Quarto racconto in concorso Seguite Lara in una frenetica corsa per svelare i misteri di una grande leggenda etrusca!
Anche stavolta, il racconto sarà spezzato in due parti tra oggi e domani
Vi ricordo che su questo topic potrete esprimere i vostri commenti e le ipotesi su chi sia l'autore; potete votare il racconto mandando un pm a me, Blu o Overhill esprimendo un voto da 1 a 10 per ognuno dei seguenti paramentri:
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Ancora, buona lettura
Ombre della Sera
In questi giorni di luglio Amsterdam non è più la stessa: stranamente sono giorni che non piove, il cielo è sereno e fa pure caldo. Effetti del cambiamento climatico globale? Mah! Lascio la parola a climatologi ed ecologi: sono qui per un altro motivo.
Theo mi ha informato che lo scambio avverrà qui, in questo bugigattolo di locale piuttosto buio e addobbato con tanti reperti dell’era moderna: una chitarra di Bon Jovi penzola sulla mia testa accanto alle bacchette di Stewart Copeland, nella parete a sinistra vedo un basso di Glenn Hughes, un disco di platino dei Queen e uno d’argento dei Kiss; sopra la cassa fa bella mostra di sé una chitarra di Joe Walsh e vari altri cimeli marcati Gibson o Fender sono attaccati un po’ dappertutto. Uno spettacolo migliore della porta del bagno alla mia destra. Vicino all’ingresso la tv trasmette a ciclo continuo video musicali e concerti rock; è ora di cena, e i pezzi hard rock non sono ancora partiti: c’è un concerto dei Supertramp, che i pochi clienti seguono distrattamente e che mi tiene compagnia mentre inganno il tempo con un pancake e una birra.
Se non altro mi tengo sveglia: Theo mi ha dato appuntamento in un coffee shop e (dannate case olandesi strette strette e alte alte!) c’era così poco ricambio d’aria che il locale era pieno di fumo. Mai stata così contraria al fumo passivo: sono ancora mezzo intontita!
Quand’ecco Van Guld varcare rapidamente la porta. Si guarda intorno nervoso, ma non mi vede (benedette case olandesi strette strette , lunghe lunghe e pure buie!). Si siede dandomi le spalle. Ha con sé una borsa a tracolla, anonima, ma sufficientemente capiente da celare il suo bottino.
Mi alzo silenziosamente, lo raggiungo alle spalle e gli sbatto la faccia sul tavolo: “Ciao Van! Aspetti qualcuno?”
“Non certo te, Croft!” bofonchia dolorante.
“Immagino un cliente a cui vendere quello che hai rubato al museo di Baghdad!”
“Rubato? No! E’ stato Khassim a prendere quelle tavolette!”
“Se vivi in un paese reduce da anni di embargo e di bombardamenti e lavori in un museo, smonteresti la Porta di Ishtar come un armadio dell’Ikea pur di venderne i pezzi a chi ti offre dei soldi!” Lo schiaccio ancor di più sul tavolo. “E non ti preoccuperesti nemmeno se chi ti ha pagato guadagnerà almeno 40 o 50 volte di più del compenso che ti ha elemosinato!”
“Gli affari sono affari!” geme Van Guld.
In quella il gestore del bar esce dal suo stato letargico dietro la cassa, dove si trova la sua tana, e viene a chiederci se ci sono dei problemi: ha più o meno l’aspetto e le dimensioni di un orso bruno (e forse pure il carattere!) e chiaramente è preoccupato per l’integrità del suo locale. Lo tranquillizzo dicendo che Van Guld è un vecchio amico e in un certo senso questa è la verità: l’ho inseguito attraverso l’Iraq, l’Anatolia e mezza Europa per recuperare quello che aveva rubato! Il bestione pare tranquillizzarsi, ma Van Guld approfitta di quella piccola distrazione per spingere indietro la sedia e buttarmi a terra per poi fuggire.
Mi catapulto fuori dal bar.
Lui disarciona un ciclista e fugge con la sua cavalcatura a pedali.
Non posso mollarlo, non ora!
Alcune persone sul marciapiede stanno chiacchierando. Uno spinge una bicicletta. Gliela sfilo da sotto le mani e mentre urlo: “Te la rendo dopo! E’ per una buona causa!” mi lancio all’inseguimento.
Sembra incredibile, ma i turisti che si recano ad Amsterdam non riescono a comprendere il significato dei termini “piste ciclabili”, neanche dopo che le hanno viste dipanarsi per l’intera città! Ce ne sono frotte che camminano, scattano foto o ammirano edifici e canali esattamente dentro le corsie preferenziali per le biciclette. Urlo, impreco, scampanello furiosamente, ma alla fine devo saltare in mezzo alla strada, dove gli automobilisti frenano, si attaccano al clacson, urlano e imprecano contro di me, o sui marciapiedi dove devo scansare gli indigeni e i pochi turisti che hanno compreso la differenza tra piste ciclabili e marciapiedi.
Se non altro anche Van Guld, là davanti, è impegnato in evoluzioni analoghe.
Mi alzo sui pedali per guadagnare terreno e qualcuno alle mie spalle fischia: non è un segnale di ammirazione per il mio gesto atletico, bensì due poliziotti (pure loro a cavallo di due bici)!
Cerco di aumentare l’andatura: inizio a sentire bruciore alle gambe e dolore ai polmoni. Pensate che l’Olanda sia un paese completamente piatto? Forse, ma Amsterdam fa eccezione: sono tutte salite e discese! Non molto accentuate, è vero, il che rende una passeggiata in bicicletta decisamente piacevole, ma sufficienti a rendere un inseguimento sui pedali, specie se non sei allenato, un vero inferno!
I poliziotti non demordono, anzi mi pare che stiano recuperando terreno: ma come fanno? Nei giorni liberi vanno al Giro delle Fiandre? Io li denuncio per doping!
Van Guld gira a destra o a sinistra per ponti e strade diverse cercando di seminarmi, ma sto gradualmente riducendo la distanza. Anche lui non è certo un asso del ciclismo!
Volta a sinistra, ma è troppo veloce, le ruote della sua bici slittano e lui cade a terra rovinosamente. E’ mio! Mentre mi avvicino non si alza: sarà mica morto? Ma no, eccolo che faticosamente si tira su. Mi vede: ormai gli sono addosso. Si sfila la borsa … e NO! La lancia nel canale! Lui mi getta un sorriso di sfida. Butto a terra la bici e mi tuffo dietro alla sacca.
Per fortuna riesco a vedere la borsa che lentamente scende verso il fondo del canale e si deposita dolcemente sul fango. In poche bracciate la raggiungo e, sebbene sia pesante, riesco a recuperarla e a riemergere sull’altro lato, abbastanza lontano da dove mi sono tuffata e nascosta dalle case-barca ormeggiate in modo che i due poliziotti, che hanno raggiunto e ammanettato Van Guld e ora scrutano la superficie dell’acqua, non riescono a scorgermi.
Quale sarà la pena per furto di bicicletta? Non credo l’ergastolo: Van Guld presto sarà di nuovo in circolazione. E non ho scoperto nemmeno chi gli ha commissionato il furto di queste tavolette in caratteri cuneiformi. Ma perlomeno le ho recuperate.
Oggi deve essere la mia giornata fortunata: se anche i due piedipiatti ciclo-muniti hanno segnalato ai loro colleghi la presenza di una sospetta completamente fradicia che si aggira per il centro di Amsterdam, non ne incontro nessuno, e nessuno mi nota, complice il buio che è sceso rapidamente. Quando raggiungo il mio albergo sono scossa da violenti brividi di freddo, ma, prima di infilarmi sotto una doccia bollente, voglio dare un’occhiata al contenuto della borsa di Van Guld.
Estraggo le tavolette lentamente, quasi fossero sacre. Sì, ci sono tutte e sono integre!
Ma questo cos’è? Dentro la borsa c’è un’altra tavoletta; questa, però, non è incisa con caratteri cuneiformi: lì per lì le scambio per lettere greche … Guardo meglio e non riesco ad interpretarle … sembrerebbero più simboli etruschi…
Prendo il telefono e faccio una chiamata in Italia.
Mummie, geroglifici e steli egizie. Quasi nessuno immagina che, proprio nel centro di Firenze, si possano ammirare reperti archeologici della valle del Nilo. Infatti qui fuori, lungo la strada, serpeggia un fiume di gente in coda davanti alla vicina Galleria dell’Accademia, per contemplare il David di Michelangelo, mentre il Museo Archeologico è semideserto. Passeggio per le sale con Luca Martini, un archeologo della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, mentre lui mi aggiorna su alcune recenti scoperte.
“Vedi i caratteri su questa tavoletta? Indicano il nome della ninfa Vegoe, chiamata Vegoia dai Romani e venerata dagli Etruschi perché, narra la leggenda, insegnò loro la scienza di interpretare il significato dei fulmini.”
Siamo accanto all’impressionante Chimera di Arezzo che ci scruta con le sue orbite vuote e sembra pronta a vomitare fuoco dalle sue fauci spalancate. “Probabilmente,” continua Luca aggiustandosi gli occhiali dalla sottile montatura, “è il pezzo di un’iscrizione che manca da una tomba scoperta da poco presso Volterra. Il fregio sulla porta diceva (più o meno) Qui riposa … (e poi mancava un frammento) … che insegnò l’arte dei fulmini agli Uomini. Sospetto che sia stato un furto ad opera di alcuni tombaroli (come li chiamate voi? Ah sì, tomb raiders, predatori di tombe, una denominazione quasi blasonata!).” Luca sorride e scuote i capelli brizzolati (è un cinquantenne davvero affascinante!), poi prosegue: “E’ possibile che noi ci siamo arrivati dopo che loro ci hanno segnalato anonimamente il sito, quando la tomba si è allagata e non potevano recuperare altri reperti (non senza dare nell’occhio!). Così provvederemo noi a prosciugarla e loro se ne staranno tranquilli, magari proprio tra gli operai che abbiamo assunto temporaneamente per i lavori, e poi cercheranno di trafugare qualcosa: sempre meglio vendere qualche piccolo cimelio che restare a bocca asciutta!”
Le Balze di Volterra sono un vero spettacolo della natura: una distesa di irte colline argillose solcate da profonde frane e calanchi dalle pareti quasi verticali. Al margine il rudere di un’antica badia si erge precariamente a guardia di quel panorama sconvolto, come un faro in rovina davanti ai violenti marosi che presto o tardi lo travolgeranno. Raggiungiamo il sito dove si trova la tomba percorrendo una tortuosa stradina sterrata con il piccolo fuoristrada di Luca, sobbalzando ad ogni buca.
Grazie alle moderne tecnologie siamo riusciti ad avere immagini e informazioni sulla struttura di quel luogo di sepoltura anche se momentaneamente è inagibile: è una tipica tomba a tholos, con un pilastro in pietra a base quadrangolare che sostiene la volta. E’ preceduta da un vestibolo rettangolare e da un corridoio di accesso in parte franato. Sulla porta esterna del vestibolo c’è l’iscrizione a cui era stato sottratto il frammento; davanti a quella interna (che dà accesso alla tomba vera e propria) si erge una chimera di pietra, quasi a guardia di quel luogo. Le prospezioni geologiche indicano che, vicino alla tomba, c’è una sorta di grande cisterna naturale: diverse sorgenti e torrenti sotterranei convergono in una vasta cavità dalle pareti impermeabili in cui si accumula l’acqua. In certi punti le pareti sono davvero sottili: i tombaroli che hanno cercato di entrare in quel luogo, con lo scavo, devono aver danneggiato quel diaframma che separava l’acqua dalla tomba, che si è rapidamente riempita d’acqua. Però, prima che diventasse inagibile, sono riusciti a trafugare un frammento dell’iscrizione sul portale.
“A volte mi pare quasi che quella specie di cisterna sia lì appositamente,” mi confessa Luca, “come se chi ha costruito la tomba ne conoscesse l’esistenza o addirittura l’avesse scavata volutamente, perché nessuno potesse entrare. O magari uscire! … A volte faccio davvero troppi voli di fantasia! Ma noi siamo scienza, non fantascienza!” Ride. Ne ha ben donde, dopotutto: le alacri opere di drenaggio e di prosciugamento sono quasi terminate e presto sarà possibile accedere di nuovo alla tomba.
Luca è il primo a prendere un piccone per aprire l’ingresso della tomba e il primo ad entrare non appena c’è un varco: deve chinarsi per non battere la testa sull’architrave (è alto più di un metro e ottanta!), ma per il resto pare un bambino che, la mattina di Natale, corre sotto l’albero per aprire i regali. Lo seguo insieme a Gino, Francesco e Pietro, tre degli operai che hanno aperto la tomba. L’interno è completamente spoglio, non c’è nulla degli oggetti che normalmente si trovano in una tomba etrusca, neppure un’urna cineraria. Solo migliaia di numeri, in caratteri romani, incisi sulle pietre che rivestono la parete circolare di quella che dovrebbe essere la camera di sepoltura.
Luca si guarda intorno perplesso, anzi stralunato: si sta certamente chiedendo se i tombaroli giunti qui prima di noi siano stati in grado di attraversare i muri come spettri per riuscire a razziare una stanza che non reca nessun segno di violazione. Poi si accorge di qualcosa sotto ai suoi piedi: scava la fanghiglia con le mani nude e porta alla luce una pietra rettangolare e piatta, su cui sono incise delle frasi; inizia a leggerle e a tradurle piuttosto agevolmente: “…Il più piccolo numero che diviso per 2 dà resto 1, che diviso per 3 dà resto 2, che diviso per 4 dà resto 3, che diviso per 5 dà resto 4 e così via. E, infine, che diviso per 10 dà resto 9 … … … E’ un enigma!”
“Sarà riferito a tutti quei numeri scritti sul muro …” ipotizza Pietro.
“Ce ne sarà uno che forse ci porterà al tesoro …” gli fa eco Francesco guardandosi intorno.
“Proviamoli tutti e vediamo se è vero!” Ribatte Pietro.
“Così, nella migliore delle ipotesi, al primo numero sbagliato che tocchiamo ci crolla tutto addosso!” lo inchiodo subito io. “Non sarebbe difficile: un semplice meccanismo che fa cedere il pilastro centrale e la volta a tholos vien giù come un castello di carte! A meno che non becchiamo subito il numero esatto … Uno su … alcune migliaia? Le probabilità sono a nostro sfavore!”
Riappare Luca che si era dileguato per alcuni istanti alla ricerca di una calcolatrice e per assegnare il “compito” a tutti quelli che stanno fuori, siano essi studenti, collaboratori o semplici operai: bisogna trovare la soluzione. Batte forsennatamente numeri sulla tastiera bofonchiando: “Li chiamiamo etruschi, ma loro si erano denominati Rasna, cioè coloro che calcolano … Eccome se calcolavano!!!”
Anche Pietro, Francesco e Gino si zittiscono provando a fare dei conti.
Il più piccolo numero … il più piccolo numero … il più piccolo numero … Ci sono! Faccio due calcoli mentali (poi ricalcolo con calma, perché non si sa mai!) e cerco un numero sulle pietre.
Lo trovo. Ci appoggio sopra la mano e premo con forza, ma non succede nulla. Eppure … Premo con più forza e con entrambe le mani. Sento un movimento quasi impercettibile e un piccolo click. Poi un fracasso di pietre che rotolano scuote tutti dalla loro concentrazione: dietro al pilastro, sulla parete della tomba, una piccola frana ha scoperto una nicchia!
Non è stato difficilissimo, in fondo. Chiunque, con un po’ di tempo e pazienza (al massimo con una calcolatrice e un bel po’ di tentativi), può arrivare alla soluzione dell’enigma.
Ci avviciniamo. La cosa più strana è che la nicchia, però, non contiene nessuna urna cineraria. Le nostre lampade illuminano solo un oggetto sottile e molto alto, un po’ coperto di fango. Luca lo prende fuori delicatamente.
“L’è la mamma di Ombra della Sera!”, esclama Gino.
L’anziano operaio ha perfettamente ragione: l’oggetto è una statuetta in bronzo molto sottile e stilizzata, come la ben più nota Ombra della Sera, conservata al Museo Guarnacci di Volterra. E’ più alta, all’incirca un metro di lunghezza, e si scorgono fattezze femminili.
“Fermi tutti!” intima Pietro. Ha una pistola e me la punta alla schiena. “Se non volete che la ragazza faccia una brutta fine datemi quella statuetta!”
Anche Francesco ha tirato fuori un coltello a serramanico e minaccia il resto dei presenti, gesticolando con la mano libera per incitarli a fare in fretta.
“Pietro, cosa credi di fare?” gli chiede Luca esterrefatto.
“Mi dia quella statuetta, professore!” ordina lui premendomi energicamente la pistola sulla schiena.
Luca si vede costretto a consegnargli quel prezioso reperto: “Ti stai cacciando in un mare di guai e non credo che la farai franca …”
“So benissimo quello che faccio!”
Percepisco una minore pressione sulla mia schiena: ho un attimo per agire. Ruoto di scatto di 90 gradi e colpisco il braccio di Pietro con il mio, in modo che lo sposti. Sono fuori della traiettoria della canna della pistola che per fortuna è una semiautomatica. Immediatamente afferro il carrello e lo sfilo dal suo alloggio: ora la pistola non può più sparare. Ci vuole più tempo a spiegarlo che a farlo. Assesto un cazzotto in pieno viso a Pietro che finisce lungo disteso per terra. Detesto fare la parte dell’ostaggio! Ma c’è anche Francesco: mi giro di scatto e schivo un fendente facendolo caracollare verso l’ingresso. Serro i pugni, pronta ad un secondo attacco, ma in quella uno schianto fa tremare l’interno della tomba: il rivestimento di pietra della chimera è letteralmente esploso, liberando una creatura mostruosa e feroce che solleva il corpo di Pietro, lo lancia in aria, lo riprende al volo per la nuca e gli dà una scossa violentissima. Lo butta a terra agonizzante e scomposto e con un balzo è addosso a Francesco che caccia un urlo lancinante. Chi da fuori è accorso per capire che succedeva è già fuggito a gambe levate; la bestia è abbracciata a Francesco, gli ha stritolato il cranio tra le fauci e lo ha sventrato scalciando con le zampe posteriori.
Fine Prima Parte
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