[Romanzo] Dove la notte (a capo) inizia

Voi vivreste nel buio?

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overhill
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3. Un nuovo concorrente

«Pilocarpina?» disse Gianni, dopo avere ascoltato il riepilogo di quello che aveva scoperto Federica, «la conosco: pilocarpina cloridrato, si chiama; è un astringente che, se non sbaglio, si trova in forma liquida in qualunque erboristeria.» Guardò Stefania negli occhi: «E secondo la tua collega nel collirio c'era quella sostanza?»
«Pare di sì» rispose laconicamente la ragazza.
«Cazzo.»
«Già.»
I due tacquero per qualche secondo, riflettendo. Ovviamente la scoperta di Federica cambiava totalmente le carte sul tavolo dove si giocava la partita della “stronzata”, e questo poteva avere dei risvolti piuttosto interessanti. Ma ora c'era da pensare al problema della miniera.
«Tu hai avuto qualche idea, su come trovare il posto?» chiese a Gianni.
«Sì e no. Ci sono un paio di controlli che potremmo fare, ma sinceramente non so come farli.»
«Prova a dire.»
Gianni si prese qualche secondo per riflettere. La calma e la ponderatezza erano due dei motivi per cui Stefania lo amava tanto. Era riflessivo e pacato, impulsivo a volte ma mai sulle cose importanti.
«Dunque» riprese il ragazzo, «come sappiamo sono passati diversi anni da quando il collegamento si è interrotto, circa quattro e mezzo. La casa televisiva che ha fatto partire il tutto non esiste più, ma come sai, anche quando una entità scompare, che sia fisica oppure giuridica, tutto ciò che la riguarda non scompare con lei.»
«Non ti seguo...»
«Mi spiego meglio. Hai notato che le riprese sono andate avanti per circa due mesi dopo che la TeleTekno era scomparsa dalla faccia della terra, quindi viene da chiedersi: la corrente elettrica da dove arriva? Hanno dei generatori oppure semplicemente sono collegati alla rete elettrica?»
«Giusto!»
Gianni sorrise e continuò: «Già. Nel primo caso siamo al punto di partenza, perché ormai a questo punto i generatori dovrebbero essersi fermati; nel secondo caso invece, può darsi che la compagnia abbia stipulato un contratto di fornitura con addebito automatico delle bollette su un conto, e...»
«...e i conti non muoiono! Se sul conto c'era sufficiente denaro, la corrente potrebbe essere addirittura ancora attiva adesso, dopo quasi cinque anni!»
«Esatto» concluse il ragazzo.
Stefania rifletté. Poi parlò lentamente: «Sì, però se...»
«Coi se ci facciamo poco, mi sa. Però sono convinto di una cosa: se nella miniera non ci fosse più stata corrente, noi non avremmo potuto vedere nulla sullo schermo di casa Fantini. Invece c'era quel volto inquietante e la scritta sul “wrap”.»
Stefania sorrise entusiasta: «Accidenti, potresti avere ragione. Devo subito sentire Mario: magari ha finito e possiamo mandare avanti la registrazione.» Dicendo questo si alzò e corse a prendere il telefonino, seguita dallo sguardo serio di Gianni, che le disse in tono ironico: «Oh, non ci stare troppo...»
Stefania cercò il numero in rubrica e avviò la chiamata, si girò e gli lanciò un sorriso disarmante: «Geloso!»
Quasi subito il tecnico rispose al cellulare: «Pronti!»
«Via!» disse Stefania che conosceva il modo di rispondere alle chiamate di Mario.
«Stefania, luce delle mie orecchie! Cosa posso fare per te?»
«Per esempio dirmi se la copia è finita.»
«La copia? Oh, porca miseria me n'ero dimenticato! Scusa, Stefania, ma ero concentrato su un lavoro e... aspetta che controllo...» Nel piccolo apparato la ragazza sentì strani rumori metallici, qualcosa cadde con un tonfo e un insulto a un noto politico, «eccomi, sono inciampato. Allora, la copia è arrivata al... oh, è finita!»
«Oh, bene. E adesso?»
Mario prese tempo: «Be', adesso, fammi controllare... sì, ci sono due terabyte di roba sul mio server, e questo ti costerà parecchio, temo, anche se accetto pagamenti in natura...»
«Dai, Mario, smettila di fare lo scemo, e non parlare in computerese!»
«Sì, scusa. Allora, se la copia è finita, possiamo finalmente rispondere alla domanda del sistema. Lo vuoi fare tu?»
«Come faccio?»
«Basta che vai nello schermo dove si trova la domanda e rispondi con la lettera C se vuoi continuare oppure con la lettera C se vuoi cancellare.»
«Ma, non sono la stessa lettera?»
«Sì, ma è un buon sistema per vedere quanti fanno attenzione a quello che dico.»
«Scemo! Dai, dimmi cosa devo rispondere.»
«Con una banalissima S se vuoi fare il famoso wrap, oppure con una altrettanto banale N se non vuoi.»
«E cosa succederà?»
«Be' di preciso non lo so, ma posso fare delle ipotesi. Se rispondi NO lui non può fare il recupero della spazio, che ha finito, quindi ritornerà allo stesso schermo dopo pochi secondi. Se invece rispondi Sì, tutte le registrazioni fatte fino a quel momento verranno considerate nulle, o inesistenti, e il registratore ricomincerà a registrare. E' come se tu togliessi la protezione da una videocassetta, hai presente? Oh, tieni presente che i dischi di quella macchina sono fermi da quasi cinque anni, per cui non è detto che siano tutti al cento per cento.»
«Sì, capisco. Però mi sembra troppo facile...»
«Stefania, l'informatica è facile. Solo che è complessa. Ci sono miliardi di piccole cose semplici da sapere. L'informatica è come una casa: è fatta di mattoni che di per sé sono semplici, ma che messi insieme ti permettono di costruire forme architettoniche incredibili.»
«Mario, non faccio neanche finta di avere seguito quello che hai detto...»
«Sono un genio incompreso» disse il ragazzo con la voce mogia.
«L'importante è essere dei geni. Senti, scappo. Provo a fare quella cosa, e se per caso mi incasino posso chiamarti, vero?»
«Uffa, quando la finirai di usare la seduzione per estorcermi favori?»
«Quando smetterai di essere così vulnerabile su quell'argomento.»
«Touche, stavolta mi ha proprio colpito e affondato. Se hai bisogno sai dove trovarmi. Ciao.»
Stefania salutò e chiuse la comunicazione. Spiegò a Gianni in poche parole quel poco che aveva capito dalla lunga tiritera dell'amico, e insieme andarono verso il PC di Stefania, sul quale era ancora ferma l'immagine della donna e la domanda del lontano computer.
Chiuse l'immagine e trafficò fino ad arrivare allo schermo di comando, come le aveva spiegato Mario. Sul video ricomparve l'immagine stravolta della donna, e la scritta subito sotto. Ma a differenza dell'immagine di prima, che era fissa, qui, al fondo della domanda, il quadratino che corrispondeva al cursore lampeggiava lentamente, con uno strano effetto ipnotico.
«E adesso?» chiese Gianni.
«E adesso vediamo cosa succede.»
Stefania premette il tasto S e premette invio.
Lo schermo divenne nero.
«Porca miseria. Non c'è corrente!» si lamentò Stefania.
Gianni mormorò: «Se non ci fosse corrente ci sarebbe l'effetto neve. Sai, quello che c'è quando non c'è il segnale. E poi la data e l'ora non sarebbero quelle giuste. Vedi?»
Stefania guardò nell'angolo: «Uhm, vedo, hai ragione.»
Il ragazzo avvicinò lo sguardo allo schermo, borbottando qualcosa: «Uhm, aspetta, mi pare...» Trafficò con i cursori della luminosità e del contrasto, dicendo: «Per fortuna che hai questo vecchio modello con i pomellini per queste funzioni. Su quelli più recenti ci sono dei terribili tasti che vanno una volta sì e tre no.»
L'immagine cambiò, sembrò aumentare di volume, si spostò in avanti poi indietro. Qualcosa sembrò muoversi nell'ombra.
«Ecco, guarda. Qualcosa qui... mi pare... non ti sembra...?» disse Gianni indicando un punto dello schermo.
«Non mi sembra cosa?» chiese Stefania un po' spazientita. Si avvicinò anche lei al monitor e girò la testa prima a destra e poi a sinistra: «Non mi pare che...»
«Aspetta, a me pare... guarda bene.»
Dopo le modifiche di Gianni al monitor, si potevano notare le strutture simmetriche del pianale di lavoro e dei fornelli della Cucina. In fondo il frigorifero era stato riportato nella posizione corretta. Nel centro dell'immagine si poteva vedere una figura sfuocata, appena più chiara del resto. Sembrava immobile.
Gianni pasticciò ancora un poco con le manopole, aumentando al massimo il contrasto e modificando appena la luminosità. La telecamera iniziò un leggero zoom in avanti, producendo un leggero rumore di motorini elettrici.
La figura fece due passi avanti, guardando con curiosità verso la telecamera.
Improvvisamente entrambi si resero conto di quello che stavano osservando. Stefania, sconvolta, cercò la mano di Gianni, senza riuscire a staccare gli occhi dal video: nel centro dello schermo, diafano come un fantasma, una forma rotonda con due enormi occhi ... Il piccolo naso e la bocca carnosa non lasciavano dubbi.
Stefania disse con un filo di voce: «Ma quello... quello è...»
Gianni mormorò due parole, concretizzando l'assurdità che stavano guardando: «...un bambino.»
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overhill
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Messaggio da overhill »

Eh eh, mi è successo di nuovo: brividi! :)
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Messaggio da overhill »

Acc... ma a nessuno viene da chiedersi chi sia quel bambino? :shock:
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Messaggio da Fil »

Certo che ce lo chiediamo! :D
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Messaggio da overhill »

Ah, capisco: maggioranza silenziosa... :D

Vabbe', allora si prosegue!
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Messaggio da overhill »

4. Ricerche

I due ragazzi rimasero diversi minuti a riflettere.
Stefania fece spostare Gianni, dicendo: «Fammi vedere le altre telecamere. Non è possibile che non ci sia nessun altro. Ci deve essere qualcun altro.» Aggrappandosi a questa speranza tornò al menù delle telecamere e iniziò un controllo. Molte telecamere erano evidentemente fuori uso, popolate esclusivamente da quell'effetto neve di cui aveva parlato Gianni poco prima.
Alcune invece continuavano a funzionare. L'aspetto dei vari locali era cambiato nei quattro anni passati dall'ultima immagine che i due avevano visto. Sporchi, senza manutenzione, inquietanti. Molte macchie di umidità avevano popolato le pareti; chiazze di muffa prosperavano ovunque.
Dalle poche camere funzionanti riuscirono a vedere come il corpo di Beatrice fosse stato rimosso. Nulla faceva capire invece cosa era successo in infermeria, anche se immaginavano che anche Francesca fosse stata portata nelle celle.
«Già, le celle» disse Gianni, in tono pratico, «spero che continuino a funzionare, se no...»
«Non voglio neanche immaginarlo. Ma non vedo perché non dovrebbero funzionare.»
«No, infatti.»
Stefania girellò ancora un poco, poi tornò sulla telecamera in cucina: «Accidenti! Se n'è andato!»
Il video era vuoto, occupato solo dai soliti mobili. Sulla destra un'ombra biancastra, forse l'ultima parte del bambino che andava via.
Freneticamente la ragazza girò a cercare altre immagini. Fu fortunata: «Guarda, eccolo qui. Sta correndo» disse indicando un'immagine chiara del Soggiorno, «e se non sbaglio qui c'è qualcun altro, no?»
«Mi pare di sì... aspetta...» Gianni disse questo avvicinandosi al video, «sono decisamente due braccia, come se qualcuno chiamasse il piccolo. Lo vedi che ride?»
Il bambino corse verso le braccia, ridendo in silenzio. Quando le raggiunse, venne circondato e sollevato. Sparirono entrambi.
«Accidenti, dove sono andati?» disse Stefania ricominciando a cercare un'immagine decente tra tutte quelle ancora disponibili.
Gianni si alzò, allontanandosi dallo schermo. Parlò in tono pacato, serio: «Stefania, là sotto ci sono ancora almeno due persone, forse di più. Dobbiamo assolutamente trovare dove sono e andare a recuperarle.»
«Perfettamente d'accordo con te, ma non riesco a immaginare come fare. Dopo quattro anni abbondanti, dopo che tutti quelli che erano coinvolti sono morti, come facciamo a scoprire il posto?»
Il ragazzo prese a passeggiare per la stanza, seguito dallo sguardo preoccupato e interessato di Stefania: «Io una mezza idea ce l'avrei: abbiamo stabilito, e ne abbiamo la prova, che la corrente è rimasta. Questo vuole dire che la TeleTekno aveva fatto un accordo, un contratto, chiamalo come vuoi, con una compagnia di fornitura di corrente elettrica. E fino a cinque anni fa, anzi sicuramente prima, non c'erano molte compagnie, no?»
«Giusto» interloquì Stefania.
« Oppure che hanno un impianto di generazione che ha resistito fino a oggi. Bene, allora è necessario che sfrutti le possibilità date dal tuo lavoro per capire con quale compagnia la società ha fatto il contratto, oppure se hanno acquistato un generatore di corrente. E a quel punto potremo sapere dove si trova il posto. Che ne pensi?»
La donna sorrise: «Penso che è un'ottima idea.»
«Pensi che sia un'ottima idea, agente Pane...» rise Gianni.
«Licenza poetica» rispose sorridendo Stefania.


Stefania non avrebbe mai pensato che il più grande difetto del suo attuale lavoro avrebbe potuto avere dei lati positivi. La solitudine che tanto le aveva pesato all'inizio, ora le dava tutto il tempo necessario per fare la ricerca del contratto di fornitura elettrica che la TeleTekno doveva avere stipulato cinque o sei anni prima.
Si teneva la spessa cartella del caso in mezzo a un gruppetto di altre più piccole, e in un'altra pila c'erano quelle che facevano parte del suo lavoro «normale.» In questo modo, in caso di ispezione da parte di Cocco, non avrebbe avuto problemi a tornare immediatamente all'attività consentita.
Le centinaia di fogli che aveva scartabellato nel dossier per ora non avevano portato a nessun risultato, se non quello di provocarle un notevole mal di testa. Controllava ogni pagina con scrupolo e attenzione, ma arrivati intorno alla trecentesima era decisamente stufa.
Finalmente il foglio trecentodiciotto la risvegliò dal torpore.
Era una fotocopia di una richiesta di fornitura di un non meglio specificato “erogatore di energia elettrica” a un'azienda di Cuneo specializzata in forniture ecologiche. Si segnò i dati su un foglio. Chissà se la ditta era ancora in attività? Provò a comporre il numero riportato nell'intestazione della fotocopia.
«Impeco, buongiorno, sono Lidia: come posso aiutarla?»
«Buon giorno, sono l'agente Pane della questura di Torino. Ho bisogno di alcune informazioni.»
La donna non sembrò intimorita dalla qualifica di Stefania: «Mi dica.»
«Sto facendo una ricerca per un caso di alcuni anni fa, la TeleTekno, non so se...»
«Sì, mi ricordo benissimo. E' difficile non ricordare un disastro come quello.»
«Esatto. Sto cercando di venire a capo di una fornitura che la vostra azienda ha fatto alla ditta in questione proprio un anno prima dell'incidente.»
La voce si fece prudente: «Sì...»
Stefania si rese conto delle implicazioni di quello che stava dicendo. Era sicuramente meglio non provocare reazioni di difesa o, peggio, di attacco. Decise di mettere subito in chiaro la cosa: «Ovviamente siamo certi che la vostra fornitura non c'entra nulla con l'incidente» udì distintamente un sospiro di sollievo, «ma vorremmo sapere in cosa consiste. Sulla documento c'è scritto genericamente erogatore di energia elettrica e la cosa non è esattamente chiara.»
«Ssssì...» disse Lidia strascicando appena la consonante, per prendere tempo, «devo solo verificare sul computer... potrebbe ripetere la data del documento?»
Stefania gliela disse.
Dopo qualche secondo di attesa l'impiegata rispose: «Ah sì, eccola» con voce palesemente sollevata, «si tratta di un macchinario autonomo per l'erogazione dell'energia. La descrizione dice che si tratta di una unità di accumulo in grado di fornire energia anche quando manca il flusso principale; una specie di gruppo di continuità, insomma. Ma decisamente grosso. Viene usato spesso in località dove la fornitura di energia subisce spesso delle interruzioni...»
Stefania sorrise tra sé: «Ecco, questo è interessante. Lei riesce a capire dove è stato installato?»
«Un istante...» si sentirono i ticchettii dei tasti premuti dalla donna. Passarono alcuni secondi durante i quali Stefania sentì qualche sommessa parolaccia, evidentemente indirizzata da Lidia verso il computer.
«Ah, ecco. Mi scusi per l'attesa, ma per trovare gli interventi avevo bisogno del codice dell'ordine, e non riuscivo a trovarlo.»
Stefania osservò la sua fotocopia, dove il numero d'ordine era stampato piuttosto chiaramente in alto a sinistra, ma preferì non far notare la cosa. Probabilmente la donna era un po' agitata e aveva avuto bisogno di un po' di tempo per riprendersi: «Nessun problema» disse, facendo in modo che il suo sorriso si sentisse attraverso la cornetta.
Il sistema risultò efficace: «Dunque, l'impianto è stato trasportato con un viaggio speciale in località Baricco, a Castelnuovo Nigra, verso Castellamonte, ha presente?»
«Sì, conosco bene la zona.»
«Bene. Se ha bisogno posso mandarle i riferimenti. Mi da il numero di fax?»
Stefania non poteva certo dare il numero di fax dell'ufficio, perché il macchinario era vicino ala scrivania del suo amato capo. Ma anche il cellulare non andava bene. Accidenti, come fare?!
La risposta era ovvia. Disse un numero teleefonico, raccomandandosi: «Lo metta all'attenzione del dottor Gianni Vasto, che collabora con me per questa indagine. Grazie e arrivederci.»
Finse di ignorare l'attimo di silenzio che aveva accolto la spiegazione non richiesta. Sperò ardentemente che Lidia della Impeco non fosse curiosa o scassaballe come quel tipo della Solidware, o come diavolo si chiamava.
Prese il suo cellulare e richiamò il numero di Gianni: «Ciao, sono Stefania, ho bisogno di un favore. Dovrebbe arrivare tra qualche minuto un fax a tuo nome. Prendilo, poi mi chiami per la conferma, ok?»
Gianni la richiamò dopo cinque minuti esatti. Evidentemente Lidia si era data da fare e non aveva fatto questioni sui suoi collaboratori. Meno male.
«Da quanto risulta da questi documenti, il macchinario si trova in una zona piuttosto nascosta vicino al Santuario dell'Assunta, vicino a Castelnuovo Nigra.»
«Sì, me l'ha accennato l'impiegata. Secondo te riusciamo a trovare dove si trova?»
Gianni impiegò qualche secondo a riflettere: «Secondo me sì. Quando ci muoviamo?»
«Il tempo di prendere ferie e andiamo» disse Stefania in un tono deciso che preoccupò seriamente Gianni. Glielo disse: «Quando fai così mi fai paura.»
Stefania sorrise: «E non hai ancora visto niente.»
Attaccò il telefono e tornò a occuparsi delle scartoffie che esulavano dal “suo” caso. Lo fece per svagarsi per qualche minuto, convinta da sempre che quando un problema diventa assillante, l'unica cosa da fare era non pensarci per un po'. Molte volte le era capitato di trovare la soluzione proprio quando non ci rifletteva su continuamente. Alle volte persino mentre dormiva.
Si occupò per qualche minuto di un dossier su un caso di speculazione edilizia, pieno di mappe catastali, verbali di interrogatorio e documenti vari. Si impegnò a fare le fotocopie necessarie, a ordinare cronologicamente i vari fogli, a controllare il riepilogo in seconda di copertina del dossier.
Lo mise via lentamente e guardò di nuovo il grosso faldone del caso “TeleTekno”. Lo prese per la millesima volta e ricominciò a scartabellare, cercando un indizio che potesse essere d'aiuto per capire dove si trovava quella maledetta miniera.
Una miniera.
Probabilmente non ce n'erano molte in quella zona, l'Alto Canavese. Forse con una ricerca su Internet... Solo che la macchina d'ufficio era sicuramente controllata, almeno così credeva, e non voleva che il suo capo si accorgesse del suo interesse per un caso che non le era stato assegnato, come le aveva ricordato chiaramente.
Mise la mano sul cellulare nel momento stesso in cui questo cominciò a vibrare. Era Gianni.
«Ciao, sono io» disse l'uomo.
«Ciao, anche io sono io, ma non me ne vanto come te» rispose la ragazza ridendo, ripetendo una battuta che si scambiavano spesso.
«Questa volta, mio carissimo agente Pane, sono convinto che dovresti vantarti se fossi come me, sai?»
«Cos'è successo?» chiese incuriosita.
«E' successo che so dove si trova la nostra miniera.»
Stefania tacque per qualche secondo, stupita: «Ma come accidenti hai fatto»
«Be', ho pensato che in quella zona non ci dovrebbero essere molte miniere, e per di più quella che è stata utilizzata per lo show dovrebbe avere alcune caratteristiche specifiche. Innanzi tutto deve essere abbandonata, e poi non deve essere una miniera di materiale pericoloso, come il talco.»
«Il talco è pericoloso?» Stefania pensava alla tenera polvere da spargere sul culetto di un neonato.
«Quando lo si estrae sì, è infiammabile» rispose Gianni, serio, «comunque ho fatto qualche ricerca su Internet, e nella zona che ci interessa ho trovato solo due miniere di materiali non pericolosi: sono entrambe di ferro ma una è stata convertita in museo, mentre l'altra risulta abbandonata.»
«Aspetta» disse la ragazza, «questo mi fa venire in mente una cosa...»
Scartabellò nel dossier fino a trovare il documento che le serviva: «Ecco! Ne ero sicura di averlo visto. Qui c'è una richiesta di rimborso spese per un viaggio in elicottero in una zona ben specifica dell'Alto Canavese. Ci sono anche le coordinate geografiche.»
«Che altro ci serve?» disse ridendo Gianni.
Stefania rifletté per qualche secondo, poi disse, con un tono di voce deciso che preoccupò seriamente Gianni: «Bene: quanti giorni di ferie arretrate hai?»
«In che senso?»
«Nel senso che ci prendiamo tutti e due una bella settimana di ferie e andiamo a fare gli eroi. E poi vedrai che la mia cazzata non se la ricorderà nessuno.»
Gianni rifletté per qualche secondo, poi parlò molto lentamente, come se cercasse le parole giuste per non ferire la ragazza: «Senti, sei sicura che non sia il caso di avvertire qualcuno, magari la tua amica Federica... sai giusto per essere tranquilli... andiamo a infilarci in un buco dove c'era un assassino in giro... magari c'è ancora....»
«Tesoro, io ho bisogno di chiudere questo caso senza coinvolgere nessuno. E' la mia unica possibilità per essere se non riabilitata almeno ricordata per qualcosa che non sia la cazzata» rispose con decisione la donna, «lo so che è rischioso, ed è per questo che sono contenta di andarci con te... vedrai» terminò cambiando tono «andrà tutto bene.»
«Ma quella storia del collirio... »
«Quella è una speranza, e ci pensa Federica a questo... ma potrebbe rivelarsi una bolla di sapone, e non arrivare a nulla... soprattutto potrebbe non saltare mai fuori un nome, capisci? Io devo risolvere questo caso senza l'aiuto di qualche collega o qualche superiore... te lo ripeto, vedrai che tutto andrà bene. »
Gianni fece spallucce, ma nel telefonino Stefania non le vide: «Speriamo...», ma non era molto convinto.
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5. Nella Miniera

Le ferie non erano state un problema per nessuno dei due.
Stefania non ne prendeva da anni, e Gianni ne aveva a sufficienza per allontanarsi per un paio di settimane dal lavoro. Oltre tutto il capo di Stefania era sembrato quasi sollevato di togliersi di torno la ragazza per quindici giorni, e Gianni non aveva casi particolari che gli impedissero una breve vacanza.
Andarono in un negozio di articoli sportivi e comprarono parecchio materiale da arrampicata, specialmente robuste funi in materiale plastico, sottili e resistenti, ganci da roccia e moschettoni, due grosse torce elettriche che garantivano potenti fasci di luce, un paio di imbragature e vestiti adatti all'arrampicata al contrario che avevano in mente. Ovviamente ci sarebbe stata anche la salita, e l'attrezzatura avrebbe dovuto essere usata anche per quello. Non sapevano quante persone ci fossero ancora sotto: forse il bambino e il proprietario delle braccia che avevano intravisto erano gli unici presenti, o forse c'era anche l'altro genitore.
E non sapevano neanche se l'assassino fosse ancora lì in giro.
La Panda 4x4 di Gianni si era rivelata provvidenziale: per raggiungere la radura dove era atterrato l'elicottero avevano dovuto percorrere stradine bianche e qualche mulattiera, seguendo il percorso trovato su Internet e accuratamente stampato e messo in una busta di plastica trasparente.
Adesso i due erano in piedi nella radura, e Gianni osservava preoccupato la sua povera macchina: nonostante le quattro ruote motrici, il mezzo avrebbe sicuramente avuto bisogno di una revisionata, quando tutto fosse finito.
Intanto Stefania si guardava in giro, cercando indizi sulla presenza del sentiero che i dieci avevano percorso cinque anni prima. Il tempo passato aveva coperto le tracce, e la vegetazione aveva ripreso possesso di ogni spazio.
Cercarono per diversi minuti, poi, con un piccolo urlo di soddisfazione che sembrò assordante nel silenzio del bosco, Gianni indicò in alto: «Guarda là!»
Su un albero era presente una telecamera.
Piccola, e quasi invisibile nelle intenzioni di chi l'aveva messa, ora era decisamente più evidente per colpa dei cavi che qualche animale aveva strappato e che penzolavano tristi lungo il tronco.
«Quindi il sentiero deve essere di fronte» disse Stefania, allegra.
«Non si vede granché, ma dovrebbe essere questo» rispose Gianni indicando titubante una specie di traccia che si infilava dentro il bosco.
«Proviamo.»
Percorsero il tortuoso sentiero seguendone le deboli tracce.
Dopo diversi minuti arrivarono allo spiazzo davanti alla porta metallica.
Qui la notte inizia recitava il cartello sopra il varco aperto. La ruggine aveva preso possesso della porta e della placca con i caratteri in stampatello che aveva tanto divertito i concorrenti. Entrarono titubanti e si trovarono davanti alla porta dell'ascensore.
Chiusa.
«Uhm, e adesso?»chiese Stefania.
«E adesso si spinge e si tira.»
«Eh?»
Gianni tirò fuori un piede di porco dallo zaino, sorridendo alla ragazza: «E tu che dicevi che non serviva...»
Inserì la punta nello spazio tra la porta metallica e lo stipite, e provò a fare leva. Divenne quasi paonazzo dallo sforzo, ma la porta non si mosse di un millimetro. Stefania lo guardava divertita: «Fai dei rumori inquietanti...» disse ridendo.
Gianni, che nello sforzo mugolava, le rispose con un insulto non meglio specificato, ma che assomigliava tanto a un consiglio spassionato a darsi ad altri tipi di attività.
«E aiutami, no?» disse esasperato alla donna. Che si avvicinò e disse semplicemente: «Lascia stare, faccio io.»
Gianni si spostò, facendo un cenno come a dire fammi vedere cosa sai fare, e si appoggiò al muro con un ghigno.
Stefania prese una piccola trousse dal suo zaino, dalla quale estrasse un cacciavite smontabile. Innestò una punta a croce e con quella svitò una piccola scatola nella zona superiore della porta; in questo modo rivelò i meccanismi interni, tra cui quello che teneva chiusa la porta. Cambiò la punta con una a taglio e con quella fece scattare il meccanismo.
Quindi girò la maniglia e la porta si aprì.
Si girò verso Gianni e sorrise.
L'uomo abbozzò un ghigno: «Va be', ma così son capaci tutti...»
Stefania alzò gli occhi al cielo, e disse, ironica: «Scusa, ma lo sai che io non sono forte come te...», quindi fece un passo indietro, imitando il gesto che Gianni aveva fatto prima per invitarlo a continuare lui.
Si avvicinò all'orlo del baratro, e guardò giù. Fece un movimento per chiamare la ragazza. Insieme guardarono e rabbrividirono: la luce seguiva per diversi metri il grosso buco nel quale dovevano infilarsi, ma gradualmente cedeva al buio fino a sparire del tutto a un centinaio di metri sotto. Istintivamente Stefania si aggrappò allo stipite della porta.
L'uomo prese dallo zaino una delle due corde e la fissò a un punto sufficientemente saldo. Ne estrasse un'altra e la annodò su un altro appiglio metallico.
«Da quanti metri sono le corde?»
«Duecento metri: più lunghe non ce n'erano.»
«Uhm, temo non bastino: la discesa sono più di trecento metri.»
Gianni alzò le spalle: «Quando arriveremo là vedremo cosa fare. Per adesso cominciamo a scendere, no?»
«Se lo dici tu...»
Indossarono le imbragature e i caschi con le torce e iniziarono la discesa.
Procedevano spediti ma senza fretta, saltellando contro la parete di rete metallica che componeva la gabbia interna dell'ascensore.
Arrivati a circa un centinaio di metri di discesa, Gianni si fermò improvvisamente. Stefania lo guardò incuriosita: «Che succede?»
La voce del ragazzo era turbata: «Guarda qui» disse indicando con il fascio di luce del casco un punto sulla parete di metallo. Era evidente una macchia scura nello stesso punto in cui la maglia metallica sembrava piegarsi.
«E' dove...?» iniziò a dire Stefania.
«Credo di sì. Lì è dove l'ascensore ha colpito la parete, vedi com'è piegata?»
Non fece nessun accenno alla macchia bruna che sporcava un'ampia parte della superficie metallica.
Tacquero e si guardarono per alcuni secondi.
«Andiamo avanti» disse infine Stefania, spezzando il silenzio che si stava facendo decisamente troppo pesante.
Scesero appaiati, in sincrono per diversi minuti, coprendo un altro centinaio di metri senza ulteriori fermate, fino ad arrivare in prossimità della fine dei cavi. Gianni si ancorò con un nodo e un gancio, ed estrasse altre due corde dallo zaino; ne passò una a Stefania, quindi si mise a lavorare per ancorare l'estremità della sua alla rete di metallo. La ragazza lo osservava e copiava i suoi movimenti. Intanto Gianni le dava alcune raccomandazioni: «Fai attenzione a bloccarla bene, fa un nodo come questo» le mostrò un nodo piuttosto complicato, «e controlla che sia ben bloccato tirandolo un paio di volte, così» diede due strattoni.
Finita l'operazione, il ragazzo lasciò cadere la fune, che si srotolò per tutta la sua lunghezza, concludendo la caduta su una superficie metallica, a giudicare dal suono che arrivò rimbombando dalle profondità della terra. Probabilmente era il tetto della cabina.
Ricominciarono a scendere, a velocità costante, saltellando sulla parete. Ad ogni urto il rumore metallico ricordava a Stefania i rintocchi di una campana: dong... dong... dong...
La donna cercò di distrarsi pensando ai prossimi passi da fare: una volta raggiunto il fondo avrebbero dovuto andare verso l'edificio principale; da lì avrebbero iniziato una ricerca per recuperare il bambino e l'altro sopravvissuto. Poi avrebbero controllato se altri superstiti erano presenti.
Certo che, dopo quattro anni in quel buco dimenticato da tutti, era difficile immaginare come avrebbero trovato quelli che...
«Siamo arrivati» disse Gianni interrompendo le sue elucubrazioni.
Stava guardando in basso e anche Stefania abbassò lo sguardo: si vedeva distintamente la parte superiore dell'ascensore, rovinata dalla ruggine degli anni. Era chiaramente sbilenca, e probabilmente anche la cabina era incastrata in posizione non verticale.
Ma quello che entrambi notarono fu quello che sembrava, a prima vista, un mucchio di stracci marroni, ma che loro sapevano benissimo essere tutt'altro.
Emilio, anzi, la metà superiore di Emilio, era caduta con il volto in avanti e di questo Stefania ringraziò il cielo. Le braccia sembravano circondare la testa, in una posizione simile alle ballerine. Il corpo si interrompeva bruscamente nel punto in cui normalmente inizia il bacino.
Normalmente pensò tra sé Stefania, è una parola poco adatta alle circostanze.
Terminarono di scendere e staccarono le funi dalle imbragature. Tolsero anche queste per potersi muovere liberamente, e per non pensare al corpo che stava a pochi metri da loro. Si avvicinarono a quello che rimaneva del mulatto tenendosi vicini.
Istintivamente, Stefania si fece il segno della croce. Gianni alzò un angolo della bocca, e disse amaramente: «Temo che dovrai fare quel gesto molte volte, oggi...»
Stefania tacque, terminò la sua preghiera silenziosa, poi parlò con voce grave: «Lo temo anche io.»
«Andiamo» disse Gianni infine.
Avevano il problema di scendere. Il modo in cui la cabina era caduta, bloccava completamente il vano ascensore. Gianni si avvicinò ad una piastra che sembrava bloccata con dei rivetti: «Questa sembra...» trafficò un po', «sì, è proprio una botola. Aiutami.»
Tutti e due si misero a tirare sul bordo: «Accidenti, si dev'essere piegata. Hai ancora il tuo piede di porco?»
«Aspetta.» Gianni tirò fuori l'attrezzo e con questo riuscì ad alzare il pannello. I cardini, marci di ruggine, cedettero e la piccola piastra cadde all'interno.
Scesero e da qui riuscirono a entrare finalmente nella Miniera.
L'uomo fece il giro della colonna ascensore e andò a dare uno sguardo alla cabina contenente i comandi elettrici. Tornò indietro subito con uno sguardo serio, e disse: «Meglio se non vai a guardare: lo spettacolo di quello che è rimasto di Luca non è decisamente piacevole.»
Stefania non se lo fece ripetere ed entrò nel grande corridoio.
Guardò da entrambi i lati e chiese: «Da che parte, secondo te?»
«Secondo me è indifferente, ma ho notato che quando sono scesi i protagonisti e quando sono tornati indietro Emilio e Luca, sono sempre passati da quella parte» terminò indicando la parte sinistra del passaggio, verso sud.
«Ok.»
Si incamminarono, saettando le luci degli elmetti in tutte le direzioni.
Procedevano in fila indiana, Gianni davanti e Stefania dietro.
Lungo il percorso Gianni notò che saltuariamente si aprivano dei passaggi alla loro sinistra. C'erano delle targhe con dei numeri: «Dodici... tredici...» lesse mentre passavano, «chissà dove vanno?»
«Be', siamo in una miniera, saranno i cunicoli che portano dove il materiale viene scavato, no?»
«Uhm, sì probabile... quattordici...»
I passaggi sembravano finiti. Improvvisamente il corridoio terminò.
«Siamo arrivati, Stefania»
La targa aveva la solita conformazione che si erano abituati a vedere nelle riprese, ma il tempo e la ruggine davano un senso di desolazione totale all'ambiente. E le placche metalliche ne erano particolarmente toccate: era difficile indovinare la scritta «Edificio Principale» nel mucchio di ruggine che stava di fianco alla porta.
Gianni spinse ed entrò, con cautela, seguito da Stefania.
Scesero le due rampe di scale, facendo molta attenzione a dove mettevano i piedi: «Fai attenzione: qui è tutto di metallo e con la scarsa manutenzione che hanno avuto queste scale negli ultimi quattro anni, il rischio che si sbriciolino sotto i nostri piedi e tutt'altro che remoto.»
Un passo per volta, saggiando la struttura prima di poggiare il peso, arrivarono al pianerottolo. La targa era illeggibile, ma loro sapevano cosa avrebbero trovato.
Entrarono con circospezione.
Alla fine di un corridoio buio di circa cinque metri, sul quale si aprivano due porte, arrivarono al Soggiorno. I divani erano stato spostati lungo le pareti, così come le poltrone. Gli scaffali e i libri invece sembravano rimasti relativamente integri; c'era una luce fioca, proveniente da un paio di neon.
Gianni e Stefania camminarono per la grande stanza.
Entrarono nella Officina. Anche qui c'era un certo ordine. In un angolo c'erano diversi materiali rotti, mentre le aree di lavoro erano mantenute libere.
«Strano» disse Stefania ad alta voce, «non ti sembra strano che sia mantenuto tutto così in ordine?»
«Uhm, secondo me no» rispose Gianni, «anzi, direi che è normale. Devono mantenere efficiente tutto quello che possono. Anche i libri nell'altra stanza sono stati probabilmente letti mille volte in questi anni, e per questo sono in ordine.»
«E i divani contro le pareti?»
«Di preciso non saprei, ma un'idea ce l'ho...»
«E sarebbe?»
«Lasciare libero il passaggio. Per eventuali fughe.»
Stefania tacque pensando che un assassino in libertà è un ottimo motivo per lasciare vie di fuga libere il più possibile.
Passarono in Infermeria.
Il lettino dove Francesca era stata pugnalata era libero. Una grande macchia marrone campeggiava proprio al centro, anche se era evidente il tentativo di ripulirla.
Con un brivido Stefania prese il braccio di Gianni e lo portò fuori dal locale.
Si spostarono in Sala da Pranzo.
Anche qui i mobili erano stati spostati lungo le pareti. Il grande tavolo era sparito, probabilmente fatto a pezzi, almeno a giudicare dalle quattro grosse gambe ammonticchiate in un angolo. Stefania le riconobbe dalla forma particolare che aveva notato nei video.
Stavano per entrare nella grande Cucina, quando Gianni si bloccò improvvisamente. Stefania che lo seguiva da vicino, stava per chiedergli cosa fosse successo, ma lui si limitò a mettere l'indice di traverso sulla bocca, in modo decisamente imperioso.
Nel silenzio assoluto, il rumore del loro stesso respiro sembrava amplificato. Si sentiva chiaramente un ticchettio ritmico, ovattato.
Passi, senza dubbio.
E veloci, come di qualcuno che corre.
Stefania aveva gli occhi dilatati dalla paura e girava la testa ovunque, cercando di capire da dove arrivasse il suono.
Il ritmo si spezzò, senza fermarsi.
Gianni alzò l'indice e il medio insieme, appena divaricati, a indicare quante persone stavano correndo, secondo lui.
Stefania assentì col capo, continuando a guardarsi intorno.
L'uomo mosse l'indice per indicare di seguirlo. Si incamminò verso il corridoio speculare a quello dal quale erano arrivati. Arrivati alle scale si fermarono nuovamente in ascolto. A Stefania parve di sentire ancora i passi, ma erano così lontani e indefiniti che sembravano in tutto e per tutto un'allucinazione acustica, un fantasma sonoro.
Salirono le scale, sbucando dalla parte opposta rispetto al loro arrivo: dal fondo del corridoio arrivava, appena percettibile, un ticchettio cadenzato, sincopato, come di due passi diversi che si sovrappongono.
Si incamminarono lentamente, con circospezione. Alla loro sinistra altri cunicoli numerati. Stefania li osservò con la coda dell'occhio, troppo abituata a osservare tutto per non contarli almeno a mente: “uno... due...”.
Non perdeva d'occhio il suo compagno.
Improvvisamente Gianni si fermò e imprecò: «Maledizione!»
Stefania non fece in tempo a chiedere cosa avesse sollevato le ire dell'uomo, perché arrivando vide cosa causava il rumore che li aveva attirati lì: dal soffitto cadevano grosse gocce di condensa, che cadendo producevano un ticchettio sincopato che poteva vagamente ricordare dei passi, soprattutto se si era sotto tensione.
Stefania superò il ragazzo e osservò le gocce. Con voce triste esclamò: «Accidenti, speravo proprio...»
Si girò verso Gianni, che alzò la mano per accarezzarle il viso: «Tesoro, lo so che il tuo istinto materno pensa continuamente a quel...»
«Il bambino» disse Stefania, spalancando gli occhi.
«Sì, esatto, il bambino. Vedrai che...»
La donna spinse di lato Gianni urlando: «Ma no: il bambino, è là» terminò indicando la porta dalla quale erano usciti.
Il piccolo li stava guardando con occhi curiosi. Quando vide che Stefania stava correndo verso di lui, entrò nella porta correndo.
La ragazza provò a chiamarlo: «NO, PICCOLO, FERMATI!»
Gianni intanto recuperò lo svantaggio iniziale, raggiunse Stefania e la fermò col braccio: «Lascia andare avanti me, potrebbe essere pericoloso.»
Stefania si chiese quale pericolo potesse rappresentare un bambino di pochi anni, ma non fece in tempo a chiederlo perché Gianni la superò e raggiunse quasi immediatamente la porta nord dell'Edificio Principale.
Improvvisamente si fermò, piegandosi in avanti, e poi iniziò a cadere all'indietro. Stefania non capì subito cosa era successo, fino a quando dal vano della porta non uscì una figura inquietante che sulle prime non riuscì a osservare bene, perché la sua attenzione, tutta la sua attenzione, era concentrata sull'oggetto oblungo che lo sconosciuto teneva in mano. Impiegò due secondi netti per accorgersi che era una delle gambe del tavolo che aveva visto nell'angolo della Sala da Pranzo.
Si precipitò di fianco a Gianni, per controllare che stesse bene; contemporaneamente continuava a osservare con la coda dell'occhio i movimenti del loro aggressore. Per il momento sembrava ritenerli innocui perché non fece altro che osservarli.
Ne approfittò per osservare meglio la composizione della figura: aveva una barba incolta, per cui era ovviamente un uomo; molto magro, portava stracci addosso che davano l'impressione di non avere un davanti o un dietro, sembravano messi lì solo per coprirne il corpo. La poca pelle che si riusciva a vedere, quella delle braccia e delle gambe, sembrava pallida, emaciata, sporca di vene in rilievo. Con grande fatica Stefania riuscì a sovrapporre a quella incredibile figura, l'immagine di Mauro.
Gianni intanto si rotolava per il dolore. Stefania alzò la maglietta per controllare la zona dove era stato colpito: un livido si stava già formando in orizzontale. Provò a tastare, ma non trovò nulla di rotto, e ottenne solo dei mugolii di dolore da parte del ragazzo. Per fortuna non era nulla di grave, anche se probabilmente stava facendo una gran fatica a respirare.
L'uomo continuava a osservarli, senza parlare. Da dietro la porta faceva capolino il bambino. Uscì. Era completamente nudo e non era un bambino ma una bambina: non sembrava sofferente, anche se non presentava il tipico incarnato roseo dei bambini. Era decisamente pallida, ma la cosa, a ben pensarci, era piuttosto ovvia, visto che quella creatura non aveva mai visto la luce del sole.
Di fianco alla piccola, apparve una seconda figura: questa volta Stefania non poteva avere dubbi. Nonostante la magrezza della figura, i vestiti laceri ma puliti e aggiustati come era possibile in quelle condizioni, gli occhi di un azzurro intenso e lo sguardo intelligente, appena nascosto dal terrore che traspariva in quel momento, non potevano che appartenere a una sola persona.
«Paola» disse, abbozzando un sorriso.
I due adulti sussultarono. L'uomo, superato il primo momento di stupore, aggrottò le sopracciglia e fece per fare un passo avanti sempre brandendo il randello improvvisato. Venne trattenuto dalla donna, che lo affiancò per osservare meglio i due intrusi. Mauro riprese a battere ritmicamente il randello sulla mano sinistra.
La voce risentiva dai quattro anni di isolamento: «Chi siete?»
Stefania allargò le braccia per mostrare come fosse disarmata: «Io mi chiamo Stefania e questo è Gianni, il mio fidanzato. Sono un agente di Polizia.»
Si interruppe per qualche secondo, cercando le parole per esprimere al meglio la loro missione. Non trovò di meglio che dire: «Siamo venuti a salvarvi.»
Mauro smise di far danzare su e giù il bastone. Guardò Paola, che ricambiò con uno sguardo sbigottito.
La donna tornò a guardare verso i nuovi venuti: «Salvarci?»
Si guardarono ancora una volta, poi Mauro per la prima volta parlò, e quello che disse suonò assurdo: «Ma... il gioco è finito?»
Stefania lo guardò con un sorriso mesto, e con voce dolce gli rispose: «Mauro, il gioco non è mai cominciato.»
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6. Una nuova fuga

Dopo la rivelazione di Stefania, Paola e Mauro avevano parlottato un po' tra di loro, con un borbottio indistinto nel quale non si distinguevano parole. La bambina li guardava in silenzio, seria. Un paio di volte guardò di nascosto Gianni che provò a sorridergli, e ogni volta distolse rapidamente lo sguardo, senza riuscire a camuffare un debole sorriso.
Dopo qualche minuto, Paola si rivolse ai ragazzi: «Venite. Cercate di restare vicini, non dobbiamo separarci mai.»
Detto questo, senza aspettare risposta, si girò ed entrò nell'edificio. In fila indiana percorsero le scale fino alla zona notte, due piani più sotto; lì arrivati entrarono in quella che Stefania ricordava come “Zona Nord”, ed entrarono nella camera da letto centrale.
C'erano tre letti adesso, due più grandi a formare un letto matrimoniale, e uno più piccolo. C'era ancora il grosso armadio, ma il tavolo era scomparso: d'altro canto non ci sarebbe stato, visto che la stanza era pensata per una sola persona e ci vivevano in tre.
Stefania ebbe una leggera vertigine a pensare alla vita che dovevano avere fatto i tre lì sotto. Chissà come avevano affrontato la gravidanza, e soprattutto il parto. Chissà come avevano gestito i primi mesi, in cui la bambina era bisognosa di cure continue.
I due giovani si erano seduti sulla brandina, mentre Mauro e Paola si erano accomodati sul letto. La bambina guardò per qualche secondo la situazione, poi, con estrema serietà, andò a sedersi sul suo lettino, vicino a Gianni. Era affascinata da quell'uomo senza barba, il primo che vedeva nella sua breve vita.
I quattro osservavano i movimenti della piccola.
Alzò un ditino sporco fino a toccare la guancia liscia di Gianni.
Rise.
Anche Paola e Mauro sorrisero. Stefania guardò la piccola e le disse: «Lui si chiama Gianni.»
La bambina piantò gli occhi in quelli della ragazza, e continuando a sorridere disse: «Catta.»
Stefania guardò Paola per avere una spiegazione. La madre rise e disse: «Per Francy tutto quello che è liscio è carta.»
«Ah, carta. Non avevo capito...» Si interruppe quando realizzò il nome della piccola: «Francy? L'avete chiamata come...»
«Sì. Mi sembrava giusto...»
Tacquero.
A Stefania sembrò il momento giusto, e iniziò a parlare, a spiegare tutto quello che era successo in tutto quel tempo fuori dalla miniera; ogni tanto Gianni interveniva per spiegare meglio alcune cose. Paola e Mauro ascoltarono in silenzio per parecchi minuti; più avanti fecero qualche domanda.
La cosa che più li sconvolse fu la quantità di tempo che era passata: secondo l'orologio biologico dei due, erano lì sotto da circa due anni, e la bambina aveva poco più di un anno. Scoprire che erano stati dimenticati per più di quattro anni, e che la piccola aveva probabilmente due o tre anni, li scioccò al punto che a Paola si inumidirono gli occhi. Riuscì a non piangere solo per il lungo allenamento che aveva avuto. Spiegò: «Qui sotto non abbiamo mai avuto tempo per piangere o per disperarci. Con Sid in agguato abbiamo dovuto stare sempre all'erta.»
Era arrivato il momento dei sopravvissuti di spiegare come avevano fatto: «Siamo sempre stati uniti» disse con semplicità Paola, «non ci separiamo mai, neanche per andare al gabinetto. Gli ultimi omicidi che Sid è riuscito a compiere sono stati su persone sole: Francesca era sola nell'Infermeria e Mamma Bea l'avevamo lasciata da sola in Sala da Pranzo... non me lo sono mai perdonato» concluse con un po' di fatica, causata da un groppo alla gola.
«Sì» rispose Stefania «abbiamo visto i video fino a pochi minuti dopo la morte di Beatrice. Dopo si sono bloccati e non abbiamo più visto nulla fino a quando non abbiamo rimesso tutto in funzione, dopo avere salvato il tutto. E la prima cosa che abbiamo visto è stata lei» terminò indicando la piccola Francesca che, sentendosi chiamata in causa, rivolse un sorriso pieno di piccoli denti alla donna.
Mauro si rivolse a Gianni: «Che faccia ha?»
«Chi?»
«Sid, naturalmente.»
Gianni prese tempo per riflettere. Voleva dare una risposta corretta, e, per quanto possibile, non in contrasto con le convinzioni dei due: «Non ne abbiamo idea: nei video non si vede mai, perché aveva l'abitudine di coprirsi con un lenzuolo o una coperta. Si vede solo questa figura che vaga per i vari ambienti e non si capisce come sia fatto.»
«Maledetto bastardo» disse tra i denti l'uomo, «spero di riuscire a farlo fuori prima di uscire di qui.»
Stefania decise di sviare un poco il discorso dalle vendette: «Giusto, adesso dobbiamo organizzarci per uscire di qui. Io direi di andare direttamente all'uscita: siamo scesi con delle corde e possiamo utilizzare lo stesso sistema per uscire. Purtroppo non possiamo usare l'ascensore perché è precipitato durante il tentativo di fuga di Luca e Emilio...» Si interruppe, cercando le parole giuste: «Mi spiace, non ve l'ho detto prima, ma... sono morti anche loro cercando di scappare: due incidenti.»
«Io non credo agli incidenti» ringhiò Mauro.
«Abbiamo visto nei video, e sono stati loro stessi a sbagliare: a quanto abbiamo visto non c'è stato nessun tipo di manomissione. E poi, riflettete, come sarebbe stato possibile sabotare l'ascensore? Ancora ancora la cabina elettrica, ma l'ascensore...»
«Sì, Stefania ha ragione, Mauro» replicò Paola, come sempre padrona di sé, «facciamolo: andiamo al locale ascensore e da lì usciamo con le corde.» Si girò verso Mauro: «Finalmente vedremo un po' di luce vera» disse sorridendo.
Si abbracciarono.
Gianni si alzò, battendo le mani e fregandole tra loro: «Allora, andiamo?»
In quel momento si udì un piccolo tremore nel pavimento. Gianni, che era l'unico in piedi, si allarmò: «Cos'è stato?»
Paola si osservò intorno, guardinga: «Non saprei, ma non è la prima volta che sentiamo rumori di questo genere.»
Mauro assentì col capo, poi disse, con voce meditabonda: «Non so cosa stia facendo quel bastardo: forse scava gallerie...»
«Bel deficiente a far scoppiare della dinamite in una miniera abbandonata... col rischio di far crollare tutto...» disse Stefania.
«Già, ma secondo me quello è matto come un cavallo.» concluse Mauro.
Gianni incitò tutti: «Dai, diamoci una mossa.»
Si alzarono tutti. Stefania prese per mano Gianni e lo trascinò verso la porta, dicendo a Paola: «Vi lasciamo qualche minuto per preparare quello che vi serve e per salutare la vostra camera, sempre che lo vogliate fare: non metteteci troppo, però...»
«Tranquilla» replicò Paola sorridendo e aggiunse, seria, «state uniti lì fuori.»
Stefania alzò un pollice e uscì con il ragazzo.
Si allontanarono di qualche metro dalla porta: «Incredibile come siano riusciti a cavarsela per più di quattro anni.» Il tono di Gianni era decisamente ammirato, «Quella donna è una forza della natura... come un altro personaggio di mia conoscenza» terminò sorridendo alla ragazza, che contraccambiò con un sorriso stanco.
L'uomo si preoccupò: «Tutto bene?»
Stefania sorrise ancora stancamente e alzò una mano: «Tranquillo, sono solo stanca. Non vedo l'ora che questa cosa finisca. Poi sono nervosa per questo Sid.»
«Uhm, be', a questo proposito io pensavo...» iniziò Gianni, ma venne interrotto dal rumore della porta della camera che si apriva.
Uscirono i tre sopravvissuti. Avevano indossato delle tute consunte ma pulite, e Mauro aveva un piccolo zaino floscio sulla schiena. Disse ai due giovani: «Penso sia meglio recuperare un po' di cibo prima di partire, non si sa mai...»
Gianni rispose immediatamente: «Non ce ne dovrebbe essere bisogno, ma come dici tu, non si sa mai.»
Intervenne Paola: «Allora andiamo nella dispensa, in Cucina: se non ricordo male ci dovrebbe essere della carne in scatola nel frigorifero.»
I cinque si incamminarono in direzione delle scale centrali, più controllabili, e salirono al piano della zona Giorno. Mentre superavano la Sala da Pranzo, a Gianni venne in mente che non avevano visto il corpo di Beatrice, e dimenticò per un istante che mentre lui aveva visto la scena solo pochi giorni prima, in realtà erano passati anni, e che se il corpo fosse stato ancora lì non sarebbe stato un bello spettacolo. Prima di riflettere su questa condizione temporale, chiese: «I corpi di Beatrice e di Francesca...?»
«Li abbiamo portati di sotto, nella Cella numero 1» rispose Paola. Si fermò un attimo, poi proseguì con voce triste: «Ormai è un vero cimitero là sotto.»
Arrivarono alla Cucina e mentre Paola recuperava una decina di scatole di carne, controllata attentamente da Francesca, gli altri tre stavano come di vedetta; i due nuovi arrivati decisamente nervosi, mentre Mauro sembrava più tranquillo: probabilmente la presenza di due alleati in più, lo faceva ben sperare sulle scarse possibilità di attacco del loro avversario.
Gianni indicò verso il contenitore dei coltelli: «Come mai quello è vuoto? Nei video c'erano decine di possibili armi...»
«Infatti li abbiamo quasi tutti noi» rispose pronto Mauro.
«Quasi?»
«Purtroppo sì: subito dopo la morte di Beatrice, abbiamo deciso di toglierli dal contenitore e tenerli al sicuro e sotto controllo, ma mancavano già due mannaie, le armi più pericolose. Oltre ai due coltelli che il bastardo ha usato su Beatrice e Francesca, ovviamente...» la voce di Mauro si indurì ricordando l'efferatezza dei due omicidi.
Intanto Paola stava continuando a recuperare le vettovaglie: prese alcune pagnotte e qualche bottiglia di acqua, distribuendole sui due zaini. Terminata l'operazione, li porse ai due uomini, sorridendo: «Voi fate i cavalieri serventi...» Gianni la interruppe: «O gli asini.»
«Dipende dai punti di vista» concluse Stefania, ridendo. Risero tutti insieme per la prima volta, segnando l'inizio della fine della disavventura. Anche Francesca partecipava all'ilarità generale con la sua vocina squillante.
Paola la osservò con tenerezza e disse a Stefania: «Che bello vederla ridere così: da quando è nata le abbiamo sempre impedito di fare troppo rumore. Era troppo pericoloso.»
La ragazza le mise una mano sul braccio, in un gesto consolatorio, e disse: «Siete stati incredibili: adesso però dobbiamo andare.»
Mauro e Gianni si misero gli zaini sulla schiena, quindi il gruppo si avviò. Percorsero il Soggiorno e si infilarono nel corridoio che portava alle scale. Mauro e Paola continuavano a guardarsi intorno, come a voler fissare indelebilmente la visione del mondo che li aveva minacciati e protetti per tanto tempo.
Entrarono nel vano scale e salirono fino in cima, tornando al lungo corridoio che portava al vano ascensore. Qui, a causa della larghezza ridotta, si misero in fila indiana, davanti Gianni, seguito da Stefania, da Paola che teneva per mano Francesca e dietro Mauro. Impiegarono diversi minuti per coprire il percorso e la mancanza totale di rumore, che innervosiva Gianni, non abituato a tanto silenzio, era bene accetta da Mauro e Paola, che la sentivano come garanzia di sicurezza.
Durante la strada Gianni era preoccupato per i possibili attacchi dalle gallerie laterali; non avvenne nulla, e quando arrivarono all'angolo tirarono tutti un sospiro di sollievo. Girarono verso sinistra e arrivarono alla base del vano ascensore.
«Bene, eccoci...» iniziò Gianni, ma la frase gli morì in gola quando, nella penombra rischiarata dalle torce, si rese conto che qualcosa non quadrava.
Stefania, che era subito dietro, capì quasi immediatamente cosa mancava nel vano ascensore: «Ma dove maledizione è finita la rete metallica?»
Nel centro del grande ambiente rimanevano soltanto i resti della cabina dell'ascensore semidistrutta, mentre la parte di maglia metallica che costituiva il vano ascensore vero e proprio sembrava scomparsa. I bordi del foro in alto, a circa sei metri di altezza, presentavano ancora brandelli di filo di ferro contorti in modo assurdo. Delle corde che avevano usato per scendere non c'era alcuna traccia.
«Ma cosa è successo?» chiese Paola con un filo di voce.
Gianni abbassò il fascio della torcia verso la parte inferiore, imitato da Paola e insieme illuminarono quello che rimaneva della cabina: «Ecco cos'era quell'esplosione: quel bastardo deve averla fatta saltare...» Tutto intorno, a ridosso delle pareti, moltissime pezzi irriconoscibili della rete metallica facevano ben capire la potenza dell'esplosione.
«Cristo, siamo bloccati!» disse tra i denti Mauro.
Paola aveva uno sguardo duro, mentre stringeva i denti, come il guizzo dei muscoli della mascella mostravano. Disse con voce tesa: «Maledetto bastardo! Sid è riuscito a tagliarci fuori di nuovo. Non vuole che ce ne andiamo.»
«Non riesco a capire per quale motivo ci sta trattenendo» esclamò Gianni, «in fondo a lui dovrebbe fare comodo averci fuori dai piedi.»
Mauro aveva la voce stanca. Scosse la testa: «Cazzo. E adesso?»
«E adesso dobbiamo trovare il bastardo e renderlo inoffensivo, altrimenti da qui non usciremo mai» rispose Stefania con rabbia contenuta.
«E come facciamo? Non siamo riusciti a sorprenderlo in tutto questo tempo, come facciamo a farlo adesso?» replicò Mauro. La sua voce aveva una nota isterica che preoccupò Stefania.
Paola intervenne: «Stefania ha ragione, non possiamo più sopravvivere e basta, dobbiamo combattere se vogliamo avere una ragionevole speranza di andarcene.»
«Ok» concluse Stefania, incassando con un sorriso l'approvazione della donna, «allora torniamo indietro alla vostra camera, e prepariamo un piano per acchiappare il bastardo. Penso che altre corde le potremo trovare nell'Officina, anche se qualcuno dovrà salire in qualche modo per attaccarle. Adesso siamo in quattro e non dovremmo avere problemi.»
Nessuno si aspettava di sentire una vocina sottile che disse una sola parola: «Cinche!»
Guardarono Francesca e la videro sorridente con la manina alzata a mostrare le dita ben spalancate: «Cinche» ripeté.
Paola sorrise alla bimba: «Sì, tesoro hai ragione. Siamo cinque.»
«Caspita, sveglia tua figlia!» esclamò Gianni, dando una pacca sulla spalla di Mauro, che si girò e sorrise in risposta. Questo piccolo momento di tenerezza servì a stemperare la tensione, e i quattro adulti ne avevano davvero bisogno.
Si trattava ancora di decidere cosa fare e come farlo, ma la decisione era stata presa e questa era la cosa più importante: Sid aveva le ore contate.
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Messaggio da Fil »

Sono indietro, devo leggere ancora questi ultimi capitoli...ma con gli esami in avvicinamento è difficileeee!! :(
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overhill
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Messaggio da overhill »

E vabbe', ma sto pubblicando una volta alla settimana! Meno di così...

E STUDIA!!! :asd:
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Messaggio da overhill »

7. Un buon risultato

«Come sicuramente ricorderete circa due mesi fa tre banditi, dopo avere tentato un furto alle casse di un supermercato, e dopo essere rimasti asserragliati per ore, riuscirono a scappare facendosi beffe della Polizia. Ora pare che ci siano clamorose novità: colleghiamoci con il nostro inviato nel capoluogo Piemontese. Gianfranco...»
Federica si alzò dal tavolino che stava dividendo con Giacomo Rizzo, e gridò: «Oh, silenzio!», poi si girò verso il barista, «Franco, puoi alzare, per favore?» Il bar era gremito di poliziotti in pausa pranzo, e in verità non c'era nessun bisogno di far fare silenzio, perché nel momento in cui avevano cominciato a parlare della famosa rapina, tutti si erano girati verso i quattro piccoli televisori piatti sparsi per il locale.
Intanto il collegamento si era spostato all'inviato, un giornalista dall'aria simpatica, con un sorriso sornione appena accennato incastonato in un filo di barba biondiccia e ben curata; il fisico tarchiato indicava un'altezza inferiore alla media, compensata dall'energia che emanava. Era in piedi in una piazza dove diverse persone stavano curiosando; dietro un edificio sul quale risaltava chiaramente il simbolo azzurro della Polizia di Stato.
«Sì, Carlo, siamo davanti alla sede della Dipendenza di Settimo Torinese, e fra qualche istante dovrebbe uscire il Questore per parlare di alcune grosse novità sul caso dei tre banditi fuggiti, come ricordavate da studio. A quanto pare ci sono state delle rivelazioni, sembra anonime, che hanno indirizzato gli inquirenti su una pista che conduce all'interno della stessa Questura. Qualcuno parla di una talpa che ha aiutato i banditi dall'interno, perché... oh, ecco il Questore: andiamo a sentire» dicendo questo si spostò quasi di corsa, seguito dalla telecamera. Per qualche secondo lo schermo traballò, seguendo il ritmo dei passi dell'operatore che correndo andava a cercare il posto migliore. Confusamente nella ripresa comparve la grossa sagoma del Questore Levorato, una figura piuttosto conosciuta, vista la sua partecipazione a numerose trasmissioni, e spesso criticato proprio per un'assiduità sospetta nelle trasmissioni dei canali legati al partito del Capo del Governo.
L'uomo si schiarì la voce e iniziò a parlare: «Signori, signore, devo darvi un certo numero di notizie che non esito a definire scioccanti.»
Fece una piccola pausa a effetto, lasciando che il concetto di “un certo numero” si facesse strada. Guardò negli occhi i presenti, poi continuò: «Non starò a riepilogare i fatti che hanno iniziato questa indagine, ma posso confermarvi che finalmente siamo giunti a una conclusione. Purtroppo una conclusione che da un lato pone alcuni dubbi, ma dall'altra dimostra come il buon governo delle Istituzioni...» continuò così per diversi minuti, senza fare capire nulla.
Finalmente si decise ad arrivare al punto: «...Abbiamo ricevuto i risultati di un'indagine non ufficiale, ma evidentemente eseguita da qualcuno a conoscenza dei metodi di Polizia, che indicava chiaramente come la fuga dei banditi fosse stata organizzata da qualcuno all'interno della Polizia stessa. Per chiamarlo in gergo giornalistico, una Talpa., ma contrariamente all'accezione solita di questo termine, in questo caso una Talpa dalla parte giusta.»
Altra piccola pausa accompagnata da un sorriso suadente, per sottolineare quanto il Questore fosse vicino agli amici giornalisti.
«Dopo avere ricevuto il dossier con l'indagine ufficiosa, abbiamo approfondito le questioni sollevate e abbiamo trovato riferimenti inoppugnabili e prove definitive che hanno ottenuto due risultati distinti e contrari: innanzi tutto abbiamo il nome della Talpa cattiva. Sono dolente di dovervi comunicare che il Commissario Angelotti è stato arrestato pochi minuti fa con l'accusa di complicità in sequestro di persona, rapina e tentato omicidio. Davanti alla evidenza delle prove ha già confessato.»
Altra pausa.
In quel momento si inserì il giornalista che stava gestendo il servizio, e con la sua voce simpatica chiese: «E per quanto riguarda l'Agente Pane?»
Il Questore sembrò gradire la domanda e rispose immediatamente senza smettere di sorridere: «All'Agente Stefania Pane, che negli ultimi mesi è stata spesso indicata come unica responsabile della fuga dei delinquenti, è stato di fatto impedito di riconoscere i banditi, che lo stesso Angelotti ha fatto in modo di far scappare proprio dalla porta alla quale aveva messo l'Agente Pane di guardia, avvertendoli con il cellulare pochi minuti prima dell'irruzione dei reparti speciali. Non sto a spiegarvi le prove scientifiche che confermano come sia stato possibile, ma dagli accertamenti che abbiamo fatto queste prove sono più che definitive.»
Sorriso enorme, gratificato da un primo piano: «Sono quindi più che felice di comunicare ufficialmente che l'Agente Stefania Pane è stata completamente riabilitata.»
Durante tutto il lungo, e a tratti complicato discorso, nel bar si sarebbe potuta sentire volare una mosca. Ma quando il Questore pronunciò le due parole magiche completamente riabilitata, tutti esplosero in un applauso scrosciante. Molti gridavano «brava», «bene», «ben fatto», qualcuno dava pacche sulle spalle ai colleghi.
Molti andarono da Federica per stringerle la mano, conoscendo la sua amicizia con Stefania; anche molti tra quelli che nei giorni precedenti l'avevano evitata come la peste.
La ragazza sorrideva stringendo mani, ricevendo pacche, anche un paio di abbracci con tanto di baci sulle guance da due colleghe con le quali non aveva mai parlato prima.
«L'hai scritto proprio bene quel dossier, vero?» disse Rizzo quando riuscirono a sedersi.
«Eh eh» rise la ragazza, «pare proprio di sì. A quanto pare ho smosso le acque, ho messo i dubbi giusti alle persone giuste.»
Giacomo tornò serio: «Certo che sarebbe bello poter condividere questo momento con la diretta interessata.»
«Già.»
«Ma proprio non hai idea di dove sia finita?»
«Corelli mi ha detto che s'è presa una settimana di ferie, al cellulare non risponde, a casa non c'è e anche Gianni, il ragazzo, è uccel di bosco.»
Giacomo rise: «Secondo me sono su qualche spiaggia a godersi un po' di caldo. Sai che sorpresa quando tornano!»
Federica non riuscì a fare più di un piccolo sorriso, tornando subito seria: «Mah, non so, sai? Lo spero, lo spero veramente...»
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Messaggio da overhill »

Ovviamente il giornalista è Gianfranco Bianco, un professionista reale che lavora alla Rai di via Verdi, e che è un'icona della nostra regione :)

Immagine

Spero non mi faccia causa per utilizzo non autorizzato di immagine... :D
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Messaggio da overhill »

8. Sotto Attacco

Uscirono dalla stanza dell'ascensore e decisero di tornare indietro dallo stesso percorso che avevano fatto all'andata: «Se non ci ha attaccato mentre venivamo, è probabile che non ci sia neanche adesso» disse Gianni, non troppo convinto. Neanche gli altri lo erano, ma non avendo di meglio da offrire, decisero che andava bene così.
Si incamminarono in fila indiana, nello stesso ordine che avevano tenuto all'andata: Gianni, Stefania, Paola e Francesca per mano e per ultimo Mauro, che controllava le spalle del gruppo.
Arrivarono al primo angolo e girarono verso destra. Per qualche motivo che nessuno avrebbe saputo spiegare, il pesante silenzio che permeava sempre la miniera, sembrava essere diventato più spesso, come se il tempo fosse diventato una densa melassa, nel quale i cinque si muovevano al rallentatore. La fretta di tornare all'Edificio Principale, faceva sembrare il corridoio molto più lungo di quanto non fosse in effetti.
Superarono velocemente il tunnel dodici; dopo un tempo che sembrò lunghissimo arrivarono al corridoio successivo. Gianni e Stefania lo superarono velocemente.
Proprio davanti al varco, Francesca che stava facendo del suo meglio per camminare velocemente, cadde lunga distesa: per due secondi non si rese conto del male, ma poi, come qualsiasi bambino scoppiò a piangere.
Paola si chinò sulla piccola, dando le spalle al lungo corridoio numero tredici. La prese in braccio e cercò di calmarla, senza rendersi conto del possibile pericolo dietro di lei. Mauro invece se ne accorse e si avvicinò rapidamente, spingendola: «Dai, andiamo, non fermiamoci...»
In quel momento dalle profondità buie del corridoio si udì un urlo terrificante, qualcosa che non sembrava neppure umano. Francesca smise immediatamente di piangere, e Mauro e Paola rimasero come congelati, perdendo pochi, preziosissimi secondi.
Gianni si bloccò e tornò indietro, raggiungendo rapidamente Stefania che si era bloccata anche lei terrorizzata.
Nello stesso istante in cui Mauro si rese conto di essere lui stesso un bersaglio troppo facile, e iniziò a muoversi, un fischio ritmico provenne dal tunnel, crescendo rapidamente e trasformandosi in qualcosa di fisico che colpì l'uomo sulla coscia sinistra. Nella frazione di secondo in cui sentì l'urto, prima di avvertire il male lancinante della ferita, si accorse della mannaia da cucina profondamente affondata nella gamba. La strappò con rabbia e contemporaneamente urlò di dolore, cadendo in avanti, sorretto malamente da Paola, che avendo in braccio Francesca faceva fatica a tenerlo. Fortunatamente arrivarono quasi immediatamente Gianni e Stefania. I due presero Mauro e lo sostennero, continuando a correre verso l'Edificio Centrale.
Mentre superavano il tunnel numero quattordici, nonostante la frenesia con cui stavano correndo, udirono chiaramente una risata folle, e una voce che urlava: «Vi ammazzerò tutti!»
Paola non smise di correre, ma riuscì a urlare di rimando: «Sid, sei un bastardo! Te la faremo pagare prima o poi...»
La risata si perse in lontananza.
I cinque riuscirono a raggiungere l'edificio, scesero rapidamente la prima rampa e si fiondarono nell'infermeria. Gianni, che aveva raccolto la mannaia da terra, la buttò su un tavolo.
Mauro si buttò sullo stesso lettino sul quale era morta la prima Francesca. Stefania cercava di tamponare il sangue che usciva copiosamente dalla profonda ferita alla coscia. Gianni si lanciò alla ricerca di bende, alcool, acqua ossigenata, cerotti, qualunque cosa potesse fermare l'emorragia. Trovò diverse bende e un barattolo di alcool denaturato.
Si piazzò di fianco al lettino e disse a Mauro: «Questo ti farà male. Conta fino a tre.»
«Uno... due... »
Senza aspettare versò un fiotto di liquido rosato sopra la ferita. Mauro lanciò un urlo altissimo, senza riuscire a impietosire Gianni che continuava a versare abbondantemente. Poi prese un grosso mucchietto di cotone e lo tenne premuto. Disse a Stefania: «Tieni qui, premi bene.»
Mauro guardò rabbioso Gianni e disse a denti stretti: «Tre, cazzo!»
Non appena la ragazza ebbe eseguito l'ordine, Gianni iniziò a fasciare strettamente la gamba dell'uomo: un giro, due giri, tre giri... al dodicesimo giro strappò la benda a metà, ne fece girare una parte all'indietro e usò i due lembi per stringere il tutto.
Il sangue aveva sporcato la benda, ma sembrava essersi fermato. Almeno così speravano tutti.
Mauro imprecava tra i denti.
«Spero che duri per un po', Mauro» disse Gianni, «ma sicuramente ci vorrebbero dei punti. Non credo che qui sotto ci siano gli attrezzi per farlo.»
«Hai fatto un bel lavoro» rispose con un vago sorriso Stefania.
«Grazie, amico: ricordami di offrirti una birra quando usciamo di qui» disse Mauro, recuperando un po' di ironia.
Stefania prese in mano la piccola mannaia che Gianni aveva buttato sul tavolo. Piccola, maneggevole e letale. La parte anteriore della lama sembrava consumata: “Deve essersi allenato molto al lancio con quest'affare” pensò la donna, soppesandola.
Intanto Paola, provata dalla tensione, scoppiò a piangere e abbracciò Mauro. Stefania posò l'arma, si avvicinò e prese Francesca dalle braccia della donna: «Vieni piccola, lasciamo papà e mamma da soli.»
Uscirono dall'infermeria.
Stefania era preoccupata per la bambina: anche se era abituata a stare in silenzio fin da quando era nata, in questo momento sembrava totalmente sotto choc, e questo in una bambina di pochi anni poteva essere grave. Le parlò dolcemente, per diversi minuti. Non erano discorsi concreti, solo parole messe insieme per far sentire alla bimba la sua presenza. Dopo molte, molte parole, finalmente la piccola sospirò e si addormentò di colpo.
«E' stremata» disse Gianni, «sono capitate più cose nelle ultime ore che da quando è nata.»
Stefania posò la bambina su uno dei divani, nella penombra, la coprì con la propria giacca, e con Gianni si allontanò di qualche passo.
«Non capisco perché Sid ci ha attaccati. A quanto ci hanno detto Paola e Mauro ha sempre aspettato di attaccare una sola persona per volta.»
«Sembra strano anche a me, Stefania. E ci sono altre due cose che non mi quadrano...»
«Sarebbero?»
«Innanzi tutto il motivo per cui non vuole lasciarci andare via. Perché vuole eliminare tutti i concorrenti? Per rimanere da solo? Ma in questo caso, se noi andassimo via lui rimarrebbe da solo, esattamente come vuole. E la seconda cosa è che mi è sembrato che la sua risata provenisse dalla galleria 14, mentre il coltello l'ha tirato dalla 13.»
Stefania pensò per qualche secondo: «Non ci arrivo.»
«Be', abbiamo due possibilità: o Sid non è da solo, oppure i vari corridoi sono collegati tra loro.»
«Uhm, secondo me è la seconda che hai detto. Fossero stati in due o più avrebbero già attaccato con successo i superstiti.»
Gianni tacque per un paio di secondi, poi rispose: «Probabilmente è così: ecco dove si è nascosto per tutto questo tempo. Probabilmente ha costruito una serie di cunicoli là sotto. E questo conferma quello che dicevi tu nella sala dell'ascensore: dobbiamo tirarlo fuori da lì ed eliminarlo.»
Una voce alle loro spalle li colse di sorpresa: «Vorrei ammazzarlo io, se non vi spiace.»
Era Mauro, sorretto da Paola, che aveva ripreso un po' di colore ed era uscito dall'infermeria, giusto in tempo per sentire la conclusione del discorso.
«Francesca?» disse Paola, con voce preoccupata.
«Dorme» rispose Stefania, indicando il divano.
Dove c'era solo la giacca di Stefania.
«Ma dove diavolo...» iniziò a dire Gianni.
Stefania corse verso il divano, guardò dietro, lo spostò: «Eravamo tutti e due qui, come ha fatto a...»
Paola iniziò a singhiozzare: «La mia bambina, la mia bambina...»
Gli anni passati in tensione, il mancato salvataggio, il ferimento di Mauro e adesso questo. I nervi della donna stavano cedendo, come stava rivelando da qualche ora.
Mauro disse con voce neutra: «Non potevate sapere quanto fosse pericoloso Sid. E'' come un serpente, ve l'abbiamo detto che non ci separiamo mai, che stiamo sempre insieme. Bastano pochi secondi e lui arriva e...»
Una lacrima percorse il suo volto.
«Maledizione!» sbraitò Stefania, «dobbiamo andare a riprenderci la piccola. E dobbiamo andarci adesso!»
«E' pericoloso» ricordò Mauro.
«No, Sid ce l'ha con voi, non con noi. Possiamo andare a prendere la piccola. E magari anche a rendere inoffensivo il bastardo.»
Gianni intervenne: «Stefania ha ragione. Noi abbiamo più possibilità, siamo più in forma e probabilmente non ha intenzione di ucciderci, se non per raggiungere il suo scopo» indicò Paola e Mauro, «cioè voi due.»
«Ok, ma dove...?» iniziò Paola, tirando su col naso.
«Secondo me dobbiamo tornare nella zona dei cunicoli sud, dove Mauro è stato ferito. Sono convinta che sia l'ingresso della sua zona» rispose Stefania, girandosi per indicare la direzione che intendeva. Anche Gianni e Paola si avvicinarono guardando da quella parte.
«Penso che sarebbe meglio se andassimo da soli» disse Gianni, poi si rivolse direttamente a Paola: «tu devi guardare Mauro, che non può ovviamente essere lasciato da... ma dov'è?»
Le due donne si girarono.
Era scomparso.
«Ma dov'è andato a finire?» mormorò Gianni.
«Sid non può avere preso anche lui, ce ne saremmo accorti. Deve essere andato via da solo» replicò Stefania.
Paola aveva la voce tremante: «Ma perché l'ha fatto?»
«Non lo so, ma a questo punto la priorità e di salvare Francesca» rispose Gianni con voce risoluta, «Mauro, anche se ferito, è adulto e può riuscire a difendersi, mentre la piccola...» Lasciò la frase sospesa, senza nominare le varie implicazioni della situazione. Paola gliene fu grata.
«E poi siamo in tre quindi non possiamo separarci in nessun modo senza lasciare una persona da sola» concluse Stefania.
Paola tirò su col naso un'altra volta, aggrottò le sopracciglia assumendo uno sguardo deciso e disse con voce ferma: «Verrei comunque anche io: ho diversi conti in sospeso con quel pezzo di merda.»
Gianni e Stefania si guardarono, preoccupati delle possibili conseguenze di una donna infuriata durante un inseguimento. Ma non avevano scelta, e lo sguardo di Paola lo chiariva benissimo, ben oltre le parole. E comunque era un passo avanti rispetto alla rassegnazione che aveva contrassegnato gli ultimi minuti della donna.
«Andiamo» disse Gianni, incamminandosi verso le scale.
Usciti dal vano scale, si trovarono nuovamente nel lungo corridoio che da qualche parte, nel buio, aveva i tre varchi dei tunnel dodici, tredici e quattordici.
Probabilmente tutti e tre potevano essere utilizzati per entrare nella zona di “proprietà” di Sid, per cui era necessario fare moltissima attenzione.
Si incamminarono, Gianni davanti e Stefania subito dietro, sciabolando il buio con le loro torce elettriche. Paola era più indietro ma non perdeva di vista i due. Camminarono per diversi minuti, fino a illuminare da lontano con la debole luce il varco del corridoio quattordici.
Rallentarono ancora di più, controllando ogni eventuale sorpresa.
Un passo.
Un altro.
Gianni sporse la mano che reggeva la torcia piegandola verso destra, per illuminare il tunnel. Sporse anche la testa, mantenendola il più possibile in prossimità della parete di fronte all'imboccatura, in modo da poterla togliere rapidamente se avesse sentito il sibilo di un'arma.
Una delle due mannaie aveva colpito Mauro, ma l'altra era ancora sicuramente in mano a Sid, e Gianni non aveva nessuna intenzione di farsi fare la sfumatura bassa dal quel bastardo.
Con estrema circospezione controllò il corridoio: proseguiva per diverse decine di metri, poi sembrava abbassarsi e sparire.
Non c'era nessuno in vista.
Gianni superò il varco, bisbigliando a Stefania e a Paola: «Adesso non c'è, ma fate attenzione: credo che i cunicoli siano collegati tra loro, e potrebbe benissimo decidere di fare una sorpresa a una di voi.»
Nella luce delle torce le due donne annuirono.
Proseguirono per i pochi metri che separavano i primi due varchi: Giunti in prossimità del tunnel numero tredici Gianni ripeté l'operazione di controllo che aveva fatto per quello precedente: torcia, testa, torcia in profondità e avanzamento.
Questo corridoio sembrava più lungo del quattordici; la luce della torcia non arrivava a illuminare il fondo, e anche qui non si vedeva anima viva. Gianni si girò per fare cenno alle donne di proseguire, illuminando il terreno davanti a loro con la torcia.
Quando tornò a dirigere il fascio di luce davanti a sé rimase impietrito.
Davanti a lui, appena al di fuori del tunnel dodici, c'erano due figure: una più piccola, Francesca, stava in piedi e negli occhi aveva tutto il terrore che può avere una bambina di pochi anni davanti all'orco che mamma e papà le avevano sempre detto di evitare. Era sotto choc, gli occhi spalancati e la mandibola che tremava vistosamente, aggrottandosi come a cercare di strizzare lacrime che non riuscivano a uscire.
Sulla sua spalla destra stava la mano dell'essere dietro di lei.
Nodosa, magra, bianca in modo innaturale, le unghie sfaldate e sporche.
Sull'altra spalla si muoveva lentamente, come in una oscena carezza, la piccola mannaia.
A Gianni si affiancarono le due donne. Paola si lasciò sfuggire un gemito quando riconobbe la bambina: «Piccola, la mamma è qui...»
Francesca alzò una manina in direzione di Paola: «Mamma...»
Dal buio sopra la piccola scaturì una voce stridente, come un'unghia fatta scorrere su una lavagna: «Che scenetta commovente...» Una voce che di umano aveva ben poco, neanche nella risata secca che accompagnò la battuta.
La luce delle tre torce si spostò in alto.
L'uomo aveva il torso nudo, le costole sporgenti sembravano le dita nodose di due mani che lo afferrassero da dietro, stringendolo impietose, aderenti. Il volto bianchissimo, coperto di macchie scure, circondava come poteva la bocca aperta in un sorriso sdentato di denti marroni, e gli occhi, spalancati, che guizzavano a destra e a sinistra freneticamente.
I tre fissavano quella caricatura d'uomo inorriditi.
Dopo diversi secondi, Paola riuscì a dare un senso al lavoro che gli stenti, il buio e la follia avevano fatto sui lineamenti del pazzo che li aveva perseguitati per più di quattro anni. Non poteva credere ai suoi occhi.
Pronunciò il suo nome, incredula.
«Gianluca...?»
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Messaggio da overhill »

«Oh, che bellissimo colpo di scena!»

(ma devo fare tutto io? :asd: )
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Messaggio da overhill »

9. La resa dei conti

L'uomo non sentiva pronunciare il proprio nome da diversi anni.
Rimase interdetto. Un barlume di coscienza attraversò i suoi occhi, ma durò il breve spazio di un lampo.
«Ma non può essere...» iniziò a dire Stefania.
«...eri morto» concluse Gianni.
Gianluca venne scosso da spasmi, mentre la sua bocca si contorceva come in preda a un attacco epilettico. I tre impiegarono diversi secondi per capire che stava ridendo. E che aveva dimenticato come si fa.
«Che stupidi che siete» stava dicendo il folle con la sua voce chioccia, «non avete capito niente. Vi ho fregati come ho voluto, e non vi siete accorti di niente. Che stupidi» ripeté ancora.
Smise di ridere e li guardò fissamente.
Gli occhi di Gianni erano concentrati sulla piccola arma che continuava a muoversi dolcemente sulla spalla di Francesca.
Gianluca riprese a parlare: «Il corpo davanti al frigorifero non era il mio. Ho preso in prestito quello del frocetto, quello che ho ammazzato con le mozzarelle. Ho solo dovuto fargli un lavoretto sulla faccia, dopo avergli messo la mia maglietta» rise di nuovo. «Pensate che ironia, ho usato il corpo del ragazzo per far fuori il padre. Magari alla fine se n'era anche accorto quello stronzo.»
Stefania sentì il suo spirito poliziesco pizzicarla: «Ma come hai fatto per gli altri? Barbara, Emilio, Luca...»
«Quelli sono stati tutti incidenti. Barbara era una zoccola e se l'è meritata la fine che ha fatto. Gli altri due per me potevano anche andarsene, ma hanno fatto casino da soli, e si sono ammazzati da soli...»
Paola aveva gli occhi fissi su Francesca, ma una domanda le uscì quasi senza poterla controllare: «Ma perché l'hai fatto?»
Non si aspettavano l'urlo dell'uomo, anche Francesca fece un piccolo salto di paura: «PER TRE MILIONI DI EURO!»
Stefania era allibita. Possibile che i soldi l'avessero fatto ammattire al punto da ammazzare tutti, e con il rischio di essere visto da qualche telecamera? Lo disse all'uomo: «Hai ammazzato sei persone per soldi? Ma non ti rendi conto che sei stato filmato e che tutti sanno che sei stato tu?»
Gianluca scoppio di nuovo a ridere: «Certo, anche tu sapevi che ero stato io, vero?» disse ironicamente, «infatti fino adesso avete parlato di Sid!»
Vedendo gli sguardi dei tre proseguì: «Sì, certo che vi ho sentiti. L'acustica di questo posto è strana, ci sono posti dove si sente tutto e altri dove non si sente nulla. La camera di Mariano era una di quelle dove si sentiva parecchio, bastava mettersi in un certo posto nella camerata di fronte e si sentiva praticamente tutto. E' così che ho scoperto che il cupio era allergico alle margheritine» scoppiò di nuovo a ridere, con la sua risata rauca e polverosa.
«Mettere le mozzarelle a bagno con l'origano è stata una bella idea. Se qualcuno se ne fosse accorto avrei potuto dire che era per una ricetta» terminò sogghignando.
«L'unica stronza che aveva capito qualcosa era quella insignificante di Francesca.» Si girò verso Paola: «Quando mi hai mandato a prendere le medicine per Mariano, io ho svuotato il barattolo e le ho messe in tasca perché nessuno le trovasse. Ma quella stronza deve avere notato che avevo qualcosa in tasca perché ha cominciato con quella litania folle del prima era vuota, prima era vuota. Che deficiente.. E poi nell'infermeria ho avuto la conferma che ce l'aveva con me, quando mi ha accusato davanti a tutti voi... era troppo pericolosa!.»
«Ma non ha senso!» sbottò Gianni, «Se è vero che nessuno sapeva che tu sei il colpevole, perché ci hai impedito di andare via? Perché hai fatto esplodere il vano ascensore?»
Gianluca rispose quasi immediatamente: «Sulle prime non sapevo se voi due impiccioni sapevate o meno se ero stato io. Poi ho sentito chiaramente che parlavate di Sid e mi sono tranquillizzato... ma ormai la dinamite aveva già fatto il suo mestiere...»
«Continuo a non capire perché hai...»
«Per i soldi te l'ho detto, idiota.»
Gianni scosse la testa: «Non capisco.»
Gianluca sogghignò ancora: «Perché non vi siete letti attentamente il regolamento. Per vincere il premio si deve rimanere qui sotto fino a quando la Produzione non dichiara il gioco finito, oppure fino a quando non viene scoperto quello che viene chiamato il segreto della miniera, che non ho capito cos'è. Ma il regolamento non specifica in che modo si può o si deve abbandonare il gioco. Il negro e l'altro cretino che se ne stavano andando non mi creavano problemi, anzi, erano un pasticcio in meno. Gli altri potevo eliminarli come mi pareva, l'importante era che nessuno mi vedesse. La colpa poi sarebbe ricaduta su quell'imbecille di Sid, che secondo me è bell'e che morto da qualche parte, magari in qualche sala di controllo piena di monitor...»
«Ma adesso...» iniziò Stefania.
«Adesso nessuno ne saprà niente, perché ho distrutto tutte le telecamere che ho trovato e alle quali sono riuscito ad arrivare. Adesso devo farvi lo stesso trattamento, perché non dovete raccontare in giro cosa è successo qui...»
Stefania aveva ancora qualche dubbio: «Ma perché hai aspettato tutto questo tempo prima di farti vivo?»
Gianni piegò la testa, guardando negli occhi Gianluca. Erano pozzi senza fondo, e Gianni ebbe una piccola vertigine. Trovò in pochi secondi l'equilibrio mentale e disse, con voce piatta: «Perché siamo arrivati noi. Prima aspettava il momento giusto in cui uno dei due superstiti fosse rimasto solo, ma non c'è mai riuscito, perché Paola e Mauro sono sempre stati insieme. Ma adesso siamo arrivati noi e rischiavamo di scoprire che lui è il colpevole. Non poteva permetterlo...»
Paola continuava a sorridere alla bambina, mentre questa tirava su col naso, terrorizzata dalla presenza dietro di lei.
Gianni si lasciò scappare l'unica parola che poteva adattarsi a Gianluca: «Tu sei matto...»
«NO! IO SARO' IL VINCITORE, COGLIONE, QUANDO QUELLA TROIA SARA' MORTA! SOLO SID POTREBBE FERMARMI, MA TANTO E' CREPATO ANCHE LUI!!» urlò Gianluca.
Contemporaneamente alzò la mano sinistra, che brandiva la mannaia, mirando verso Paola. Con la mano destra afferrò sul lato il collo della bambina e la spostò nella direzione opposta per avere un più ampio spazio di manovra.
In quello stesso momento qualcosa al di fuori dei fasci di luce si abbatté sul braccio teso all'indietro dell'uomo, facendogli cadere l'arma. Gianluca sbigottito fece un mezzo giro su sé stesso, per vedere cosa o chi l'aveva colpito e nello stesso istante sentì un oggetto pesante abbattersi sul suo viso, facendo esplodere il naso in una poltiglia, fracassando gli zigomi e piegando il setto nasale verso l'interno.
Cadde all'indietro, trascinato dalla furia di altri due colpi abbattuti con rapidità.
Le tre torce concentrarono i fasci luminosi sulla figura rimasta in piedi di fianco al corpo inanime e alla bambina tremante. A Paola sfuggì un sospiro e un nome: «Mauro!»
L'uomo teneva ancora in mano la gamba del tavolo che aveva usato per colpire Gianni diverse ore prima, e la usava per appoggiarsi. Stefania abbassò la torcia per illuminare la gamba dell'uomo: la fasciatura era marrone scuro. Dietro di lui una lunga scia di sangue si perdeva al di fuori della portata delle luci.
Mauro alzò gli occhi verso i suoi amici; si appoggiò con tutto il peso sul randello e lentamente, come in un effetto rallenty, cadde in avanti.
Paola corse verso Francesca e la prese in braccio, poi tutti e quattro circondarono Mauro. Gianni controllò la ferita, che aveva ripreso a sanguinare copiosamente. E chissà da quanto.
«Ma come...?» iniziò a chiedere Stefania.
Mauro sorrise, interrompendola: «Ho fatto il giro dall'altra parte... non ve l'ho detto perché non me l'avreste permesso.»
Il pallore dell'uomo era molto preoccupante. Gianni cercò di minimizzare: «Dai, adesso ti portiamo all'Infermeria e vedrai che...»
Mauro sorrise ancora: «Lascia perdere. So benissimo che qui non si possono fare trasfusioni, e temo di avere perso un po' troppo sangue mentre facevo il giro turistico della Miniera.»
La voce si stava affievolendo. Paola scoppiò a piangere, imitata da Francesca: «No, dai, tesoro. Puoi farcela. Un po' di riposo, ti diamo qualcosa, glucosio, zuccheri... qualcosa che ti farà tornare in forma...»
Mauro osservò le due donne della sua vita. I quattro anni passati con Paola in quella situazione così assurda ripassarono davanti ai suoi occhi in un lampo: quattro anni di fatica e lotta contro la pazzia dell'isolamento, specialmente all'inizio. Tutto quel tempo ad ascoltare Gianluca che girava loro intorno, come un avvoltoio pronto a ghermire le loro vite se solo si fossero distratti per un solo secondo. Ma anche quattro anni di amore, di passione e di affetto, che la nascita di Francesca non aveva fatto che migliorare. E alla fine, dopo tanto tempo, la sua promessa di occuparsi di loro era stata mantenuta.
Stava perdendo l'ultima battaglia, ma aveva vinto la guerra.
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