Messaggio
da overhill » 29 gennaio 2009, 08:09
3. Due chiacchiere tra amiche
Il primo mese era passato con snervante lentezza.
L'attività, tanto per dare un nome, era così ripetitiva che la ventina di giorni appena passati erano sembrati eterni. Entrare in ufficio, sedersi, prendere il dossier alla propria destra, controllare tutti i documenti interni uno per uno, gli allegati, le fotografie; verificare che non ci fossero danneggiamenti di qualunque genere, e questo per ogni singolo foglio; infine, dopo molto tempo, appoggiare il dossier appena controllato alla propria sinistra.
E ricominciare da capo.
I momenti più piacevoli, si fa per dire ovviamente, erano quando trovava un foglio rovinato, una graffetta che grattava appena su una fotografia rischiando di rovinarla, perché in quei momenti poteva spezzare la routine per andare a fare una fotocopia oppure per prendere una graffetta non danneggiata per sostituirla. E questo, nell'ultima settimana, era avvenuto solo tre volte.
Per il resto era rimasta seduta ad annoiarsi a morte.
I pochi momenti di svago, anche se forse il termine era un po' esagerato, erano le mezzore che erano a sua completa disposizione per fare pranzo. A volte andava al bar in corso Vinzaglio, appena fuori dalla questura; più spesso consumava velocemente una merendina alle macchinette.
L'unica nota positiva era la simpatia che era nata con Federica Conte, la collega che aveva incontrato il primo giorno, e che aveva dimostrato fin da subito una sincera curiosità verso di lei. Un atteggiamento ben diverso da quello di molti altri colleghi che, pensando che non se ne accorgesse, la indicavano mormorando: «Quella è l'agente Pane. Sì, proprio quella; quella della cazzata...» con un vago senso di eccitazione, quel pizzicorino che prende allo stomaco quando si guarda dall'esterno una situazione nella quale, per fortuna!, non ci si trova direttamente invischiati, e che si può quindi giudicare implacabilmente.
Il secondo mese era appena cominciato, e Stefania era con la nuova amica al bar a consumare il suo veloce pranzo, quando Federica decise che era ora di smetterla con le mezze parole e di parlare chiaro: «Stefania, lo so che non sono direttamente fatti miei, ma io di quello che è successo conosco solo la campana ufficiale. Mi piacerebbe sapere anche la tua versione dei fatti.»
La giovane rimase un attimo in silenzio, tanto che la Conte temette di avere esagerato, e stava già per chiederle di dimenticare la domanda, quando Stefania con un sospiro iniziò a parlare.
«Prima o poi qualcuno me lo avrebbe chiesto, e sono contenta che l'hai fatto tu.» Sorrise alla nuova amica: «ci conosciamo da poco, ma fino a oggi sei sempre stata sincera con me e mi sembra giusto che ti racconti com'è andata.»
Sospirò ancora, preparandosi al racconto: «Come sai fino a un mesetto fa lavoravo nel commissariato di Settimo Torinese. Quel maledetto giorno tre rapinatori hanno tentato una rapina in un supermercato, ma qualcuno ci ha avvertiti e quando siamo arrivati questi si sono barricati dentro con una dozzina di ostaggi. Hanno fatto le solite richieste, sai, macchina, elicotteri, aerei, milioni di euro... le solite stronzate che tanto mai nessuno ha ottenuto, ma che fanno tanto film americano. Il mio capo era il commissario Angelotti, non so se lo conosci... no? Be', in due parole è un signor testa di cazzo, tanto per parlarne come è giusto, almeno nel rapporto con i sottoposti e nel lavoro normale, ma è un genio della politica e dello scaricabarile...»
Prese un sorso d'acqua. Era la prima volta che poteva spiegare dal suo punto di vista quello che era successo a qualcuno che non fosse Gianni, il suo ragazzo, e la cosa la agitava non poco.
Riprese: «In ogni caso, quel giorno eravamo noi, una decina tra agenti e graduati, e una squadra dei GIS specializzata in terroristi. Angelotti aveva il controllo delle operazioni. Le trattative le teneva lui, ed era riuscito a tenerli calmi per un po'. Il suo piano era di fare un'irruzione quando i tre non se lo sarebbero aspettati. Ci piazzò davanti a tutte le uscite del supermercato, e ci disse di fare da filtro quando sarebbero usciti gli ostaggi, in modo che i tre rapinatori non cercassero di scappare mischiandosi agli altri.»
Federica si inserì: «Che è poi quello che è successo.»
Stefania sospirò: «Già.»
Altro sorso d'acqua: «Il commissario decise di fare irruzione non appena il sole fosse tramontato, per confondere i rapinatori, così disse lui. Quando ordinò l'attacco, i GIS lanciarono dei fumogeni, e gli ostaggi iniziarono a scappare dalle varie uscite. L'uscita dove mi trovavo io da sola, fu quella dove i tre decisero di uscire.»
Fece una pausa, per cercare di eliminare il groppo alla gola che si era formato negli ultimi minuti: «E io non li riconobbi.»
La Conte la guardò: «Porca miseria...»
«Già. Uscirono confondendosi con altri due ostaggi. Quando ci rendemmo conto che erano usciti, erano già spariti.»
«Scusa la domanda diretta, ma come hai fatto a non riconoscerli?»
«Mi piacciono le domande dirette, Federica, stai tranquilla. Continuo a bere solo perché sto sbavando come un cane di Pavlov, hai presente? Sono un po' ansiosa, sai...»
«Me ne sono resa conto.»
«Comunque, non li ho riconosciuti perché soffro di blefarite.»
«Di che?»
«Blefarite. E' un difetto dell'occhio, che può essere più o meno grave. A me provoca secchezza dell'occhio e ho bisogno di usare dei colliri tutti i giorni. Non è un difetto grave, non mi compromette la vista, ma quel giorno, non so perché, non riuscivo a vedere bene. Quando è arrivato il buio io praticamente non vedevo nulla, solo ombre. Probabilmente il collirio che avevo quel giorno era scaduto, aveva dei problemi, oppure l'agitazione mi ha peggiorato la situazione. Non so, fatto sta che ero praticamente bornia (=cieca), e non vedevo niente.»
«Accidenti, che sfiga!»
«Guarda, me lo sono detto mille volte. Probabilmente avrei dovuto avvertire il capo e farmi sostituire, ma non ho capito che l'irruzione sarebbe stata fatta al buio fino a quando non è successo, per cui non avevo possibilità di tirarmi indietro senza creare casino. Oltre tutto continuavo a sbavare, come adesso, probabilmente per la tensione, e non riuscivo neppure a parlare, figurati a chiedere la sostituzione. E poi sinceramente non pensavo che tutti e tre i rapinatori sarebbero usciti dalla stessa porta visto che ce n'erano altre cinque, e dico cinque!»
«E' proprio vero che la fortuna è cieca e che la jella ci vede benissimo» disse Federica sorridendo.
«Nel mio caso è stato il contrario: era la sfiga a non vedere niente.»
Risero entrambe. Stefania finalmente era sollevata per essere riuscita ad aprirsi con l'amica. Federica poggiò la mano su quella della collega: «Dimmi ancora una cosa. Non ho capito come mai la cosa è diventata di dominio pubblico.»
«In effetti all'inizio Angelotti voleva tenere la cosa tra di noi. Mi ha spazzolata a dovere, come tutto sommato era anche giusto, ma in conferenza stampa aveva detto che non aveva intenzione di rivelare il nome dell'agente che aveva sbagliato, e che voleva gestire la cosa internamente.»
«E...?»
«E invece è arrivata ai giornalisti una soffiata che ha fatto nome e cognome della sottoscritta, che da quel momento è diventata lo zimbello della Polizia di Stato e non solo.»
«Porca miseria»
«L'hai già detto.» Sorrise: «Ed ecco che, per accontentare i tanti esperti che si erano chiesti come mai fossi ancora in servizio, il mio amato capo ha deciso di mettermi a fare lavoro di scrivania, in modo da non fare più danni.»
Federica spalancò gli occhi e disse: «Posso dirlo ancora una volta?»
Stefania sorrise e fece un gesto affermativo.
«Porca miseria!»
Risero di nuovo. A un altro tavolo due colleghi in divisa si girarono, poi tornarono a parlare tra di loro, continuando a lanciare occhiate alle due ragazze.
Federica notò gli sguardi: «Va be', ci vorrà un po' di tempo, ma vedrai che la cosa si sgonfierà poco per volta. In effetti la cazzata c'è stata, è innegabile.»
«Be' grazie per la solidarietà!»
«Io sono sincera, me l'hai detto tu prima.»
Stefania sorrise: «Sì e ti garantisco che ho proprio bisogno di avere gente intorno che non mi racconti balle. Come te.»
Guardò l'orologio appeso alla parete dietro al bancone del bar: «Stavolta tocca a me dire porca miseria: è tardissimo! Devo andare se no Cocco mi fustiga.»
«Ma dai! Siamo già passati ai nomignoli e alle pratiche erotiche?»
«Per carità! Mi bastano i casini che ho già, senza bisogno di aggiungere un amante.»
Le due amiche si salutarono, e Stefania uscì di corsa. Federica aveva ancora qualche minuto, anche perché nel suo ufficio c'era molta elasticità sugli orari.
E poi c'era qualcosa nel racconto di Stefania che non quadrava. Non sapeva cosa di preciso, ma qualcosa non si accordava bene con il resto.
Dalla grossa tasca destra dei suoi pantaloni estrasse un piccolo blocco note, cercò una pagina libera e, non trovandola, scrisse di traverso in uno spazio bianco una parola, ipersalivazione, seguita da un grande punto interrogativo.