introdusse l'ospite in una stanza in cui erano presenti solo quattro tavoli di dimensioni ridotte rispetto ai grossi tavoli della stanza principale.
«Prego, si accomodi qui. Le va bene? È una stanza che teniamo di solito per le coppiette, per una cena a lume di candela, ma a quest'ora... lei aspetta qualcuno?»
Polloni scosse la testa, accennando a un sorriso: «No, nessuno. Solo preferirei mangiare in un posto tranquillo, e qui mi sembra perfetto».
Gianfranco sorrise in risposta, contento di avere segnato il primo punto a suo favore.
Polloni si sedette e consultò rapidamente il menù che l'Oste gli aveva consegnato.
«Avete una scelta notevole, qui, non tanto come quantità, ma come aspettative» disse il commissario all'uomo, che gongolò soddisfatto.
«Se mi permette – disse questi – le consiglierei un menù degustazione, così le posso portare il meglio di quello che abbiamo».
Polloni restituì il menù con un sorriso: «Praticamente ogni cosa, allora. Vada per il menù degustazione». Questa ulteriore battuta riuscì a rendere ancora più grande il sorriso di Gianfranco, che consigliò un vino della sua cantina, un dolcetto, segnandosi mentalmente di fare uno sconto.
Completata l'ordinazione, si avviò verso la cucina, un ampio locale parzialmente a vista, nel quale sua moglie Giovanna sudava e creava piccoli capolavori destinati a durare il tempo di un pasto.
«Uno nuovo?» chiese la donna mentre terminava di spellare una castagna.
«Sì, un tipo distinto, gentile....» rispose Gianfranco lasciando la frase sospesa.
Giovanna mise via la castagna e fece per prenderne un'altra dal mucchietto alla sua sinistra, ma la mancanza di risposta dal parte del marito, di solito più che contento di chiacchierare, la fermò.
Alzò gli occhi sull'uomo: «Ma...?»
L'oste sembrava vagamente a disagio a rispondere: «Ma non saprei... ha uno sguardo triste come non ne vedevo da quando avevamo il bar».
La cuoca riprese il suo lavoro, commentando con voce pratica: «Uhm, bei tempi. Senti, il tuo “cuore solitario” mangia o sta lì a scaldare il posto?»
«Eh, che cuore di pietra che sei diventata!»
La donna scosse il piccolo coltello come per cacciare una zanzara: «Ma no, è che tu hai un po' l'animo romantico, e hai la tendenza di prendere a cuore i dolori degli altri. Anche quando non ce ne sono. Magari ha solo le balle girate».
«Mah, non so, può darsi. Forse hai ragione. Comunque il mio “cuore solitario”, come lo chiami tu, prende un degustazione».
Giovanna notò un movimento in direzione della porta d'ingresso, e con un cenno del mento indicò in quella direzione: «Uhm, va bene. Vai adesso, che c'è gente». Gianfranco si girò e vide nel vano della porta una graziosa ragazza con uno zaino piuttosto grosso.
Vedendolo avvicinare la ragazza sporse la mano: «Buongiorno, mi chiamo Manuela. Ho visto sul giornale che state cercando personale».
«Ah, sì. Ci stiamo avvicinando alla stagione delle cresime e dei matrimoni, e in quel periodo avremmo proprio bisogno. Lei ha esperienza?» Gianfranco osservò criticamente la ragazza: una bella figliola, senza esagerare. Avrebbe fatto la sua figura nella divisa scura della Locanda. Le mani sembravano quelle di una lavoratrice, nonostante fossero belle e ben curate; non aveva quelle orribili unghie posticce che tanto andavano di moda.
«Per essere sincera non ho studiato all'alberghiero, ma negli ultimi tre anni ho lavorato in un ristorante».
«Ah, e come mai ha deciso di spostarsi?» La domanda era stata lasciata cadere in tono innocente, ma Gianfranco sapeva che di solito non sono molti i motivi per cui si abbandona un posto di lavoro sicuro: o per avere fatto una cazzata, o per essere stata molestata, o perché...
«Ha chiuso, purtroppo» fu la risposta quasi immediata di Manuela. Il tono di voce tradiva un profondo dispiacere, che non poté fare altro che commuovere il romantico Gianfranco.
«Oh, mi spiace davvero? Che locale era?»
«Si chiamava “La trattoria della Reina”. Cucina tipica piemontese. Un bel posto, davvero».
«Che peccato, che peccato...»
La conversazione venne interrotta dalla voce di Giovanna: «Gian, t'las da manca?1»
«Vieni, ti presento mia moglie» disse Gianfranco girandosi e incamminandosi verso la cucina. Manuela si tolse lo zaino e lo posò di fianco all'ingresso e si avviò dietro all'uomo. Arrivata alla porta della cucina, si fermò prima di entrare e salutò la cuoca. L'uomo spiegò alla moglie per quale motivo era venuta la ragazza.
«Buongiorno, signora. Mi chiamo Manuela».
Giovanna squadrò per pochi secondi la ragazza. Non era entrata nella cucina e questo era un bel segno che indicava rispetto, e non aveva sporto la mano, evitando l'imbarazzo di chi deve mantenere le mani pulite, e soprattutto non aveva usato termini da reality show culinari come chef o altre stupidaggini del genere.
«Buongiorno a te. Sai servire ai tavoli?»
«Certamente, signora»
Giovanna si rivolse al marito: «Bene, allora falle servire gli antipasti al tuo nuovo amico».
«Be', veramente...» iniziò Manuela.
«C'è qualche problema?»
«No. Solo che prima dovrei lavarmi le mani».
Ancora una volta la ragazza segnò un punto a suo favore: gentile, educata e pulita. Anche se non fosse stata perfetta nel servire a tavola avrebbe avuto tutto il tempo di imparare. E poi, diciamocelo chiaramente, il locale non era un cinque stelle.
«Vieni, ti mostro il bagno di servizio» disse Gianfranco con un sorriso.
La ragazza seguì l'uomo nel retro. Si lavò le mani fino ai gomiti; intanto il proprietario andò a prendere un grembiule con il logo del locale. Glielo porse: «Non è come la divisa, ma è meglio di niente». La ragazza sorrise e lo indossò correttamente, annodandolo sul davanti.
Se stava fingendo, lo stava facendo maledettamente bene.