Oh, ritiriamo fuori questo vecchiiiiiiissimo thread perché ci sono alcune piccole novità.
Come quasi tutti sanno ho la fondata speranza di pubblicare uno dei miei romanzi. Per un disguido con la casa editrice ero convinto che fosse questo, per cui quando mi hanno chiesto delle modifiche/aggiunte, mi ci sono messo di buzzo buono. Poi ci siamo sentiti e mi hanno confermato che il romanzo a cui sono interessati è un altro. Però ormai le modifiche ideate per questo ci sono e, devo ammettere senza falsa modestia, sono OTTIME!
In particolare ho deciso di aggiungere un elemento alla narrazione, un personaggio molto vicino a Anna: suo fratello Marco.
Qualcuno mi dirà: "Ma come "Anna e Marco"? Non fa troppo Lucio Dalla?"
Esatto, un'altra delle modifiche è la passione della madre di Anna e Marco per il cantante di Bologna
Tutto questo panegirico perché volevo rendervi partecipi del primo capitolo che ho aggiunto: è il "nuovo" secondo capitolo, e il tutto avviene
Lunedì 4 Aprile - 2:30
Il ritmo ossessivo della musica sembrava costruito ad arte per riempire ogni singolo spazio mentale. Il termine “Tekno-trance” che indicava il genere musicale, rendeva molto bene l'idea su quale fosse il suo scopo ultimo, e anche se stuoli di psicologi avevano cercato di spiegare il risultato con un termine scientifico, l'unico veramente appropriato era “rincoglionire”.
A giudicare dal numero di ragazzi e ragazze che si agitavano sulla grande pista del “TeknoLab”, il risultato era stato efficacemente raggiunto. Tutti saltavano a tempo con la grancassa elettronica che prorompeva dalle decine di amplificatori disseminati per tutta la sala: non c'era un solo angolino dove ci si potesse sottrarre alla tortura acustica; ne', d'altro canto, qualcuno voleva farlo, ovviamente.
Anzi.
Lo scopo della maggior parte delle persone presenti era raggiungere il più rapidamente possibile uno stato di “sballo” che permettesse di dimenticare qualsiasi altra cosa. E per molti di questi, se per ottenere questo risultato era necessario coadiuvare l'ipnosi acustica con qualche pastiglia, non c'era problema; neanche se si fosse trattato di qualcosa di più “tosto” di una caramellina colorata.
Sparsi per la sala c'erano almeno tre personaggi in perenne movimento, ma sempre ben visibili, che, a fronte del semplice trasferimento di una banconota da cinquanta euro, camuffata da una stretta di mano, erano più che felici di procurare qualsiasi sostanza in qualsiasi forma, pronta per essere ingoiata, sniffata o iniettata.
Marco era nel locale da circa un'ora.
Lui arrivava sempre una mezz'ora prima che iniziasse il movimento vero e proprio, la “movida”, anzi, la “Movida” con quella maiuscola che fa tanto “importante”, come la chiamava qualche giornalista idiota.
Alzò un angolo della bocca, abbozzando un sorriso: un paio di volte dei giornalisti avevano cercato di infilarsi nel giro, per fare uno “scoop” , ma lui li aveva sgamati subito. Non per la fisionomia, che sinceramente non era il suo forte, ma per l'atteggiamento.
Era bravo Marco a capire la testa della gente. Non sempre, ma spesso ci azzeccava.
E proprio per questo era preoccupato.
C'erano due tizi che da almeno un quarto d'ora gli stavano con gli occhi addosso.
Si era già spostato tre volte, con calma, senza dare a vedere di essere agitato. E loro si erano spostati di conseguenza, rimanendo sempre a discreta distanza.
Era convinto che non si fossero accorti di nulla: lui era troppo bravo a camuffare i movimenti. Merito della sua vecchia passione per la prestidigitazione.
Accidenti, se avesse continuato per la sua strada adesso sarebbe stato un mago di quelli della televisione, sicuramente!
E invece no. Era lì, a controllare il passaggio, a scambiare battute e pasticche, risate e polvere, strette di mano e morte. Così, come fosse normale.
Già:
normale.
Ma
normale in che senso?
Perché quello che era successo ad Anna era
normale?
Quello che Anna gli aveva detto era
normale?
Quello che Anna gli aveva
chiesto, porca puttana, era una cosa
assolutamente normale?
Si tolse gli occhiali per qualche secondo e, chiudendo gli occhi, si massaggiò la radice del naso. Era stanco. Molto stanco.
Dormiva poco e quel poco che dormiva, dormiva agitato.
Glielo avevano detto almeno tre delle ragazze che si portava a letto. Almeno in quella ultima settimana. La sua attività aveva qualche lato positivo, e uno di questi era proprio la disponibilità di donne pronte a venire con te solo per un semplice tornaconto: evitare il passaggio di denaro e ottenere lo stesso la «roba».
Quasi sempre rapporti superficiali, raramente in un letto: il più delle volte in macchina, o nel parcheggio. O nei cessi, quando il tempo era molto poco.
A proposito di cesso, la caipirinha cominciava a fare il suo effetto diuretico e ora aveva giusto bisogno di andarsi a liberare.
Aspettò qualche minuto, per vedere se qualche altro cliente era in vista. Si avvicinò solo un ragazzetto che non poteva avere più di sedici anni, con lo sguardo instupidito e falsamente furbo.
Gli sorrise e gli diede la mano una prima volta. Con la coda dell'occhio controllò il denaro: venti euro. Quindi il ragazzino voleva solo qualche pastiglietta per tirarsi su. Senza farsi notare prese da una tasca della giacca un sacchettino con cinque pastiglie dentro. Intanto continuava a parlare e sorridere. Diede nuovamente la mano al ragazzo, passandogli la merce, e quello se ne andò.
Si guardò di nuovo intorno. I due tipi sembravano spariti.
Meglio.
Si avviò verso i gabinetti.
Entrò in quello dei maschi. Due ragazzi stavano baciandosi con foga. Non diedero segno di averlo visto. E in fondo era talmente abituato che in effetti non li vide.
Andò verso la fila di orinatoi, e si preparò.
Udì la porta aprirsi e una voce decisa dire: «Voi due, fuori.»
Si girò a mezzo e notò i due ragazzi che uscivano di corsa, lasciando il campo libero ai tue tizi che lo avevano osservato per tutto il tempo.
Accidenti! E adesso? si chiese.
I due si avvicinarono, uno per lato.
Marco non sapeva se rimettersi a posto, oppure non muoversi proprio. E per confonderlo ancora di più, adesso non riusciva a smettere di urinare.
I due erano diversi tra loro, uno più robusto e uno meno, ma il secondo era comunque il doppio di lui, e questo non lo rendeva certamente più tranquillo.
Gli stavano di fianco. Ogni tanto uno dei due osservava il getto che andava a tintinnare lievemente sull'orinatoio, appena udibile dietro il frastuono della musica, che, ovviamente, arrivava anche lì.
«Fai con calma» disse il più grosso, sorridendo.
Marco in qualche modo terminò le operazioni, scrollò appena e mise via, chiudendo la zip con un colpo secco.
Doveva andarsi a lavare le mani, ma non sapeva se muoversi.
I due intanto lo guardavano, senza toccarlo.
Finalmente il più piccolo parlò, anche se sarebbe più corretto dire “il meno grosso”.
«Ti portiamo i saluti di Enzo»disse in tono colloquiale.
«Io non... »iniziò a parlare Marco, ma venne interrotto: «Eh, no. Così non va bene. Non puoi non ricordarti di Enzo. Eh... pensa che lui invece si ricorda benissimo di te...»La parola benissimo risultò carica di significati piuttosto cupi.
«Ma se è per... » provò di nuovo Marco.
«Ecco, lo vedi che se ti sforzi ci arrivi? E' proprio per quello... quando conti di dare al tuo amico Enzo quello che è suo?»
Marco abbozzò un sorriso: «Ragazzi, davvero, è un brutto periodo...» tirò fuori dalla tasca un mucchietto di banconote, «vedete? Non ci saranno più di... »
Il grosso strappò il mucchietto dalla mano di Marco: «Per stasera bastano... »
Passò i soldi al compare, che li contò. Dopo qualche secondo guardò Marco con uno sguardo che sarebbe potuto sembrare implorante, se non si fosse trovato sul suo volto: «Marco, Marco: ma mi spieghi cosa minchia ce ne facciamo di milleduecento euro? Ma non bastano neanche per pulirgli il culo a Enzo. Lo sai che poi si incazza con noi, no? E non vorrai mica che ci faccia qualcosa di brutto, Marco, vero? Vero che non vuoi?»
Mentre diceva questo sventolava il mucchietto di banconote sotto il naso di Marco.
Proprio in quell'istante, la porta si spalancò di colpo.
Una bella ragazza in bikini ridottissimo, coi capelli corvini vaporosi e lunghissimi si stagliò nel vano della porta. Era una delle cubiste. Aveva un'espressione stravolta, gli occhi spalancati, e urlava come un'ossessa: «Cazzo, sei qui! Ne ho bisogno! Ne hai? Damme...»
La frase rimase a metà. Marco si rese conto che i due sgherri erano rimasti a fare i conti con gli ormoni alla vista della donna.
Afferrò il denaro dalla mano dell'energumeno e scattò verso la porta. I due scagnozzi rimasero per due secondi di troppo bloccati, prima dall'apparizione della ragazza seminuda, e poi dalla follia del gesto della loro vittima.
Marco si fiondò verso la ragazza.
Nel breve tratto tra l'orinatoio e la porta era riuscito a mettersi il denaro in tasca. Con il braccio destro sembrò abbracciare la donna sulla porta, come se volesse ballare, ma approfittò del suo slancio per eseguire una mezza piroetta, proiettando il magro corpo di traverso nel vano dell'uscita.
Contemporaneamente i due partirono alla carica.
La ragazza urlò e riuscì a ritrovare l'equilibrio nel momento esatto in cui i due tizi la raggiungevano: per superarla persero altri due secondi.
Marco intanto era già lontano dal gabinetto.
Correva in mezzo alla folla tenendosi basso, perché i due non lo vedessero.
Purtroppo il suo passaggio scatenò alcune reazioni, qualcuno saltò fuori tempo, altri alzarono le braccia, indicando ai suoi inseguitori la strada che aveva preso.
Si buttò fuori dal locale cinque secondi esatti prima dei due scagnozzi di Enzo.
Corse verso la sua macchina, pregando che nessun pezzo di merda gli avesse parcheggiato di fianco bloccandolo.
Per sua fortuna non era così.
Tirò fuori il telecomando e lo premette.
La piccola Ferrari 360 fece due lampeggi, e le due portiere iniziarono ad aprirsi elettricamente. Marco alzò un ringraziamento al suo vecchio per la preveggenza.
Ci si gettò dentro, infilò la chiave nel buco di contatto e premette il pulsante di accensione, tirando freneticamente la portiera per chiuderla il più in fretta possibile.
Sentiva i passi dei suoi inseguitori farsi sempre più vicini.
Il motore partì con il tipico rombo cupo dei motori della casa di Maranello.
Quello che tra i due sembrava il capo, riuscì a raggiungere la macchina e diede una manata sulla parte posteriore, vicino alla presa d'aria.
Piantò il piede sull'acceleratore e i 400 cavalli si impennarono immediatamente, facendo fischiare le gomme posteriori, che sbandando verso il marciapiede lo aiutarono a uscire dal parcheggio con una manovra che in altri momenti non sarebbe mai più riuscito a ripetere.
Mentre faticava un po' per tenerla in carreggiata, guardò nello specchietto retrovisore i due che alzavano pugni in sua direzione. Gli venne da sorridere, ma durò poco, perché la soddisfazione per avere seminato i due, unita all'adrenalina, poco per volta lasciò spazio alla consapevolezza che loro sapevano benissimo chi era lui, e chi erano i suoi parenti.
Per un attimo rivide Anna con il suo sorriso furbo e la mano tesa, e un brivido ghiacciato gli percorse la schiena:
E adesso, cosa faccio?