La piccola discussione nata nell'altro topic mi serve a introdurre un argomento molto delicato che ha a che fare con l'essenza intima di un racconto: l'
UMILTA' INTELLETTUALE.
Nonostante sembri qualcosa di negativo, e paia prescindere da un atteggiamento superbo e vanitoso, in realtà è qualcosa di molto più "umano", ed è una caratteristica piuttosto tipica negli scrittori dilettanti. Vediamo un po' di cosa si tratta.
Quando si scrive, specie quando lo si fa di getto, non è raro che sì commettano degli errori, e questo lo sappiamo; ma mentre quelli "classici", come grammatica e sintassi, si possono risolvere con un'adeguata rilettura del proprio lavoro, ce ne sono altri un tantinello più gravi e subdoli, perché radicati nella nostra mentalità.
Ci può capitare infatti di non trovare un termine adatto per descrivere qualcosa; così frughiamo nella nostra mente e scegliamo di getto quello che ci sembra più vicino al concetto che desideriamo esprimere, senza curarci che questo sia esatto.
La stessa cosa può capitare, per esempio, con intere frasi o addirittura a livello concettuale e stilistico: siccome una cosa ci sembra andar bene la lasciamo là.
Questo, seppur piuttosto comune, è comunque un errore piuttosto grave: bisogna sempre ricordare che la parte principale nella vita di un racconto NON la fa uno scrittore, ma chi ne fruisce... e un elemento che a livello soggettivo va bene a noi che scriviamo potrebbe non andare bene a livello oggettivo.
Per questo sarebbe utile, quando si scrive, cercare di essere il più oggettivi possibile, imparando ad essere automaticamente critici nei confronti di se stessi.
Naturalmente, in questa sede nessuno vi chiederà di essere perfetti; ma essere umilmente autocritici (e, possibilmente, tenere SEMPRE vicini dizionari, manuali di sintassi e mooooolte letture
) è la chiave per essere un bravo scrittore a tutti i livelli.
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