Sì, è un bel personaggio
Intanto ho riscritto quasi completamente il prologo da così
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La freccia di Atena colpì Carlo Setteconce alle 13:13 precise, e il fatto di non essere superstizioso non
fece nessuna differenza.
Se lo aspettava, certo. Aveva troppa esperienza per non sapere che prima o poi sarebbe arrivato questo
momento. Però, nonostante la sua vecchia professione, tendeva a non pensarci, quasi potesse esorcizzarne
lo spettro semplicemente evitando di nominarlo.
Il dolore al braccio fu il primo segnale.
Ahia...
Un classico, un vero classico.
Si bloccò mentre stava iniziando a sparecchiare, appoggiò il piatto sul tavolo e con la destra si
aggrappò al braccio sinistro, chiudendo gli occhi.
No! pensò e il pensiero era molto simile a una preghiera.
Strinse intensamente gli occhi e trattenne il respiro, ascoltando i battiti del proprio cuore accelerare.
Attese qualche secondo. Con lentezza il cuore rallentò e si rimise a battere quasi normalmente.
Forse era passata.
Accidenti, questa volta era vicino...
Ansimò per qualche secondo, recuperando il controllo. Gli era rimasto in fondo alla gola un po' di
amaro, residuo del terrore che gli era caduto addosso come una tegola. Si versò un po' di acqua con mano
tremante e alzò il bicchiere.
Ma Atena non aveva ancora finito.
Un altra fitta, molto più dolorosa della prima, gli fece mollare la presa. Il bicchiere cadde e rimbalzò
due volte, spargendo acqua tutto intorno, prima di rompersi.
Doveva andare a prendere le pillole. Dove le aveva lasciate? Forse in bagno. Sicuramente in bagno.
Dovevano essere in bagno. Però per andare in bagno doveva muoversi, camminare fin là, e in questo
momento non se la sentiva proprio. Si risedette pesantemente sulla sedia. Per fortuna che Valeria le aveva
volute robuste.
Non può essere... proprio adesso... che ero così vicino... così vicino...
Respirò a fondo, più e più volte. Il cuore sembrava di nuovo rallentare. Forse sarebbe riuscito...
Un altra fitta. Fortissima questa volta.
Mugolò dal dolore. Ma non poteva arrendersi... le pillole, dove erano le pillole?
Nel turbinio di pensieri cercò di ricordare dove aveva visto per l'ultima volta la scatola azzurra con le
piccole pillole rotonde da tenere sotto la lingua. Ebbe una nebulosa immagine della scatoletta, posta di
fianco a un pennello da barba e a un rasoio di sicurezza, antiquato ma perfetto per le sue esigenze.
Troppo lontana...
Non sarebbe mai riuscito a scendere fino alla cantina.
Smise di agitarsi, rendendosi conto che non sarebbe cambiato nulla.
Guardò verso il mobile posto nella stessa stanza nella quale si trovava il tavolo sul quale aveva appena
terminato di mangiare. Su un ripiano c'erano moltissime fotografie diverse, ma con gli stessi soggetti
ripresi nei più svariati e divertenti modi. Su una in particolare si appuntò lo sguardo del vecchio Carlo
Setteconce: ritraeva una donna dai lineamenti signorili con un bimbo di pochissimi anni in braccio, tutti e
due con la stessa espressione divertita negli occhi scuri, e con lo stesso sorriso su labbra che sembravano
una la copia esatta dell'altra. Ricordò per una frazione di secondo una bellissima canzone, nella quale
l'artista, parlando della figlia che avrebbe avuto con la sua donna, profetizzava “sarai tu in miniatura”,
riuscendo a spiegare, con quattro semplici parole, l'amore di un padre per la propria creatura.
Un istante prima di precipitare nel buio assoluto, ebbe il tempo per un ultimo pensiero cosciente.
Mi spiace, Valeria: non sono riuscito a sapere...
Lontana, dietro i pini della collina, Torino arrostiva sotto un sole implacabile.
è diventato così
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Nel momento stesso in cui sentì la prima fitta, Carlo Setteconce stava osservando che erano le tredici e diciassette precise. Non era mai stato superstizioso, e aveva sempre considerato chi lo era come retrogrado e ignorante, ma notò la coincidenza e gli venne assurdamente da sorridere.
Una specie di staffilata al braccio sinistro. Se lo aspettava, certo. Aveva troppa esperienza per non sapere che prima o poi sarebbe arrivato questo momento. Però, nonostante la sua vecchia professione, tendeva a non pensarci, quasi potesse esorcizzarne lo spettro semplicemente evitando di nominarlo. Una cosa che spesso aveva silenziosamente deriso nei suoi clienti, al pari della superstizione.
Si bloccò mentre stava iniziando a sparecchiare, appoggiò il piatto sul tavolo e con la destra si aggrappò al braccio sinistro, chiudendo gli occhi. Il dolore al braccio sparì quasi subito. Forse si era sbagliato, magari era solo una contrattura, un crampo. In fondo, anche se conosceva benissimo i sintomi di un infarto, non li aveva mai sperimentati su di sé. Un classico, un vero classico: il ciabattino che va in giro con le scarpe rotte, il medico che trascura il proprio cuore.
“No!” pensò e il pensiero era molto simile a una preghiera.
Strinse intensamente gli occhi e trattenne il respiro, ascoltando i battiti del proprio cuore accelerare per la paura. Attese qualche secondo, respirando profondamente. Con lentezza il cuore rallentò e si rimise a battere quasi normalmente.
Forse era passata.
Ansimò per qualche secondo, recuperando il controllo. Gli era rimasto in fondo alla gola un po' di amaro, residuo del terrore che gli era caduto addosso come una tegola. Si versò un po' di acqua con mano tremante e alzò il bicchiere.
Ma erano ancora le tredici e diciassette, e non era ancora finita. Un altra fitta, non più dolorosa della prima, ma sicuramente più lunga, gli fece mollare la presa. Il bicchiere cadde e rimbalzò due volte, spargendo acqua tutto intorno, prima di rompersi.
Doveva andare a prendere le pillole. Dove le aveva lasciate? Forse in bagno. Sicuramente in bagno. Dovevano essere in bagno. Però per andarci doveva muoversi, camminare fin là, e in questo momento non se la sentiva proprio. Si risedette pesantemente sulla sedia. Per fortuna che Valeria le aveva volute robuste.
“Non può essere... non adesso... che ero così vicino... così vicino...”
Respirò a fondo, più e più volte. Il cuore sembrava di nuovo rallentare. Forse sarebbe riuscito a controllare la situazione.
Un altra fitta. Fortissima questa volta. Mugolò dal dolore. Ma non poteva arrendersi. Le pillole, dove erano le pillole? Nel turbinio di pensieri cercò di ricordare dove aveva visto per l'ultima volta la scatola azzurra con le piccole pillole rotonde da tenere sotto la lingua. Ebbe una nebulosa immagine della scatoletta, posta di fianco a un pennello da barba e a un rasoio di sicurezza, antiquato, ma perfetto per le sue esigenze.
Non sarebbe mai riuscito a scendere fino alla cantina.
Smise di agitarsi, rendendosi conto che non sarebbe cambiato nulla. Non aveva mai creduto neanche nel destino, ma a quanto pare il destino aveva deciso di credere in lui, e aveva organizzato tutto per rovinargli anche la fine, oltre a come era riuscito a distruggergli la vita.
Guardò verso il mobile posto nella stessa stanza nella quale si trovava il tavolo sul quale aveva appena terminato di mangiare. Su un ripiano c'erano moltissime fotografie diverse, ma con gli stessi soggetti ripresi nei più svariati e divertenti modi. Su una in particolare si appuntò lo sguardo del vecchio Carlo Setteconce: ritraeva una donna dai lineamenti signorili con un bimbo di pochissimi anni in braccio, tutti e due con la stessa espressione divertita negli occhi scuri, e con lo stesso sorriso su labbra che sembravano una la copia esatta dell'altra. Ogni volta che guardava quella fotografia gli tornava in mente una bellissima canzone, nella quale l'artista, parlando della figlia che avrebbe avuto con la sua compagna, cantava sarai tu in miniatura, riuscendo a spiegare, con quattro semplici parole, l'amore di un padre per la propria creatura.
Un istante prima di precipitare nel buio assoluto, ebbe il tempo per un ultimo pensiero cosciente: “Mi spiace, Valeria: non ci sono riuscito”.
Lontana, dietro i pini della collina, Torino arrostiva sotto un sole implacabile.
Mi sembra molto migliorato